Plebiscito costituzionale in Cile: quattro anni dopo, un ritorno al punto di partenza


Paul Walder

“Il paese si è polarizzato, si è diviso, e al margine di questo contundente risultato, il processo costituzionale non è riuscito a canalizzare le speranze di avere una nuova Costituzione redatta da tutti”, ha affermato il presidente Gabriel Boric. Il processo costituzionale cileno iniziato nel novembre del 2019 in piena rivolta popolare ha avuto un chiusura fallita e lascia la percezione di un lungo periodo pieno di ostacoli e discontinuità.

I cileni hanno ampiamente rifiutato la proposta di costituzione redatta da un consiglio di neoliberali conservatori, che lo stesso elettorato aveva eletto lo scorso maggio. Il 55,7 per cento dell’elettorato ha votato contro una proposta di costituzione che toglieva diritti alla cittadinanza e consolidava i privilegi di investitori e delle élite. Qui non c’è stato un trionfo, ma sì una sensazione di sollievo.

Anche se continua e continuerà ad essere vigente e per un tempo indefinito la costituzione del 1980, le numerose riforme applicate dal governo dell’ex presidente Ricardo Lagos in poi l’hanno convertita in un testo conosciuto, anche se è la base di tutte le disuguaglianze e ingiustizie. Come a suo tempo disse l’ex presidente Michelle Bachelet, bisognava scegliere tra il cattivo e il peggiore. Le richieste sollevate nel 2019 continuano ad essere lì.

Un processo circolare per giungere al punto di partenza. Quattro anni intensi iniziati con la rivolta, le decine di assassinati e le migliaia di mutilati, una pandemia con più di 60 mila morti e 4,5 milioni di casi, una caduta del PIL del 5,8 per cento nel 2020 e successivi tassi minimi di crescita e un’inflazione a più di due cifre a partire dal 2021.

Insieme a questo catalogo di calamità l’agenda pubblica aggiunge l’aumento della delinquenza, il consolidamento del crimine organizzato e l’arrivo di centinaia di migliaia di immigrati senza lavoro, che attualmente assommano a più di 1,4 milioni di persone. Il 7,5 per cento della popolazione del paese.

Durante questi anni si cristallizzano quelle distorsioni strutturali così proprie dei paesi latinoamericani. Appare una destra superba e fondamentalista che non si vergogna di proporre una costituzione che cancella diritti, principalmente quelli che favoriscono le donne conquistati dal movimento femminista, e consolida le disuguaglianze. È la medesima destra, anche con una maggioranza al Senato e alla Camera delle Deputate e dei Deputati, che ha bloccato le riforme tributarie e previdenziali, i due assi del programma di governo di Gabriel Boric, oltre altre riforme nella salute e nell’educazione.

Tutta la destra ha appoggiato la campagna elettorale “A Favore” della proposta costituzionale. Dal Partito Repubblicano di José Antonio Kast, la destra tradizionale di Cile Andiamo, alcuni scissionisti della crepuscolare democrazia cristiana, più l’aperto favoritismo dei grandi mezzi di comunicazione.

Ma il maggiore e più entusiasta sostegno è venuto dalle élite e dalle associazioni dei datori di lavoro, che sarebbero i grandi beneficiati dalla proposta. Dati del Servizio Elettorale hanno rivelato che il 98 per cento degli apporti finanziari alle campagne elettorali sono stati diretti al voto “A Favore”.

Il giorno dopo varie interpretazioni riempiono i media. Il progressismo ha interpretato la votazione come un rifiuto degli estremi tanto della destra come un sostegno alla costituzione attuale, allo statu quo neoliberale. La presidente del Partito Socialista, Paulina Vodanovic, ha giudicato il risultato come una sconfitta: “Ha perso il Cile, perché abbiamo avuto l’opportunità di avere una buona Costituzione scritta in democrazia e non ne abbiamo approfittato”.

Ma ha incolpato del fallimento la destra e specialmente il Partito Repubblicano: “Coloro che hanno perso sono loro che volevano imporre i propri termini, credo che debbano fare un mea culpa della festa (…) Non c’è stata possibilità di arrivare ad accordi, il testo era cattivo, hanno posto un programma di governo in una Costituzione”.

L’ex ministro dell’interno della Concertazione Francisco Vidal ha fatto un’analisi ottimista in un articolo pubblicato nel Mercurio. “Questo trionfo, facendo parte del Governo, è avvenuto quest’anno in un contesto di crescita zero dell’economia, con una disoccupazione dell’8,9%, con un’inflazione ridotta, ma che terminerà nell’anno al 4,5%, con una percezione dell’insicurezza cittadina che è sentita da più del 90% dei cileni. Nonostante quanto detto, le forze di sinistra e centrosinistra sono riuscite a trionfare”.

Anche l’economista e membro del Partito Socialista, Gonzalo Martner, vuole vedere il risultato come un sostegno alle idee progressiste. In un commento nella rete X ha scritto: “Ora bisogna ampliare le energie nella seconda metà del governo di Gabriel Boric, e raggiungere le riforme di salute, di pensioni e tributaria, che dipende da lui, dalla sua coalizione e dalla mobilitazione cittadina contro il blocco parlamentare e mediatico dell’opposizione”.

A marzo il governo compirà la metà del suo mandato senza essere riuscito a promuovere le riforme promesse. Questa elezione potrebbe essere interpretata come un sostegno al presidente Boric così come un rifiuto della perdita di diritti sociali e delle posizioni più conservatrici della destra. Ma né domenica notte né durante la giornata di lunedì questo settore ha dato segnali di apertura verso una negoziazione. Non solo non si fa carico del risultato come una sconfitta, ma chiama apertamente a mantenere il blocco legislativo dei progetti del governo.

Come se nulla fosse successo, il presidente del senato, il pinochetista Juan Antonio Coloma, impone da questa camera l’agenda della classe imprenditoriale e delle élite. “A partire da ora bisogna farsi carico dei temi urgenti di sicurezza, dove abbiamo promosso un’agenda in questo Congresso affinché il Cile torni a crescere”. Nemmeno una parola alle richieste di migliori pensioni, salute ed educazione. Né di pensare ad una riforma tributaria.

*Giornalista e scrittore cileno, laureato nell’Università Autonoma di Barcellona, collaboratore del Centro Latinoamericano di Analisi Strategica (CLAE).

18 dicembre 2023

CLAE

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Paul Walder, Plebiscito constitucional en Chile: Cuatro años después, un retorno al punto de partida, pubblicato il 18-12-2023 in CLAEsu [https://estrategia.la/2023/12/18/plebiscito-constitucional-en-chile-cuatro-anos-despues-un-retorno-al-punto-de-partida/] ultimo accesso 21-12-2023.

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