Argentina: Risoluzione antimapuche a Mendoza, cronaca di un razzismo annunciato


Oscar Soto

La Legislatura provinciale ha votato una risoluzione che non riconosce l’esistenza del Popolo Mapuche, nonostante ogni evidenza storica e antropologica. È stato il risultato di una campagna negazionista e discriminatoria guidata dal governo di Cambia Mendoza. Con dietro interessi minerari e petroliferi, i deputati mendozini hanno aperto il cammino a politiche e azioni razziste.

Mendoza / Nel gennaio del 2023 l’INAI (Istituto Nazionale degli Affari Indigeni) ha fatto conoscere la riaffermazione dell’occupazione “attuale, tradizionale e pubblica” di tre comunità appartenenti al Popolo Mapuche nel sud della provincia di Mendoza. Da allora il Governo di Mendoza -in accordo con settori politici, mediatici, imprenditoriali e giudiziari- ha instaurato il rifiuto e la criminalizzazione delle comunità originarie fino a quando, alla fine, mercoledì la Camera dei Deputati della Legislatura provinciale ha approvato un progetto di risoluzione nel quale si afferma che “i mapuche non devono essere considerati popoli originari argentini”.

Il riconoscimento della abitabilità storica di famiglie che hanno un posto su 21.370 ettari appartenenti al Lof El Sosneado (al confine tra Malargüe e San Rafael), 3.584 metri quadrati del Lof Suyai Levfv in Los Molles (Malargüe) e 4.477 ettari del Lof Limay Kurref (Los Molles, Malargüe),  è stato il risultato di più di dieci anni di lavoro con il quale l’INAI ha rispettato la Legge Nazionale 26.160; norma che si inquadra nel riconoscimento dei diritti territoriali indigeni dell’articolo 75, comma 17, della Costituzione Nazionale.

Mendoza non ha mai avuto istituti in materia di politica indigena, quello che ha è un numero significativo di, almeno, 32 comunità indigene. Per potere portare a termine un’azione come questa, l’INAI ha realizzato un accordo di collaborazione con la Direzione dei Diritti Umani della provincia nel novembre del 2009. Questa rilevazione non ha implicato una “cessione di terre”, nonostante ciò, quello che è stato fatto rispettando strettamente la Legge è stato di riconoscere il possesso comunitario indigeno, esercitato attualmente, tradizionalmente e pubblicamente. Il possesso è una situazione di fatto, non di diritto. Si tratta di un atto di giustizia ai corpi bruciati dal sole che portano al pascolo i loro animali in terre un tempo libere -anche questo, chiaro, non implica proprietà del territorio-.

Se l’impalcatura giuridica nazionale e le prescrizioni normative di carattere internazionale (tra loro la Convenzione 169 dell’OIL) sostengono il rilevamento territoriale delle comunità contadine e indigene, com’è possibile che il senatore nazionale Alfredo Cornejo insieme all’Uditore Generale della Nazione, Miguel Ángel Pichetto, utilizzino l’aula magna dell’Università Nazionale di Cuyo per confutare il diritto all’identità ancestrale?

Risulta lecito che il governo provinciale di Cambia Mendoza si opponga ai rilevamenti dell’organismo nazionale quando -così come sostiene il geografo mendozino Marcelo Giraud- durante il governo di Mauricio Macri furono valide le risoluzioni 477/2018 e 478/2018 con le quali furono riconosciuti 58.139 e 52.549 ettari, rispettivamente, alle comunità mapuche Felipin e Cayupan?

Dalle prime apparizioni di Suarez e Cornejo che negavano il valore delle comunità originarie, passando per il trattamento mediatico, fino all’invocazione di intellettuali legittimatori di questa narrativa razzista, le forze provinciali di governo hanno delicatamente rimosso ognuno dei pezzi che hanno spianato il cammino della negazione ufficiale del Popolo Mapuche.

Mendoza, terra cilena

La “Conquista” può tutto. Il territorio generoso di Mendoza fece parte del Cile dalla sua fondazione nell’anno 1561 fino a quando, con la creazione del vicereame del Río de la Plata (1776), questa regione passò a far parte della giurisdizione del viceré con sede a Buenos Aires. Dopo quegli anni, José Francisco de Amigorena coordinò il compito di penetrare questa frontiera sud ribelle, di indigeni non sottomessi, tra le quali la “gente nata dalla terra” si muoveva, commerciava, produceva e resisteva. Se si riesamina solo questo capitolo tumultuoso della storia regionale, almeno due certezze sono constatabili: una è che Mendoza era più cilena dei popoli originari preesistenti e, seconda, che il sud è sempre stato un problema per gli obiettivi tattici delle classi dominanti.

Come ha ben proposto l’antropologa Florencia Roulet, nell’attuale territorio provinciale non ci fu una tardiva sostituzione dei popoli originari huarpe, puelche e pehuenche da parte di ipotetici “mapuche”, in ogni caso il principale veicolo della lingua e della cultura mapuche nella regione furono, da almeno il secolo XVII, i medesimi pehuenche. Il riferimento mapuche -la cui traduzione è “gente della terra”- è meno di un gruppo stretto e statico che una vera categoria identitaria forgiata nel corso del XIX secolo.

Questa categoria, come poche, fu quella che riuscì ad abbracciare huilliche, moluche, lafquenche, picunche, pehuenche, pampa e non il modo invasore che propone l’intellettualità segregazionista, come la storica Andrea Greco -rappresentante dei settori integralisti del cattolicesimo locale- che giudica il Popolo Mapuche come “assassini, ladri e usurpatori” e Pablo Lacoste, insieme all’archeologo Gustavo Neme, che avevano già chiesto il DNA delle comunità originarie. Questi intellettuali sono stati convocati dalle forze di governo alle udienze che hanno preceduto la votazione nell’aula e sono citati nella risoluzione antimapuche.

Con queste argomentazioni, e nonostante ogni evidenza storica, le legislatrici  di Cambia Mendoza, Cecilia Rodríguez (UCR), Evelin Pérez (UCR) e Josefina Canale (PDP), hanno elaborato la comunicazione mediante la quale il potere legislativo provinciale si oppone alla validità della Legge 26.160 sull’emergenza delle terre tradizionalmente occupate dalle comunità indigene, non riconosce quanto disposto dall’INAI nelle risoluzioni 36/2023, 42/2023 e 47/2023 dopo un decennio di rilevamento catastale, giuridico antropologico e geografico, e come se questo fosse poco: afferma che i mapuche non devono essere considerati popoli originari argentini nei termini dell’articolo 75, comma 17, della Costituzione Nazionale e dei Trattati Internazionali.

Detta iniziativa surrealista alla fine si è consumata lo scorso mercoledì 29 marzo con 30 voti positivi, 8 negativi, 6 astensioni e 4 udienze. Tra coloro che hanno votato affermativamente si trovano legislatori del Fronte di Tutti che si sono staccati del kirchnerismo, originari di San Rafael. Mentre all’interno la Legislatura consumava il fatto, che per essere tragico elude l’aggettivo di comico, fuori della casa delle leggi famiglie e comunità indigene manifestavano davanti all’edificio recintato e circondato da poliziotti.

Ñushpi Quilla Mayhuay Alancay è una donna indigena Quecha-Colla, oltre ad essere una studentessa di avvocatura e incaricata dell’Area Popoli Originari dell’organizzazione di diritti umani Xumek. Mentre il freddo della mattinata mendozina era rotto dal canto delle comunità e dalle grida che simulavano un Trawn (grande incontro mapuche), Ñushpi alzava la voce per rendere chiaro che “siamo di fronte ad un inedito sopruso alle garanzie costituzionali sulla nostra preesistenza, in fondo diceva che quello che succede è che si attacca la nostra cosmovisione, la nostra identità e la nostra filosofia di vita che ci hanno portati a tenerci in piedi e resistere per più di 500 anni”.

La protesta delle comunità che sono giunte da Malargüe, San Rafael, San Carlos, Lavalle -avendo lasciato da parte i compiti dell’allevamento transumante- sembrava un sussurro rispettoso e amabile di fronte alla rigidità dei corpi dei poliziotti appostati nell’edificio legislativo. Le whipala e le insegne tradizionali non smettevano di denunciare un altro nuovo atto di negazione identitaria. L’idea del mapuche nemico interno e venuto da oltre la Cordigliera ha ottenuto un’altra vittoria di Pirro.

Risoluzione antimapuche, un non senso in tempi di odio

Tutte le prove documentali fatte conoscere in questi mesi, dalle indagini archeologiche che rendono conto con larghezza che la Cordigliera delle Ande non rappresentò un limite tra le popolazioni ancestrali, passando per antropologi, storici e comunità indigene, hanno validato con efficacia le forme identitarie che perdurano ancora nel tempo e la cultura indigena persistente in questi territori. Nonostante ciò, per gli interessi politici del Governo e i desideri di gruppi imprenditoriali questa prova non basta.

Il ricercatore Martin Vilariño ricorda che alla fine del XVIII secolo e agli inizi del XIX tra gli ispani-creoli di Mendoza si era conoscenza dell’utilizzo di diversi minerali da parte del Popolo Mapuche (il sale o l’argento, per esempio), di fatto, per il 1758, le miniere d’oro che erano proprietà del Capo Ancanamú erano menzionate da Francisco Amigorena come parte degli obiettivi della campagna militare genocida. Sulla stessa linea, risulta evidente che la trama economica e le enclave minerarie e petrolifere, oltre ai tentativi di controllo delle sorgenti d’acqua, spiegano meglio il movente dei roquisti contemporanei (Roque Sáenz Peña, presidente argentino dal 1910 fino alla sua morte, ndt).

Deplorevolmente, la deriva di questa cronaca con un finale annunciato apre le porte a qualsiasi tipo di azione violenta. Se la Legislatura provinciale elabora un documento anacronistico e razzista come questo, cosa ci si può aspettare da narrative d’odio come queste in piena società civile? Alla fin fine, la “Conquista” può tutto.

31 marzo 2023

Agencia Tierra Viva

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Oscar SotoResolución antimapuche en Mendoza: crónica de un racismo anunciadopubblicato il 31-03-2023 in Agencia Tierra Vivasu [https://agenciatierraviva.com.ar/resolucion-antimapuche-en-mendoza-cronica-de-un-racismo-anunciado/] ultimo accesso 07-04-2023.

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