Familiari di Detenuti-scomparsi hanno marciato con cartelli che portano il volto dei compagni e delle compagne scomparse, con il loro nome e la data di quando scomparirono.
Venerdì 20 maggio è stata effettuata in Uruguay la ventisettesima Marcia del Silenzio, questa volta di massa -più di 300 mila persone in un paese di tre milioni di abitanti-, tagliando il nastro di due anni senza marcia in presenza per la pandemia di Covid-19. Si stima che abbiano partecipato più di 300.000 persone.
La marcia, storica, che è partita come è tradizione dal Memoriale degli Scomparsi, a circa 30 isolati dal centro di Montevideo, traboccava per partecipazione degli interessati e degli estranei. È stata guidata dai familiari di detenuti-scomparsi con uno striscione che attraversava il viale da una parte all’altra con la parola d’ordine “Dove sono? La verità continua ad essere sequestrata: È responsabilità dello stato”.
I Familiari dei Detenuti-scomparsi hanno marciato con cartelli che portano il volto dei compagni e delle compagne scomparse, con il loro nome e la data di quando scomparirono. Quest’anno sono state stampate più di 20 mila foto con i 197 scomparsi. L’effetto è stato una marea di visi dove sembrava che gli stessi scomparsi marciassero.
Il silenzio assordante ha invaso il principale viale montevideano, 18 de Julio. A seguito dell’immensa partecipazione, l’andatura della marcia è stata con un passo lento e stanco. L’Università della Repubblica ha manifestato al proprio portone d’entrata con un cartello al neon che diceva “Dove sono?” e una margherita illuminata allo stesso modo che è il simbolo dei Familiari. L’altra istituzione che ha voluto fare allusione alla marcia nella sua facciata è stato il teatro El Galpón, che ha appeso un enorme telo sul quale si leggeva la parola d’ordine di quest’anno.
Giungendo all’edificio dell’Intendenza (Municipio) di Montevideo, attraverso degli altoparlanti si sono ascoltati i nomi dei detenuti-scomparsi e i marciatori hanno rotto il silenzio per dire un solenne: “Presente”. Alcuni isolati più avanti, giungendo a Plaza Libertad, la marcia ha cantato l’inno nazionale e ha alzato i pugni e ha intonato con enfasi i versi che dicono “tiranni tremate, tiranni tremate”.
Una tradizione di lotta che viene dalla dittatura, che non permetteva in nessun modo di esprimersi e che nelle manifestazioni pubbliche nei suoi raptus nazionalisti passava l’inno ad ogni momento. Allora, il popolo uruguayano adottò per sé l’inno e specificatamente questi versi cantati in modo forte da essere un grido contro l’ingiustizia e l’impunità.
Durante il tragitto si sono visti cartelli e striscioni che dicevano frasi come: “A che ci serve la libertà se non c’è giustizia”, “Non c’è oblio, non c’è perdono, non c’è riconciliazione. Militari classisti”, “Nessun patto silenzierà la lotta. Per rompere l’impunità, vivano i sogni dei compagni”.
Nilo Patiño, membro di Madri e Familiari dei Detenuti Scomparsi, ha affermato che l’adesione alla marcia “ha superato tutte le aspettative”. La realtà è che ci sono molti collettivi e persone che lavorano durante tutto l’anno per la causa, ma che si notano particolarmente a maggio e la marcia è la loro “massima espressione”.
Ha fatto rifermento anche al ritorno della marcia dopo due anni senza averla potuta fare in presenza: “Per noi è importante per il legame che c’è con la gente. Questo legame è la forza che abbiamo. La causa degli scomparsi è la punta di un movimento etico e di unità che cerca la verità e chiede giustizia”, ha affermato.
Come quasi tutte le marce, i giorni precedenti sono stati cruciali e rimangono sempre macchiati da qualche dichiarazione e/o fatto che dimostra che l’impunità continua a prevalere. L’anno passato il presidente di destra Luis Lacalle ha tuittato su questioni che poco avevano a che vedere con la marcia e non le dedicò nemmeno mezza parola.
Da parte sua il senatore del partito di ultradestra Cabildo Abierto, Guido Manini Ríos, ha dedicato un tweet al giorno dell’ape e ha ricevuto una forte risposta da parte del giornalista Gabriel Pereyra: “In alcune culture le api sono importanti. In Galizia, nei funerali, i familiari ballavano intorno al morto per condurre la sua anima nell’altro mondo, emulando le api che ballano quando trovano il cibo. Chiaramente, per questo i familiari devono avere il corpo del defunto”.
Quest’anno la polemica è scoppiata in parlamento, quando la senatrice del partito di centrosinistra Frente Amplio, Amalia Della Ventura, ha assunto la presidenza del Senato con una maglietta su cui era stampata la parola d’ordine: “Tutti siamo familiari”.
La reazione del gruppo del Partito Nazionale non si è fatta attendere e i senatori Penadés, Da Silva e Bianchi si sono pronunciati contro l’abito della senatrice dichiarando che questa maglietta non rappresenta il gruppo parlamentare del Partito Nazionale. La senatrice Bianchi è andata anche un po’ oltre e ha dichiarato alla radio che “questo paese è caduto culturalmente”, facendo riferimento alla maglietta della senatrice del Frente Amplio.
Una dichiarazione di principio allarmante, che rende più chiaro, che non è un impegno da parte del Partito Nazionale la ricerca dei resti degli scomparsi. Lo stesso Partito Nazionale ha i suoi martiri, i parlamentari Zelmar Michelini e Hector Guiterrez Ruiz furono assassinati dalla dittatura uruguayana in Argentina nell’ambio del Plan Cóndor. La madre dell’attuale ministro dell’Interno, Luis Alberto Heber, fu assassinata dalle Forze Armate con un vino avvelenato.
Nonostante ciò, l’attuale presidente, nella campagna elettorale del 2014, disse che se fosse per lui non continuerebbe con gli scavi nei battaglioni militari dove si suppone siano interrati gli scomparsi. Non c’è da stupirsi, perché nella coalizione di governo convivono con Cabildo Abierto, un partito apertamente militarista, difensore dei repressori, che ha lanciato un progetto di legge per dare gli arresti domiciliari ai genocidi detenuti ed è un gruppo che nelle sue file conta su dei torturatori.
Lo stesso Lacalle Pou si è riunito nel suo ufficio con un’organizzazione che presenta i genocidi come “prigionieri politici”.
La base su cui poggia la democrazia uruguayana è quella dell’impunità. La teoria dei due demoni instaurata dalle Forze Armate e dal due volte ex presidente Julio María Sanguinetti continua ad avere peso nella vita quotidiana. I mezzi di comunicazione egemonici, dedicando angoli minuscoli ad una delle marce più grandi degli ultimi 30 anni, dimostrano che la memoria continua ad essere un campo di battaglia.
Il patto del silenzio e dell’impunità continua ad estendere la sua cappa d’ombra, ma i giovani e anche i bambini e le bambine che hanno marciato -molti di loro per la prima volta- in questa fredda notte di maggio, illuminano una speranza per continuare a portare i visi di ogni compagno scomparso. E forse un giorno si potrà trovare la verità.
*Nicolás Centurión: Laureato in Psicologia, Università della Repubblica, Uruguay. Membro della Rete Internazionale delle Cattedre, Istituzioni e Personalità sullo studio del Debito Pubblico (RICDP). Analista associato al Centro Latinoamericano di Analisi Strategica (CLAE).
26/05/2022
Rebelión
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Nicolás Centurión, “Silencio abrumador en Uruguay: histórica 27° Marcha del Silencio” pubblicato il 26-05-2022 in Rebelión, su [https://rebelion.org/silencio-abrumador-en-uruguay-historica-27-marcha-del-silencio/] ultimo accesso 27-05-2022. |