Perù ribelle: il popolo chiede che se ne vadano tutti


Mariana Álvarez Orellana

Dopo la destituzione e la carcerazione di Pedro Castillo, il passato 7 dicembre, il Perù è stato coinvolto in un aggravamento della crisi politica quasi permanente in cui da anni ha vissuto e in crescenti proteste cittadine nelle città e nelle regioni, che includono blocchi stradali e occupazioni di aeroporti e università, con una dura repressione che ha fatto almeno otto morti.

Quello di Dina Boluarte, è stato un esordio presidenziale con repressione, morti e il taglio del mandato presidenziale per la pressione popolare, giacché il Perù questo lunedì ha vissuto un’altra giornata di estrema tensione, non ammorbidita neanche dall’annuncio della presidente Dina Boluarte di promuovere l’anticipazione delle elezioni ad aprile 2024.

Nel frattempo, i governi di Argentina, Colombia, Messico e Bolivia hanno fatto un appello a dare in Perù la priorità “alla volontà cittadina” e hanno esortato “coloro che fanno parte delle istituzioni ad astenersi dall’andare contro la volontà popolare espressa con il libero suffragio”.

“Sollecitiamo le autorità a rispettare precisamente i diritti umani del presidente Pedro Castillo e a garantirgli la protezione giudiziaria nei termini consacrati nell’ultimo articolo citato”, hanno aggiunto. Dopo aver fatto gli auguri alla golpista Boluarte, il presidente argentino Alberto Fernández, ha firmato questo comunicato congiunto.

L’ufficio dell’Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani si è dichiarato “profondamente preoccupato per la possibilità di un aumento della violenza”. In un comunicato emesso a Ginevra, l’ufficio ha dichiarato che “data la quantità di proteste, inclusi scioperi, previste per questa settimana, facciamo appello a tutti coloro che sono coinvolti ad esercitare moderazione”.

Dal momento in cui il deposto presidente ha annunciato la dissoluzione del Congresso unicamerale e che questo, in risposta, lo ha sollevato dall’incarico per insolvenza morale e ha investito come nuova capa dell’Esecutivo la fino allora vicepresidente, Dina Boluarte, sono cresciute le proteste dei simpatizzanti di Castillo e gli scontri tra questi e le forze di polizia.

Finora, l’episodio più grave ha avuto luogo nell’aeroporto di Andahuaylas, dove i manifestanti hanno circondato il terminal, hanno incendiato la sala di transito e hanno impedito l’uscita di mezzo centinaio di lavoratori e di agenti della Polizia. In questa località del sud del paese, i repressori hanno ucciso due giovani che partecipavano alle proteste ed è stata incendiata la sede della polizia. Dirigenti sociali locali si sono dichiarati in insurrezione popolare e hanno annunciato uno sciopero indefinito a partire da oggi.

Nelle proteste confluiscono un esteso sentimento dell’ “andatevene tutti” e la richiesta di un’anticipazione delle elezioni prima del 2024, la rabbia contro un Congresso identificato con la corruzione e con una destra antidemocratica che si è riunita per abbattere Castillo, profonde disuguaglianza e richieste sociali rimandate, e anche un sostegno a Castillo, ora in prigione.

A Lima, la capitale del paese, centinaia di manifestanti hanno circondato il Congresso, al cui interno si è registrata tra i legislatori una rissa con botte, fatto che ha comportato la sospensione della sessione. Le mobilitazioni sono proliferate anche a Cajamarca, Cusco, Arequipa e Puno, e si sono moltiplicati i blocchi stradali in diversi punti della mappa peruviana.

Gli studenti hanno occupato l’università della Cajamarca e hanno cercato di fare lo stesso nei centri di studio di Jaén e Chota. Il denominatore comune delle manifestazioni è la richiesta di realizzare nuove elezioni generali e la dissoluzione del Congresso. È stata chiesta anche la rinuncia della Boluarte e il ritorno di Castillo alla Presidenza. A questa richiesta si sono uniti i governatori provinciali e un’infinità di organizzazioni sociali.

L’attenzione è posta nella reazione del Congresso alla proposta di elezioni anticipate, giacché implica per loro di ridurre il proprio mandato a due anni. Per ridurre mandati, come quello presidenziale e legislativo, è necessario farlo in due legislature consecutive, un processo che può durare fino ad un anno, secondo le leggi peruviane. E per convocare elezioni anticipate è necessaria una riforma costituzionale.

Si chiede un’Assemblea Costituente per cambiare la Costituzione ereditata dalla dittatura di Alberto Fujimori. La destra ha bloccato nel Congresso questa possibilità.

In un tentativo di frenare l’ondata di manifestazioni, lunedì il governo della Boluarte ha destituito 26 prefetti regionali del paese, nominati dal governo di Castillo, con l’argomento che “aizzano le proteste”. Ha anche dichiarato uno stato d’emergenza “nelle zone ad alta conflittualità sociale”.

Nel frattempo, attraverso Twitter e dalla sua prigione, Castillo ha denunciato di essere stato “umiliato, isolato, maltrattato e sequestrato”. E ha aggiunto: “Non rinuncerò né abbandonerò le mie alte e sacre funzioni”.

Nonostante i molteplici errori, tra i quali quello di allontanarsi dalle basi sociali che lo hanno portato al governo, si è ostinato a muoversi dalla sinistra al centro e ha anche coinvolto nel suo gabinetto figure della destra per eludere le molestie del Legislativo, fatto che gli è valsa una significativa perdita di sostegno sociale. Ma il deficit di sostengo di Castillo è ampiamente superato da quello del Congresso, che mostra un’impopolarità superiore all’80 per cento, secondo i sondaggi, e non è migliore la situazione di Dina Boluarte.

Senza dubbio, l’unica via d’uscita a questo nuovo giro di vite dell’eterna crisi peruviana è l’appello a nuove elezioni e la convocazione di un congresso costituente che corregga il pessimo disegno istituzionale -eredità di Alberto Fujimori-, sotto il quale negli ultimi sei anni il Perù ha visto sfilare altrettanti presidenti.

“Chiudete il Congresso corrotto e golpista”, “Dina traditrice rinuncia”, “Nuove elezioni”, “Andatevene tutti”, sono le principali richieste che si ascoltano e leggono nelle mobilitazioni che abbracciano buona parte del paese, includendo Lima. “Castillo libertà” è un altro proclama che si ascolta tra i settori dei manifestanti.

Nelle strade e in settori del Congresso vicini a Castillo si chiede l’immediata rinuncia della Boluarte, accusata come “traditrice”. Con la rinuncia della Boluarte si accelerebbero le nuove elezioni, che sarebbero convocate in quattro mesi.

Il problema, con questa alternativa che alcuni propongono, è che fino a quando prenderà possesso il nuovo governo la presidenza del paese sarebbe assunta dal titolare del Congresso, il generale in congedo di estrema destra José Williams, accusato di violazioni dei diritti umani, che avrebbe al suo lato la maggioranza parlamentare, con l’alto rischio che questo significherebbe per la democrazia.

Da parte della destra hanno criminalizzato le proteste, hanno chiesto al governo più repressione, hanno gridato “mano dura” e hanno chiesto che le Forze Armate occupino le strade. Minacciosi, hanno accusato i legislatori di sinistra di essere “terroristi” per aver difesa la protesta e condannato la repressione. Da parte della sinistra hanno denunciato “un uso eccessivo della forza”, hanno chiesto di far cessare la repressione e hanno raccolto le richieste popolari di anticipazione delle elezioni e di un’Assemblea Costituente.

Castillo senza tutele

Nel frattempo, il Congresso ha revocato le tutele a Castillo in un’agitata sessione di varie ore, che è cominciata domenica pomeriggio ed è terminata all’alba di lunedì, nella quale c’è stato uno scambio di insulti e anche botte. Questa decisione, approvata con 67 voti a favore e 45 contro, toglie a Castillo la tutela di un un giudizio preventivo di garanzia, con cui il Congresso sgombra il cammino affinché Castillo, detenuto da mercoledì, continui a stare in prigione e sia processato per ribellione e cospirazione.

Castillo si trova in prigione con un ordine di detenzione preventiva che scade questo mercoledì, per questo l’irritazione della maggioranza parlamentare di destra di togliergli le tutele con rapidità e così rendere possibile che gli sia aperto un processo penale e sia ordinata la sua detenzione preventiva mentre è processato.

Legislatori castillisti e di altri gruppi di sinistra hanno denunciato che la decisione di togliere la tutela a Castillo è stata presa violando la Costituzione e il regolamento del Congresso, saltando procedure e tempi, violando il dovuto processo e il diritto di difesa dell’ex mandatario.

*Mariana Álvarez Orellana. Antropologa, docente e ricercatrice peruviana, analista associata al Centro Latinoamericano de Análisis Estratégico (CLAE, www.estrategia.la)

14/12/2022

Rebelión / CLAE

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Mariana Álvarez OrellanaPerú alzado: el pueblo pide que se vayan todospubblicato il 14-12-2022 in Rebeliónsu [https://rebelion.org/peru-alzado-el-pueblo-pide-que-se-vayan-todos/] ultimo accesso 14-12-2022.

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