Non è mai tardi. Il santo sangue dei sacrificati non sarà mai dimenticato né perdonato. Non c’è modo di vedere il perdono attraverso le lenti di Alvarito Conrado, con i suoi occhietti che ci guardano a nome di tutti i caduti che chiedono giustizia. Non ci può essere né perdono né oblio e sebbene la cerchiamo non troveremo giustizia. Perfino Dio si è nascosto perché sa di non poterla amministrare. Non ci può essere giustizia come non può esistere una riparazione possibile per l’impossibile, per l’imperdonabile. O forse si possono restituire le centinaia di vite criminalmente interrate?
Ma dobbiamo cercare la fine di questo tunnel oscuro e insanguinato. La patria non può dissanguarsi senza limiti di fronte ai nostri occhi. La morte e il dolore devono cessare. Non è mai tardi. Né ci sono mezzi deplorevoli per cercarlo.
Posso immaginare il coro dei servili che in questo fine anno applaudono o mormorano i “successi” del loro Comandante. Giuristi, vecchi dirigenti sindacali, sociali e del partito, gente di tutte le professioni. Dai loro timori e dalla loro codardia sognano quotidianamente il proprio capo sempre vittorioso, indispensabile; che uccida, che li mantenga nella carica e li protegga, è la loro parola d’ordine quotidiana. Vivono alla sua ombra come dei salariati della paura.
Altri tacciono. I loro disprezzabili interessi hanno legato la coscienza perduta in futili conforts. Sono i devoti delle merci e della sete di benefici della nuova borghesia. Loro in genere sono in borghese e hanno importanti curricula politici. Rivestono anche alte cariche militari. In attività e a riposo. Nemmeno da questi ultimi c’è nulla o molto poco da sperare. Per questi sembra troppo tardi. Hanno perso la coscienza. Non distinguono più né il rosso né il nero, distinguono solo i “verdoni”, essenza della loro nuova esistenza.
Gli altri, che nella loro maggioranza sono i sostenitori inevitabili, oscillano tra la precarietà della vita quotidiana e la lealtà condizionata all’operatore politico della zona, che protegge l’avallo -ogni trenta giorni- dell’assegno del salario della paura. Da questi ultimi, che formano la maggioranza della sottomissione cosciente, per ora non c’è molto da sperare, ma solo per ora. Con questi nonostante ciò bisogna avere pazienza.
Ma la patria non può dissanguarsi senza limiti e dobbiamo cercare una rapida via d’uscita. Dobbiamo provarci. So che Daniel ha perso tutto quanto ha guadagnato, non rimane più nulla del passato, solo la vergogna di essere stato una volta un attivista di Carlos Fonseca. Sappiamo che non solo ha sotterrato il Fronte. Ha dato gli ordini di assassinare la gente e ha trasformato in criminali centinaia di poliziotti. Ha posto fine ai diritti politici di tutti e ha fatto dei propri intimi dei corresponsabili di crimini di lesa umanità. Crimini senza perdono né oblio.
Rimane solo la penultima opportunità che dobbiamo cercare in nome della patria dissanguata. Al tirano dobbiamo anche dire: Daniel, non è mai tardi. Non importa né il modo né il luogo. Oggi bisogna farsi carico delle conseguenze di quanto fatto. Daniel sa molto bene che Fidel non sarebbe mai stato d’accordo di sparare sul popolo disarmato. Forse Fidel non gli spiegò in ripetute occasioni, quando nel contesto del Periodo Speciale si sollevarono vari quartieri dell’Avana? Fidel andò a camminare da solo, disarmato e senza la sua scorta ordinaria, ad affrontare la sollevazione. Discusse direttamente con loro con un dialogo e una discussione senza dubbio rischiosa e per nulla facile. E lì rivolgendosi alla gente trovarono la soluzione del momento.
Parliamo con verità. Al di là del fatto che è molto certo che l’impero del nord sia insaziabile nel suo desiderio di dominio, al quale le trincee e le barricate non sono mai state in gioco per la gente, i cosiddetti interessi geopolitici, delle virtuali minacce combinate su Cuba, Venezuela e Nicaragua. Dietro la retorica del cosiddetto “effetto domino”, quello che si vuole occultare è che in Nicaragua abbiamo oggi un governo logoro, che ha perso il sostegno popolare e che si vuole mantenere al potere con il sangue e il fuoco.
Ciò di cui si tratta oggi, Daniel, è della tua patria. Di quello che fu la tua gente. Quella che prima salutavi quotidianamente senza timori e che oggi vedi solo dalle alte e lontane tribune militarizzate. Ciò di cui si tratta, è di mettere fine agli arresti, al crimine e alla persecuzione del popolo. Si tratta di rinunciare alla presidenza nel momento in cui si mettono immediatamente in libertà tutti gli innocenti; di permettere il libero ritorno dei rifugiati; di aprire lo spazio affinché siano effettuate elezioni anticipate con onestà, con trasparenza e controllo; di ordinare il disarmo e la smobilitazione di tutti i paramilitari; e di assicurare nuovamente il rispetto di tutte le libertà politiche della cittadinanza.
È imperativo che da parte dei settori sensati, che ancora rimangono nel danielismo, siano assunte senza timori e con coraggio le azioni per fare pressione per una via d’uscita pacifica al conflitto. Bisogna assumere delle responsabilità e smettere di ascoltare le voci che mai si sarebbero dovute ascoltare. Il nobile Popolo del Nicaragua, che ha abbattuto altre volte caudillo e tiranni, che è deciso a tornare a farlo, e che, soprattutto, sa che può confidare solo sulla propria forza -non lo dubito- lo prenderà in considerazione. Non è mai tardi.
*Julio López Campos. Dirigente storico del FSLN. Reclutato da Carlos Fonseca fu capo del Dipartimento delle Relazioni Internazionali del partito, durante il periodo rivoluzionario. Per trenta anni è stato amico di Daniel Ortega e uomo di fiducia.
29-12-2018
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Julio López Campos, “Daniel, nunca es tarde” pubblicato il 29/12/2018 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=250710] ultimo accesso 05-01-2019. |