Nonostante tutto


Gustavo Esteva

Su di noi regna il male. Tutti i mali usciti dal vaso di Pandora ci sono caduti addosso. Francesco non potrà sgombrare il suo mistero. Ma qualcosa farà, forse, in relazione ai malviventi, sui quali non c’è mistero alcuno.

Nella tradizione cattolica, un mistero non è un puzzle irrisolto, una sfida all’intelligenza o allo spirito investigatore. È qualcosa che il nostro pensiero è incapace di penetrare, qualcosa fuori della portata della nostra comprensione. In questa tradizione, il male è un mistero, il mysterium iniquitatis. Come comprendere la scarnificazione di Julio César od il soffocamento di Juanelo, il figlio di Javier Sicilia? Come comprendere Ayotzinapa, San Fernando o Tierra Blanca? O che il 99% degli interminabili delitti rimanga impunito? Che continuino i femminicidi, i massacri, le sparizioni, le fosse clandestine? Che non sia più possibile distinguere tra il mondo del crimine e quello delle istituzioni? Che funzionari e criminali, alcuni gli stessi, dicano quello che dicono e facciano quello che fanno? Come capire il limite estremo di degrado morale al quale sono arrivati giovani criminali, alti funzionari pubblici e dirigenti di imprese?

Le spiegazioni psicologiche, socioeconomiche, politiche… sono sempre imbarazzanti; sono insufficienti. Nessuna scienza sgombra il mistero. Fin dall’apostolo Paolo, si crede che tra noi sia apparso qualcosa di incredibilmente orribile e senza precedenti, il male. Potremo capirlo solo in un tempo a venire, quello dell’apocalisse, quello della fine dei tempi. Ma questo male, questo mistero, può essere investigato storicamente. Osservare, per esempio, che non è come quello di altre epoche. Sono diventate reali e comuni la perversione, la disumanità, che prima erano solo possibili o eccezionali. Si è perso il senso del bene. Bene e male sono stati sostituiti da valori e disvalori che ci opprimono e distruggono.

Il corrotto, ha scritto papa Francesco, deve distinguersi dal mero peccatore, perché eleva la sua azione a sistema e la trasforma in forma mentale e in stile di vita; perde la dignità e la fa perdere agli altri. Portando pane sporco in casa sua, ha sottolineato, il corrotto ha perso la dignità.

Francesco non sarà ricevuto da meri peccatori, come gli succede da tutte le parti. Si troverà continuamente tra corrotti, tanto del governo come della sua propria Chiesa. Starà tra malavitosi. Li conosciamo bene e sicuramente anche lui. Nel vederli dove stanno, impuni, in molte persone muore lentamente la fiamma della speranza, come dice il Frayba. Ma non muore la fiamma della resistenza. Per rafforzarla, è necessario riconoscere il suo valore e la sua dignità e ravvivare amorevolmente la fiamma della sua speranza. Riuscirà Francesco a vedere tutto questo ed agire di conseguenza?

Pandora, che-tutto-dà, chiuse il suo vaso prima che sfuggisse la speranza. Ma, poiché era vicina ai mali che uscirono, alcuni la contengono: sperando, la gente può mettersi nell’aspettativa di quando agire; o accetta un stato di cose insopportabile aspettando una liberazione futura, in un’altra vita, forse.

Ma la tradizione dominante confida nella speranza. Poiché sono tempi di disperazione, cerchiamo disperatamente la speranza. Da dove viene? si domanda il Majabhárata, il libro sacro dell’India. Siccome è l’ancora di ogni persona, perderla produce un’immensa pena quasi uguale alla morte. Ma è difficile capirla e niente è più difficile da conquistare.

L’abbiamo persa. L’uomo moderno l’ha trasformata in aspettativa ed il suo ethos prometeico l’ha eclissata. La sopravvivenza della razza umana oggi dipende dal fatto che la si scopra come forza sociale, ci disse tempo fa Iván Illich. Ed Agamben suggerisce che ora la cosa importante è scoprire il meccanismo che ha prodotto la declinazione della speranza e contraddirlo.

È quello che hanno fatto gli zapatisti. Nel marzo del 1994, in risposta ad un bambino che aveva scritto loro dalla California, gli zapatisti ammisero di essere professionisti, ma non della violenza, come diceva il governo, bensì della speranza. Nel 1996 proposero di creare l’Internazionale della Speranza. Liberando la speranza dalla sua prigione intellettuale e politica, hanno creato la possibilità della sua rinascita.

La speranza è l’essenza dei movimenti popolari. Non basta il dissenso, lo scontento. Neanche è sufficiente il risveglio critico. La gente si mette in moto quando sente che la sua azione può portare al cambiamento, quando ha speranza. Questo è essere saggi. In lingua tzeltal, la saggezza è avere forza nel cuore per sperare. È quello che oggi si comincia a diffondere, sapendo che la speranza non è la convinzione che le cose accadranno in una determinata maniera. È la convinzione che qualcosa ha senso, indipendentemente da quello che sembri.

Tra noi rinasce la speranza, la speranza contro ogni speranza. Stiamo riuscendo, passo dopo passo, a dare di nuovo senso alle nostre vite, a noi stessi, non al mercato né allo Stato, non alle istituzioni né alle ideologie, per affrontare il male che è caduto su di noi, per fermare i malavitosi, per recuperare il bene. Se può e vuole, Francesco contribuirà a rafforzarci in questo compito.

15 febbraio 2016

La Jornada

http://www.jornada.unam.mx/2016/02/15/opinion/020a2pol

traduzione del Comitato Chiapas “Maribel” Bergamo

Traduzione del Comitato Chiapas “Maribel” Bergamo:
Gustavo Esteva, “Nonostante tuttopubblicato il 16-02-2016 in Comitato Chiapas “Maribel” Bergamo, su [https://chiapasbg.com/2016/02/16/gustavo-esteva-papa/] ultimo accesso 26-02-2016.

 

I commenti sono stati disattivati.