El Salvador: Bukele limita le libertà di tutti i salvadoregni con la scusa di combattere le Maras


Andrés Gaudín

Il presidente di El Salvador ha decretato uno stato d’emergenza dopo l’incremento di crimini a marzo. Attraverso Twitter, ha ordinato la chiusura delle carceri: che nessuno esca nemmeno nel cortile.

Come continuerebbe la storia se un giorno, gli argentini si svegliassero con la notizia che il loro presidente, democraticamente eletto ma così autoritario come il peggiore degli imperatori, ha ordinato una caccia all’uomo che in 24 ore sarebbe terminata con l’arresto di16.000 persone. Per l’Argentina è pura finzione, ma questo succede in El Salvador tutti i giorni, dal 27 marzo, quando si sono registrati 2.613 nuovi prigionieri che, proiettati sulla popolazione argentina, danno quella fantastica cifra. Le vittime del presidente Nayib Bukele sono membri, reali o immaginari, delle bande che terrorizzano una popolazione che sopravvive in mezzo ad una storica crisi. Possono essere sorti, di colpo, tante migliaia di assassini? Nella visione ufficiale salvadoregna sì, e Bukele gli ha anticipato che continueranno a rimanere rinchiusi sine die, senza processo né un buon trattamento.

La politica di sterminio di Bukele, più alcune presunte negoziazioni segrete con le bande -alle quali avrebbe dato la botte piena e la moglie ubriaca in cambio di uccidere un poco meno- hanno portato il governo ad esibire alla fine del 2021 alcuni numeri da sogno: solo 1.140 assassinati, 18 su 100 mila abitanti, un tasso terrificante per il mondo ma invidiabile per El Salvador. Nel 2015 erano stati registrati 6.656 omicidi (106 per ogni 100 mila persone). Dopo questi numeri apocalittici, El Salvador ha mostrato fino all’anno passato un indice decrescente, favorito in parte dall’isolamento cittadino a cui ha portato il Covid-19. Bukele insiste sul fatto che i numeri attenuati sono giunti grazie al Piano di Controllo Territoriale  (PCT) di sua paternità. Ma lui è in carica dal giugno 2019.

Un fatto certo è che ora le cose sono cambiate. Quest’anno i numeri erano abbastanza buoni, con “appena” 36 crimini nella prima quindicina di gennaio e una media mantenuta, auspicabile ha detto Bukele, di due al giorno. Fino a quando alla fine di marzo gli indicatori sono volati. Venerdì 25 si sono registrati 14 morti in 12 dei 14 dipartimenti del paese. Sabato è stato il peggior giorno della storia dagli anni della guerra civile (1980–1992), con 62 persone a cui hanno sparato in tutto il territorio. Domenica 27 altri 11 morti hanno portato il totale a 87, e ci sono coloro che credono che le cifre siano abbozzate. A partire da allora, Bukele ha fatto appello a ciò che meglio sa fare: l’applicazione della mano dura, durissima, senza guardare su chi cadono i guantoni né chi è accolto nelle celle.

Nessuno mette in discussione che Bukele si avvalga di qualsiasi mezzo per combattere le bande e, di passaggio, rivendicare il suo PCT. Quello che l’opposizione rifiuta è il modo compulsivo con cui ha forzato il Congresso a votare uno stato d’emergenza che lascia il paese  sul bordo di una dittatura. E che dopo abbia decretato una cosiddetta “chiusura delle carceri” che viola i diritti umani dall’inizio alla fine. Questo è quello che pensa l’opposizione, ma non lo dice la società, che il presidente, esperto come è nelle arti e nelle cattive arti del marketing, ha decisamente rivolto a suo favore. Nel 2019 giunse al governo con il 53% dei voti e oggi lo sostiene quasi il 70% della popolazione. Per questo ha contato sui buoni uffici delle stesse bande. La Salvatrucha, la Sureña e la Revolución terrorizzano la società con i loro orrendi crimini.

Con argomenti che sfiorano il grottesco -le bande “hanno commesso la barbarie crudele di aumentare i crimini”-, il presidente è riuscito a installare lo stato d’emergenza, una figura costituzionale pensata per i casi di aggressione esterna, guerra interna, invasione extra continentale, ribellione, sedizione, catastrofe, perturbazione dell’ordine pubblico, epidemia e altre calamità. Quando è in vigore si sospendono, tra gli altri, la libertà di associazione, il diritto di difesa, i limiti al periodo di detenzione di qualsiasi cittadino sospetto e l’inviolabilità della corrispondenza. Il governo degli Stati Uniti, la Società Interamericana della Stampa (SIP) e Human Rights Watch hanno accolto con favore il fatto che la libertà di stampa non sia formalmente ed espressamente congelata.

Il media digitale El Faro, l’unico oppositore conseguente e impegnato, non concorda con gli insigni elogiatori di Bukele. Dal 2019, quando un’indagine di sua paternità comprovò in tutti i dettagli che, appena insediato al governo, il presidente negoziava con le bande, segretamente, il giornale subisce sistematici attacchi governativi. Si difende con i suoi editoriali, denunciando, come in questo del 28 marzo: “L’inganno del Piano di Controllo Territoriale è terminato con un inedito bagno di sangue e il gruppo che governa dietro a Bukele ha fatto ricorso ai trucchi di sempre per far fronte alla crisi: l’istrionismo mediatico e la menzogna per occultare l’improvvisazione”.

Con l’unica opposizione di El Faro e di alcuni legislatori, e con il silenzio internazionale come alleato, Bukele si è scatenato. Attraverso Twitter, solo attraverso Twitter, ha ordinato ciascuno dei suoi soprusi e ciascuna delle sue minacce. “Direttore Osiris Luna, che in tutte le carceri penali di sicurezza e di massima sicurezza tutte le celle rimangano chiuse tutti i giorni, durante le 24 ore; che nessuno esca nel cortile, che non vedano mai il sole. Che vengano tolti i materassi e le cose per la pulizia delle celle, che si chiudano le porte con lastre metalliche ben saldate”. Ai membri delle bande -in questo momento ostaggi-, ha detto: “Ricordate che abbiamo 16.000 di voi nelle prigioni, non vi libereremo, non permetteremo che un giorno torniate a vedere il sole, e il cibo da ora è razionato”. E ha minacciato: “Smettete di uccidere ora, o anche loro finiranno in una tomba”.

Le vittime non sono bionde né con occhi celesti

Sarà che gli occhi mondiali stanno guardando solo quello che succede in Ucraina, o vedendo cosa dicono di quello che succede nell’Est europeo. Sia come sia, qui solo, nel brutalizzato Centroamerica, la violenza sta diventando terrorismo di stato e nessuno dice nulla. E un’altra democrazia si è fermata sull’orlo del baratro e nessuno dice nulla. Né coloro che dovrebbero essere preoccupati, come l’ONU e l’OEA che è diretta da Luis Almagro. O coloro che si sentono con il diritto a tutto, come gli Stati Uniti e l’Unione Europea. O i distributori di certificati di buona condotta e cattivo odore, come Reporter senza Frontiere. Nessuno dice nulla. L’ignorato è il Salvador, una terra dove le vittime non sono bionde e nemmeno hanno occhi celesti.

Vai a sapere perché, ma gli illusi sguardi si sono posati sugli Stati Uniti, il caposquadra storico della regione, che aveva dato un timido segnale. Anche se già veniva con la fallita esperienza di essere vicepresidente tra il 2009 e il 2017 non avendo fatto nulla per nessuno, Joe Biden ha assunto nel gennaio 2021 la titolarità della più grande potenza con l’idea che tutto in questo mondo è come soffiare e fare bottiglie. Fu con questo motto, nonostante ciò, che l’anno passato mandò la sua vice, Kamala Harris, a dare uno sguardo al torrido Triangolo Nord centroamericano (El Salvador, Guatemala e Honduras). La mandò con dei dollari nella borsa da distribuire -anche se non ha mai distribuito nulla- e mettere fine ad una crisi strutturale che la Casa Bianca crede allegramente che sia il frutto della corruzione e della violenza, che in realtà è il risultato e non la causa. E lì è rinata la crisi, con il suo peggiore volto.

3 aprile 2022

Resumen Latinoamericano

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Andrés GaudínEl Salvador. Bukele cercena las libertades de todos los salvadoreños con la excusa de combatir a las Maras” pubblicato il 03-04-2022 in Resumen Latinoamericano, su [https://www.resumenlatinoamericano.org/2022/04/03/502563/] ultimo accesso 06-04-2022.

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