40 anni di “La Patagonia ribelle”: Il film perseguitato


Osvaldo Bayer

La pellicola sull’assassinio di operai anarchici nel 1921 costò l’esilio ai principali attori e all’autore del libro e del copione.

Ha già compiuto 40 anni il film “La Patagonia ribelle”, che potremmo definire come “Il film perseguitato”. Poche volte è successo di proibire con tanta insistenza e aggressività un’opera storica. Ricordo quel 1973, quando il regista Héctor Olivera mi chiamò al telefono e mi disse: “Questa notte sono rimasto a leggere il primo volume del suo libro sugli scioperi patagonici e oggi ho deciso che sarà il mio prossimo film”.

Ci incontrammo il giorno seguente con il produttore Fernando Ayala e firmammo il contratto. Quello stesso giorno cominciai a redigere il copione. Fu presentato alla censura che c’era in quel periodo. Era presidente Cámpora, un uomo aperto. Octavio Gettino, un conosciuto cineasta, guidava l’Ente di Valutazione Cinematografica e immediatamente approvò il copione senza modificare nemmeno una virgola. E da lì passò all’Istituto Nazionale di Cinematografia, dove il suo direttore, il cineasta Mario Soffici, concesse i fondi per la realizzazione del film, senza battere ciglia. Ma non sarebbe stato tutto così facile. Il periodo di Cámpora fu appena una primavera. Prima del ritorno di Perón con López Rega, Cámpora rinunciò affinché fossero fatte nuove elezioni e si potesse eleggere il generale come presidente della Nazione. Al posto di Cámpora, il peronismo collocò niente meno che Lastiri come sostituto alla carica di presidente provvisorio fino a che si fossero fatte le nuove elezioni. L’unico titolo di Lastiri era di essere genero di López Rega, giacché non aveva nessun passato politico. Immediatamente, le cose cominciarono a cambiare.

Una delle prime misure che prese Lastiri fu di proibire il mio libro “Severino Di Giovanni, l’idealista della violenza”. Sentii che crollava il mio mondo di illusioni. Pensai che anche il film “La Patagonia ribelle” avrebbe corso il medesimo pericolo. Ma, ugualmente, cominciammo a filmare e andammo nella lontana Santa Cruz. Lì, il governatore Jorge Cepernic ci dette tutto il suo appoggio. Il fatto è che era per l’appunto figlio di uno scioperante del ’21. Dopo, avrebbe pagato molto caro l’appoggio che ci dette. Durante il governo di Isabel Perón, Cepernic fu detenuto, posto a disposizione del Potere Esecutivo e passò cinque anni in prigione. Mi raccontò di aver domandato al direttore del carcere se lo avevano messo in prigione per il suo governo a Santa Cruz e questo gli rispose: “No, lei è prigioniero per aver permesso di filmare “La Patagonia ribelle” sul suolo santacrusegno e per aver messo la polizia santacrusegna a disposizione per le riprese affinché rappresentasse l’Esercito, il 10 Cavalleria, il reggimento che a suo tempo Yrigoyen inviò a reprimere lo sciopero del ‘21”. Realtà argentine.

Le riprese furono qualcosa di epico. Contammo sull’aiuto di tutto il popolo santacrusegno. Tutti volevano recitare ed essere “figuranti”. Furono giorni di molta attività e pieni di entusiasmo. Da Buenos Aires giungevano voci che la pellicola non piaceva a Perón, che già si era fatto carico della Presidenza della Nazione. Ma la solidarietà del popolo santacrusegno ci dava sempre più coraggio. Terminate le riprese degli esterni nel lontano sud, cominciammo con gli interni negli studi San Miguel. Nel frattempo, il copione era giunto nelle mani dei militari e questi fecero sapere che non avrebbero permesso il finale che era stato pensato: quando le puttane di San Julián impedirono ai soldati fucilatori di braccianti agricoli di entrare nel postribolo. Un vero finale epico e vero per un film storico. I militari dissero che sarebbero scesi in strada il giorno dell’inaugurazione e non avrebbero permesso di inaugurare il film. Ci fu un tira e molla e alla fine accettammo di mettere un’altra scena finale per poter così far conoscere il tema della repressione degli scioperi patagonici, un tema sempre così occultato.

Ma i problemi sarebbero continuati. In quell’epoca, i film, una volta terminati, erano sottoposti ad un altro controllo della censura. Il nostro doveva essere approvato per la sua presentazione da un comitato composto, tra gli altri, da un membro delle Forze Armate. Che, una volta visto il film, si ritirò dicendo che lui non lo avrebbe approvato perché “diffamava le Forze Armate della Nazione”. E questo non era così perché non venivano “diffamate” ma sullo schermo veniva riprodotta la verità storica, come dire, come fu applicata la pena di morte. Non essendo approvato il film restò nel “limbo”: né respinto né approvato. Rimase così per settimane, fino a che alla fine la pressione dell’opinione pubblica fece sì che fosse approvata la sua presentazione. Di più, dopo che “La Patagonia ribelle” aveva ottenuto niente meno che l’Orso d’Argento al Festival Internazionale di Berlino del 1974. Fu inaugurato al cinema Broadway, con grandi applausi. Fu un successo totale di pubblico. Ma le cose non sarebbero continuate così. López Rega e le sue Tre A furono più potenti e il 12 ottobre di quell’anno il film fu proibito. E condannati a morte l’autore del copione e gli attori protagonisti. Il comunicato delle Tre A dava 24 ore di tempo affinché i condannati lasciassero il paese. Cominciava così un lungo esilio per i principali attori e per me, l’autore del libro. Esilio che fu prolungato con l’arrivo della dittatura della scomparsa delle persone.

Quasi un decennio dopo, caduta la dittatura, noi esiliati potemmo tornare nel paese e il film poté essere nuovamente rappresentato. Fu un successo totale in quel gennaio del 1984. Ancora risuonano nelle mie orecchie gli applausi del pubblico quando sullo schermo tornava a vedersi l’epopea dei braccianti patagonici e della loro ingiusta morte sotto i proiettili dell’Esercito Argentino.

Così per la storia è andato “La Patagonia ribelle”, che costò l’esilio ai principali attori e all’autore del libro e del copione. A volte possono passare molti anni, ma alla fine l’etica trionfa, nonostante dittature, armi, proibizioni, carceri e crimini. I dittatori sono sepolti nella dimenticanza o nei carceri della democrazia. La verità storica si impone nonostante minacce, persecuzioni e proibizioni.

Film:http://youtu.be/kO4lpcLATJI

28/4/2014

La Haine

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Osvaldo Bayer, “40 anos de La Patagonia rebelde: El film perseguidopubblicato il 28-04-2014 in La Haine, su [http://www.lahaine.org/index.php?p=77189] ultimo accesso 03-05-2014.

 

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