Agli USA conviene la guerra in Messico?


Rafael de la Garza Talavera

Già da quasi sei anni si vanno discutendo le ragioni che hanno favorito la guerra in Messico, proponendo che queste generalmente si basano sui benefici che producono all’economia e alla società statunitense. Questi benefici si potrebbero essenzialmente raggruppare in tre componenti: il lavaggio di denaro effettuato dalle grandi banche e lo stimolo che rappresenta per la speculazione e il mantenimento di alti profitti; lo stimolo all’industria delle armi, potente gruppo di interessi che controlla buona parte dell’apparato dello stato; e lo stimolo che rappresenta il discorso bellicista che continua a basarsi sul destino manifesto di essere l’ago della bilancia nel mondo e il sostenitore della democrazia.

Rispetto al primo “beneficio”, per nessuno è un segreto che il lavaggio di denaro rappresenta – in tempi di depressione mondiale come stiamo vivendo – una spiegazione che produce enormi profitti che non sono dichiarati al fisco, cosa che permette di mantenere tassi di profitto attraenti per la speculazione finanziaria, mantenendo così l’illusione che tutto vada bene.

Da parte sua, e di fronte al graduale ritiro dell’esercito dall’Irak, l’industria militare ha bisogno di trovare nuovi mercati per assorbire ciò che sembra essere il segmento industriale strategico dell’economia statunitense. E con questo non mi riferisco solo alla vendita di armi e tecnologia militare ma anche di mercenari e di spionaggio militare, sostanzioso affare di alcuni. A sua volta, l’industria militare e i suoi lacchè alla Casa Bianca insistono nel mantenere un discorso bellicista, molto simile a quello che fu usato negli anni della Guerra Fredda, che serve come base per continuare ad ingannare il popolo statunitense sulla propria responsabilità di fronte alla Storia (con la maiuscola per indicare il suo carattere storicista) e ai sacrifici che questo comporta.

Da quanto detto precedentemente qualcuno potrebbe dedurre che la guerra in Messico conviene agli abitanti degli USA, ma una analisi più approfondita potrebbe portare ad una conclusione opposta. E il fatto è che il lavaggio di denaro beneficia il settore finanziario, che si dedica al profitto facile a detrimento della produzione e della creazione di posti di lavoro, impoverendo sempre più la popolazione e provocando la crescita della disuguaglianza. Il dimagrimento della classe media statunitense non fa prevedere nulla di buono in termini di pace sociale. Gli omicidi di massa nelle scuole sono, in parte, la conseguenza dell’angoscia in cui vivono i fortunati che ancora possono immaginare di realizzare il sogno americano. Ma anche la crescita del razzismo e della discriminazione, poco a poco prefigurano una fase di polarizzazione sociale, anticamera di una guerra civile.

Ugualmente, la prosperità dell’industria militare e i suoi benefici, limitati ad alcuni, accredita l’idea che solo per mezzo delle armi e della violenza sia possibile recuperare il paradiso perduto; le istituzioni incaricate della sicurezza sono parte del problema e non la soluzione. Il dialogo e il consenso passano in secondo piano e quantunque l’industria cresca sarebbe illogico pensare che da sola possa riavviare la crescita dell’economia e frenare la decadenza. Di fatto, quelle armi che passano la frontiera sud sono e saranno casomai utilizzate contro i loro produttori. Il caso dell’operazione “Rápido y Furioso” ne è solo l’esempio. In altre parole, quelle armi danno alla delinquenza organizzata maggior potere e capacità per continuare a crescere e controllare non solo a sud del Rio Bravo ma anche al nord.

Ma forse la cosa più grave di tutte è l’incitamento al logoro discorso basato sul Destino Manifesto, che invece di reimpostare il futuro del paese come una opportunità storica lo getta nel baratro con l’illusione di recuperare l’impossibile. L’inganno della retorica bellicista è che occulta la crisi che attraversa la società statunitense, semplicemente e ingenuamente ignorandola, cosa che sta provocando una enorme frustrazione e allo stesso tempo approfondendo, con avventure come quella dell’Irak, la crisi economica che attraversa. Negli USA i politici continuano ad utilizzare l’idea della superiorità – molto sullo stile di Hitler al suo tempo – per occultare ai propri rappresentati la debacle. E tutti sappiamo come è finito il sogno nazista.

Rimane da dire che in Messico, i nostri governanti si sono sottomessi vergognosamente ai disegni del Pentagono e non smettono di dire, a chi ancora li ascolta, che non c’è altro cammino che la guerra contro il narcotraffico. La loro fermezza “patriottica” si fonda sul loro desiderio di ricchezza e potere, anche se da lacchè. Dopotutto il disprezzo per i loro compatrioti è inversamente proporzionale all’ammirazione che hanno per la retorica della supremazia. È per questo che invece di pensare a risolvere il problema qui, si occupano di più di vedere come possono mantenere il sogno dei loro padroni, semmai molti di coloro che ora fanno la guerra finiranno col vivere a San Antonio, Houston o New York per evitare le conseguenze della guerra che hanno incominciato.

In questo senso, in Messico pensiamo che i nostri vicini del nord debbano mettere in conto che la guerra contro il narcotraffico non li favorisce in nessun modo. Che provocare un incendio nella casa del vicino mette a rischio la propria, prima o poi, se il fuoco cresce, inesorabilmente la devasterà. È per questo che da qui facciamo un appello ad un popolo che si contraddistingue per i suoi ideali di libertà affinché, come lo fecero negli anni sessanta e settanta quando si opposero alla guerra in Vietnam, si oppongano senza indugi alla guerra che stiamo vivendo in Messico. Che si oppongano giacché questa favorisce i padroni del danaro, gli stessi che hanno saccheggiato l’erario per salvare le banche, e non i loro figli o nipoti, poiché se le cose continuano come stanno saranno obbligati a combattere l’incendio non al sud della frontiera, ma sotto i loro piedi, nella propria casa.

04-04-2012

Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Rafael de la Garza Talavera, “¿Le conviene a los EEUU la guerra en México?” traducido para Rebelión por S., pubblicato il 04-04-2012 su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=147241&titular=¿le-conviene-a-los-eeuu-la-guerra-en-méxico?-], ultimo accesso 04-04-2012.

 

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