Pentecostalismo e movimenti sociali


Raúl Zibechi

Tra diversi movimenti sociali latinoamericani si fa strada una nuova lettura del ruolo che stanno giocando le chiese pentecostali nei quartieri poveri delle periferie urbane, e le conseguenze politiche che possono avere.

“Il pentecostalismo è il maggiore movimento autorganizzato dei poveri urbani di tutto il mondo”, afferma l’urbanista statunitense Mike Davis. Le sue opinioni su questo movimento religioso di solito sono completamente rifiutate da molti intellettuali di sinistra. Nonostante ciò, Davis è convinto che “molta gente di sinistra ha commesso l’errore di dare per scontato che il pentecostalismo sia una forza reazionaria, e non è così” (Davis, 2006).

Mike Davis non solo provoca. Apre le menti per indagare senza pregiudizi ideologici e per guardare la realtà dalle necessità della gente. Si spiega: tra i poveri urbani dell’America Latina, il pentecostalismo è una religione di donne che produce benefici materiali reali. “Le donne che si integrano nella chiesa e che possono trascinare i propri mariti a coinvolgersi nelle medesime, spesso godono di notevoli miglioramenti dei propri livelli di vita: gli uomini riducono la loro propensione ad ubriacarsi, o ad andare con le prostitute, o a spendere tutto il denaro nel gioco”.

Bisognerebbe aggiungere che diminuisce anche la violenza domestica. Davis considera che una delle grande attrattive del pentecostalismo, è che “si tratta di una specie di sistema sanitario parallelo”. Per i poveri, la salute implica una situazione di crisi permanente, capace di destabilizzare le loro vite, ogni volta che il neoliberalismo ha destrutturato i servizi statali della sanità e le medicine hanno prezzi irraggiungibili. Constata che nei quartieri periferici i pentecostali hanno conseguito buoni risultati nella riduzione dell’alcolismo, nelle nevrosi e le ossessioni. Con un po’ di ironia, lo definisce come un “sistema di consegna a domicilio di sanità spirituale”.

Brasile, paradiso dei pentecostali

A metà agosto 2008, un gruppo di attivisti dei movimenti sociali urbani convocò un incontro a Brasilia chiamato “Corso di Pensieri Eterodossi”. Per tre giorni un centinaio di giovani dibatterono sul lavoro sociale nelle periferie urbane. Marco Fernandes, storico e psicologo sociale che partecipa a Comuna Urbana Dom Hélder Câmara [1], mostrò il suo interesse ad approfondire la questione delle chiese pentecostali e giunse a conclusioni molto simili a quelle di Mike Davis.

In Brasile la religione cattolica è in crisi. Nel 1980, l’89 per cento della popolazione brasiliana si dichiarava cattolica; nel censimento del 2000 la cifra scese al 74 per cento per cadere al 64 per cento nel 2007, quando il Papa visitò il paese. Nel 1980, Giovani Paolo II riunì due milioni di persone, ma nel 2007 Benedetto XVI giunse appena a 800 mila.

Fu lontano dal battere i record di altre manifestazioni di massa. Tre milioni ne riunì a San Paolo l’ultimo giorno dell’orgoglio gay; 1,5 milioni assistettero allo show dei Rolling Stones a Rio de Janeiro e, a beffa del Vaticano, le chiese evangeliche riuniscono tutti gli anni un milione di fedeli nella Marcia per Gesù.

Il Brasile è simultaneamente il paese con il maggior numero di cattolici ma anche con il maggior numero di pentecostali del mondo. Sono 24 milioni di fedeli, a fronte di solo 5,8 milioni negli Stati Uniti, dove sorse quel aspetto del protestantesimo.

Ma i pentecostali non sono solo una forza religiosa ma anche sociale e politica. Ironia della storia, il maggior partito di sinistra del continente, il PT (Partito dei Lavoratori), che fu creato insieme alla chiesa cattolica, giunse al governo con il vicepresidente pentecostale, José Alencar. La Chiesa Universale del Regno di Dio, a cui appartiene, controlla 70 emittenti televisive, più di 50 radio, una banca, vari quotidiani e ha 3.500 templi (Esnal, 2006). La Rete Record disputa il primo posto dell’ascolto con la mitica Globo, e fattura mille milioni di dollari all’anno.

I pentecostali contano su 61 deputati a fronte dei 91 che si dichiarano cattolici militanti, su un totale di 550 deputati. Il Partito Repubblicano Brasiliano (PRB), legato alla Chiesa Universale, creato nel 2005, a cui appartiene il vicepresidente, è la forza politica con maggior crescita nel paese.

“Chiunque viva nelle periferie urbane del Brasile di oggi, e io da anni vivo lì, può constatare che questo è un fenomeno importante. Anche molti compagni del movimento senza tetto partecipano alla chiesa pentecostale del quartiere. Non possiamo dimenticare che la religione ha giocato un ruolo importante nella formazione della nostra sinistra”, dice Marco (Zibechi, 2008).

Per accostarsi alla sfida che rappresentano i pentecostali per i movimenti sociali, sostiene che bisogna abbandonare i pregiudizi ideologici. Per qualche motivo, dice, il PRB è passato in appena un anno “da mille affiliati a centomila”, qualcosa che nessun altro partito ha potuto fare. La sua intenzione, in primo luogo, è comprendere perché riescono a mobilitare tanta gente, a superare anche l’appello dei concerti dei Rolling Stones in Brasile. “La Chiesa Universale un paio di mesi fa convocò una manifestazione nella spiaggia di Botafogo, a Rio, per raccogliere fondi per ampliare la sua rete di radio e ci furono 650 mila persone, in una città che ne ha 10 milioni. A San Paolo la Marcia per Gesù che organizzano tutte le chiese pentecostali, ha riunito l’anno passato 2,5 milioni di persone”.

Un’alternativa nella favela

Marco afferma che nelle favelas i pentecostali non solo riescono a far sì che molta gente abbandoni l’alcol, ma in certe occasioni riescono a che si allontani dal narcotraffico e dalla delinquenza. E ci riescono senza pressioni. “Tutto consiste nel dare alternative alla gente e speranze di un futuro migliore. Ieri sera ho ascolto la radio pentecostale, una delle tante. Ha chiamato per telefono un tipo che era disoccupato e beve molto. Il pastore ha detto: Io voglio che sappi che anche io ho avuto questo problema”. I pastori si mettono al posto della gente, prima di darle dei consigli.

Marco racconta una storia personale. Un anno fa ebbe una forte depressione di fronte alla morte di uno dei suoi migliori amici, assassinato nella favela, che coincise con un incidente che subirono vari compagni del movimento. “Ero solo a casa, mi sentivo molto male e uscii in strada e alcuni amici mi dicono di andare alla chiesa pentecostale del quartiere. Siccome non mi sentivo bene, andai con loro. La cosa normale in questi casi è che ti senti ad un pelo dal simulare. Ma mi si avvicinò una donna della chiesa e ci disse che eravamo degli invitati speciali e ci mise davanti, avanti a tutti. Ci presentarono, ci chiamarono con i nostri nomi e ci dettero il benvenuto con dei canti, erano circa 50 persone”.

Sentì una trattamento diretto e personale, e un’accoglienza molto calda, qualcosa che gli risultò inattesa. “Il è cominciato con tre pastori. Prima giunge un gruppo di ragazze giovani cantando e ringraziando dio. Cantano molto bene perché provano molto, con palme, con movimenti ritmici. Dopo un gruppo di signore di circa 40 anni, con la banda della chiesa, e ballano un ritmo di samba ma con parole pentecostali. Alla fine un duo di ragazze molto giovani, adolescenti, che cantano e ballano. Tutto quello è durato circa due ore e dopo i tre pastori hanno parlato, ma per appena venti minuti, leggendo la Bibbia. Ossia, fu una festa popolare, un gruppo, dove il messaggio pentecostale non era la cosa centrale”.

Marco, che è ateo, ha confessato che uscì molto bene dalla chiesa, che era scomparsa l’angoscia e si sentiva più “leggero”. “Mi sorprese la disposizione delle sedie, non è come la chiesa tradizionale, ma un circolo grande come facciamo nei movimenti, la gente si guarda mentre canta, mentre fa tutta quella catarsi collettiva. E mentre stava lì pensava che noi potevamo fare quelle cose nei nostri movimenti”.

Quando ci siamo messi ad analizzare le relazioni su scala micro tra le chiese pentecostali e gli abitanti dei quartieri, sono apparsi alcuni dettagli che spiegano il successo di queste religioni. “La gente ha nei propri quartieri una vita monotona, dove nelle domeniche non c’è nulla da fare, perché il quartiere è brutto, non ha servizi, né cinema, né teatro né campo di calcio. In quei quartieri l’unica possibilità per avere un’esperienza gradevole è andare alla chiesa pentecostale, dove avrà un’esperienza estetica impressionante, con musica, con ballo, perché non vanno alla ricerca della verità ma per vivere un momento gradevole, incontrare o fare degli amici, sentirsi parte di una comunità”.

D’altra parte, le chiese pentecostali hanno dei nidi dove le madri possono lasciare i propri figli mentre partecipano al culto. Non bisogna dimenticare, che tanto nei movimenti delle periferie come nelle chiese di quei quartieri le persone più attive sono, sempre e in tutti i casi, le donne madri. In generale, sono donne giovani, minori di 30 anni, con vari figli, senza compagno e con compagni occasionali, su di loro ricade la sopravvivenza della famiglia. E hanno bisogno anche di divertirsi.

“D’altra parte”, dice Marco, “nel culto ci sono colori, gli odori dell’incenso, oltre al canto e alla musica, che facilitano la catarsi. La gente si veste in modo molto tradizionale, certamente le giovani non usano minigonne ma gonne lunghe e i maschi molte volte vanno al culto con il vestito. Un muratore con il vestito si sente in un altro modo”. Per catarsi si intende una commozione interna che produce una sensazione di benessere, simile a quella che si può vivere in un concerto rock o in una partita di calcio.

Al di là della religione

In altri paesi dell’America Latina si possono constatare tra gli attivisti sociali delle preoccupazioni simili a quelle di Marco. Tra i piqueteros argentini e tra i contadini organizzati del Guatemala, si registrano tentativi di comprendere le ragioni per cui tanti attivisti dei movimenti frequentano le chiese pentecostali.

Una cosa certa è che i discorsi anticlericali della sinistra sembrano funzionare solo per gli intellettuali, che tradizionalmente hanno resistito a comprendere la funzione simbolica delle religioni, ma ora anche le conseguenze materiali positive per i loro membri. La Chiesa Universale, per esempio, ha specialisti in micro attività, che orientano i fedeli per attivare le proprie piccole imprese e in qualche modo li aiutano a risolvere il problema della disoccupazione.

Marco spiega le enormi differenze esistenti tra l’attuale realtà e quella che esisteva nel decennio 1960 tra i settori popolari nel periodo in cui le comunità ecclesiali di base (CEBS) contribuirono alla nascita di vari movimenti, tra i quali i Senza Terra, la Centrale dei Lavoratori (CUT) e lo stesso PT. “Le CEBS avevano una pratica molto razionale, adeguata a persone scolarizzate. Per quello separarono dai propri rituali la religiosità popolare più catartica, come quella che c’è nei culti afro, per pregiudizi dicono che si tratta di forme di alienazione, che secondo la loro opinione allontanavano dal punto centrale della coscientizzazione politica”.

Il modello razionale delle comunità di base comporta dei metodi di lettura collettiva della Bibbia come modo di comprensione della realtà. “Era adeguato per un periodo nel quale predominavano la famiglia nucleare più o meno strutturata, il lavoratore dell’industria o dei servizi con un lavoro fisso, i bambini alla scuola e un futuro davanti. Con il neoliberalismo per i settori popolari tutto quello è finito e quei metodi non funzionano. Qui il protagonista non è più l’operaio qualificato, ma la donna e i suoi figli, che non hanno un futuro in questa società”, afferma Marco.

D’altra parte, la religione pentecostale permette che qualunque persona abbia un contatto diretto con lo spirito santo senza la mediazione del pastore. “Quel contatto diretto è la catarsi, la festa, che è quello che desidera la gente quando non ha futuro in una società che non le lascia nessun luogo”.

La maggior parte dei fedeli dei quartieri non appartiene alle grandi chiese, come l’Universale o l’Assemblea di Dio, ma alle piccole chiese con un forte radicamento territoriale. “Uno può pensare che quanto più piccole sono le chiese le relazioni sono più dirette, faccia a faccia. La gente che vive nel medesimo isolato non si conosce, ma si scopre nel culto della domenica”. In molti quartieri della periferia, l’unica costruzione dipinta, bella ma non sfarzosa, è la chiesa pentecostale, che spesso è dipinta dalla stessa gente del quartiere. La chiesa pentecostale crea senso di appartenenza, di comunità.

Molti attivisti sentono un certo pessimismo al momento di rendere compatibile il lavoro di organizzazione dei movimenti sociali con le chiese pentecostali. Ricordano che le comunità ecclesiali di base della chiesa cattolica nacquero in un contesto politico molto differente, e nell’ambito del Concilio Vaticano II che promuoveva la giustizia sociale e difendeva la “opzione per i poveri”.

“Mentre i cattolici non hanno mai approvato la ricchezza, e questo si può vedere anche in un papa conservatore come Benedetto XVI, anche se si può dire che questo sia un doppio discorso, i pentecostali hanno un culto dell’arricchimento individuale. Per questo credo che sia difficile che si leghino ai movimenti sociali, anche se ci sono piccoli settori che sì, lo fanno”, dice Marco.

Una cosa interessante è che la riflessione ideologizzata sta rimanendo indietro. Il desiderio di bellezza, di comunione della musica e della danza, fa parte della pratica del Movimento Senza Terra (MST) del Brasile, quello che loro chiamano “mistica” e che gioca un ruolo rilevante nel consolidamento dei collettivi che occupano le terre. Ma non è stata incorporata dalla maggior parte dei movimenti sociali, soprattutto nelle periferie urbane. “Ogni volta sono più che convinto -aggiunge Marco- che se noi movimenti sociali non siamo capaci di comprendere che la gente ha fame di bellezza, di allegria, non cresceremo né giungeremo alla popolazione che ha più bisogno di cambiamenti”.

Un discorso crudamente materialista, ha fatto dei problemi economici una preoccupazione quasi escludente per la maggior parte delle sinistre, che provengono dalle classi medie universitarie che hanno la convinzione che i pastori pentecostali sfruttano l’ignoranza del popolo, riguardo al denaro che i fedeli apportano. Secondo la sua esperienza come psicologo, Marco lo vede in un altro modo: “Si dimenticano che la gente quando incomincia ad andare nelle chiese incomincia a sentirsi meglio, ricostruiscono le proprie vite e, chiaramente, chi non pagherebbe qualche denaro per questo. Alla classe media non le sembra assurdo pagare molto denaro per una sessione di psicoanalisi, per solo 50 minuti con un signore che appena ti parla e nemmeno di guarda. Ma quello sembra giusto, è una pratica riconosciuta, ‘scientifica’. Ma quello non funziona per le classi popolari”.

Riferimenti

Raúl Zibechi (2008) intervista a Marco Fernandes, Brasilia, 9 agosto.

Davis, Mike (2006) “De la ciudad de Blade Runner a la de Black Hawk derribado”, intervista, 30 luglio in  http://www.sinpermiso.info/textos/index.php?id=689 (Consulta, 30 maggio 2014).

Esnal, Luis (2006) “Brasil: la hora de los pentecostales”, Buenos Aires,  La Nación, 20 agosto.

*Pubblicato in Programa de las Américas a settembre del 2008.

[1] È un’iniziativa urbana del Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra (MST) nel municipio di Jandira, di San Paolo, dove vivono 128 famiglie che hanno costruito le loro abitazioni mediante lavori collettivi.

23 ottobre 2018

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl Zibechi, Pentecostalismo y movimientos sociales” pubblicato il 23/10/2018 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/pentecostalismo-movimientos-sociales-brasil/] ultimo accesso 30-10-2018.

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