Ecuador: Dittatura civico-militare


Raúl Zibechi

Dal trionfo della sollevazione indigena e popolare dell’ottobre 2019, le classi dominanti stavano cercando il modo di isolare, delegittimare e sconfiggere i movimenti dal basso. Prima fu il governo di Guillermo Lasso (2021-2023) quello che cercò di fare i primi passi, dopo che Lenin Moreno (2017-2021) avevo promosso un forte riarmo della forza pubblica. Dichiarando la lotta indigena come “terrorismo”, Lasso volle andare più in là ma inciampò sulle sue stesse corruzioni.

Con Daniel Noboa (insediatosi nel novembre del 2023) incomincia a chiudersi il cerchio della militarizzazione dell’Ecuador, con un solido sostegno degli Stati Uniti, che manovra i fili della marionetta-presidente, impresario con affari nel cuore dell’impero. Per questo hanno dovuto utilizzare i mezzi adeguati per intimorire la popolazione, in modo che questa “chiedesse” repressione. Il 9 gennaio, il governo approva uno stato di “conflitto armato non internazionale”, che presuppone la militarizzazione del paese e delle carceri, che passano sotto il controllo diretto delle forze armate.

Ma si militarizzano, inoltre, alcune attività estrattive che passano ad essere “sorvegliate” dai militari per impedire che le comunità indigene interferiscano nel loro sviluppo. Questo ci dice che, ugualmente a Nayib Bukele, la militarizzazione è soltanto il mezzo per controllare le popolazioni e facilitare il saccheggio.

Un esempio è quanto successo a Palo Quemado e a Las Pampas, provincia di Cotopaxi, con l’arrivo di 500 poliziotti e militari per proteggere il progetto minerario La Plata dell’impresa canadese Ático Mining. Con la loro presenza si è intensificata la repressione poliziesca e militare contro la resistenza anti mineraria, fatto che ha aumentato il conflitto e ha provocato feriti gravi. La Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha messo in discussione l’uso di tipi penali quali sedizione e terrorismo per criminalizzare la protesta sociale.

Terrorismo di stato

La disastrosa corsa verso l’abisso che attraversa l’Ecuador si può riassumere in tre quadri, come se fossero fotografie.

Il primo è il decreto presidenziale del 20 maggio, che trasforma il Ministero della Donna e dei Diritti Umani in Ministero della Politica Criminale e dei Diritti Umani. Il decreto aggiunge che il nuovo nome non implica che si smettano di espletare le funzioni che già aveva, alle quali si aggiungono e sovrappongono quelle legate alla politica criminale.

Il secondo è che il giorno dopo dell’emissione del menzionato decreto, il 21 maggio, le Forze Armate hanno arrestato l’avvocata Paulina Reyes, che aveva denunciato torture ai prigionieri nelle carceri. La Reyes era riuscita a filmare torture ai giovani, fatto che fece infuriare gli uomini in uniforme.

Il terzo quadro dice che il presidente Daniel Noboa è il più popolare del Sudamerica con il 58% di approvazione, seguito da Javier Milei con il 55%. Da parte sua, il salvadoregno Nayib Bukele raggiunge l’88% di approvazioni.

Lo sfondo è la brutalità militare nelle carceri. Il collettivo femminista e anticarcerario Mujeres de Frente sta denunciando situazioni molto gravi nelle prigioni che prefigurano quello che le élite hanno pianificato di fare con la società nel suo insieme. Nelle sue reti sociali, il collettivo denuncia che i prigionieri non ricevono alimenti, che ci sono torture fisiche e che la violenza è quotidiana.

Nel carcere di Machala, i prigionieri “stanno mangiando bucce di platano per mancanza di cibo, stanno utilizzando buste di plastica per depositare i loro escrementi e non ricevono l’autorizzazione di lavarsi” (17 maggio in Facebook). Nel carcere di Cotopaxi informano di “morti per tubercolosi e HIV non curati” e di malati per inazione (14 maggio in Facebook). Tra le molteplici denunce, Mujeres de Frente afferma che in tutti i casi le vittime sono persone “razzializzate e impoverite”, e aggiunge la scomparsa di cinque morti nel carcere di Cotopaxi che sono stati “interrati in fosse comuni in differenti cimiteri del paese” (21 maggio in Facebook).

Il 1° maggio l’Alleanza Contro le Prigioni ha emesso un comunicato nel quale denunciano “fame” in varie prigioni, “tortura da parte delle forze armate”, con casi estremi di “persone svenute per mancanza di cibo, persone che si infliggono da sé ferite per la disperazione”.

Insomma, carceri trasformate in “campi di concentramento e sterminio”, secondo quanto denuncia l’Alleanza, che termina il suo comunicato dicendo: “Ci rifiutiamo di accettare una società di corpi a perdere”.

Governare per il capitale e l’impero

Come succede in El Salvador, in Messico e in quasi tutta la regione, la militarizzazione è accompagnata dall’aumento dell’estrattivismo. Da un lato, abbiamo la militarizzazione delle istituzioni. Il collettivo Desde el Margen segnala che “la cosa più preoccupante di questo ministero della Politica Criminale è che sarà in mano ai militari che saranno gli incaricati di ricevere le denunce sui diritti umani e di processarle. Diciamo che questo è un ministero per l’impunità”. Di conseguenza, sostengono che “stiamo vivendo una dittatura civile-militare-imprenditoriale mafiosa”.

La sociologa Natalia Sierra sostiene che questo processo di individuare possibili nemici interni cominciò dopo la sollevazione del 2019, processo interrotto dalla corruzione del governo di Lasso. “Con Noboa si produce un allineamento completo con la necropolitica degli Stati Uniti e con gli obiettivi economici del FMI. Noboa apre spazi per cedere sovranità agli USA e i militari appaiono nelle strade oltre che nelle carceri. Hanno lavorato sulla soggettività della popolazione costruendo un tipo di soggetto che rinuncia alle proprie libertà e ai diritti umani in onore della sicurezza”.

In La Jornada del Campo, edizione di febbraio, la Sierra ha sostenuto che l’espansione del capitale criminale richiede un tipo specifico di governabilità che garantisca la sua riproduzione. Una forma di governo che “amministri la violenza e la morte che comporta questo tipo di economia”. La dichiarazione di conflitto armato interno del 9 gennaio 2024, è stata accompagnata da un accordo di cooperazione con gli Stati Uniti.

Conclude che “il neoliberalismo si trasforma in necroliberalismo quando la sua politica di libertà economica e libero mercato è diretta a garantire gli affari del capitale criminale; e quando lo stato minimo in politica sociale e massimo in politica repressiva, c’è per amministrare la morte, decidere chi deve morire per garantire gli affari”.

L’accumulazione per saccheggio è accompagnata dalla militarizzazione e dal capitale criminale, che lavorano insieme per imporre un tipo di governo capace di abbattere le resistenze dei popoli per prendere d’assalto i loro territori. Un tipo di governo che finge di essere democratico perché proviene da un simulacro di elezioni, nelle quali non si sceglie nulla di importante ma soltanto chi amministrerà il saccheggio. Chiamarla “fascismo” può essere una distrazione.

L’importante è che, sia o no fascismo, questo stato militare non lo si sconfigge votando ma con una prolungata e ferma resistenza non violenta, massiccia e contundente, capace di sopravvivere alla catastrofe che quelli in alto ci stanno imponendo con la forza.

Un punto chiave che permette o impedisce la resistenza è la paura. I militari sono specialisti nel mettere paura. Ai prigionieri nella dittatura mettevano cappucci, simulavano fucilazioni  e dopo veniva la picana (pungolo elettrico). Pensiamo a quali siano i cappucci che mettono alle società (mezzi di informazione?) e a come mettono paura attraverso il “crimine organizzato” dallo stato e dai militari. Abbiamo appreso che controllare la paura, come dicono le donne zapatiste, è un passo necessario per poter resistere.

Foto: Mujeres de Frente

22 maggio 2024

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl Zibechi, Ecuador. Dictadura cívico-militar, pubblicato il 22-05-2024 in Desinformémonossu [https://desinformemonos.org/ecuador-dictadura-civico-militar/] ultimo accesso 24-05-2024.

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