Transizione energetica: dal neoliberalismo verde all’ecologismo popolare


Jorge Chemes e Pablo Bertinat

Nel contesto della crisi climatica, risuona l’appello alla “transizione energetica” come sinonimo di meno emissioni di gas serra e maggior uso di fonti energetiche non fossili. Ma ci sono chiare differenze tra quello che propongono le grandi imprese e, dall’altro lato, quello che promuovono le organizzazioni sociali.

Ci sono tanti punti di vista della transizione energetica come interessi economici, politici, ideologici, ecologici, tecnologici ed egemonici. Così, ci sono proposte di transizione energetica con obiettivi chiaramente diversi. Punti di vista politico-economici dal neoliberalismo, il keynesianismo e l’anticapitalismo, da prospettive ecologiste, del culto della vita selvatica o dell’ecoefficienza (culto del tecnologico) o dall’ecologismo dei poveri, imperniato sulla sostenibilità debole, forte o superforte, o da grandi multinazionali dell’industria del greggio e da piccole cooperative cittadine.

Attualmente convivono diversi punti di vista della transizione energetica, da quelli che sono sostenuti dai rappresentanti del neoliberalismo verde e grandi multinazionali dell’industria del greggio, fino a quelli dei movimenti o istituzioni ecologiste dai più diversi punti di vista  ideologici, organizzazioni internazionali legate all’energia, gruppi scientifici e sindacati, per menzionarne solo alcuni.

Sebbene ci siano differenze profonde, la maggioranza delle proposte di transizione energetica possiedono un denominatore comune: accettare il ruolo dell’azione umana, particolarmente a partire dall’era industriale, nella generazione del cambiamento climatico che si presenta attualmente, proporre la diversificazione del modello energetico e una sollecitazione della diminuzione del contenuto fossile per rimpiazzarlo con altre fonti; in alcuni casi, con fonti rinnovabili e sostenibili; in altri, con il nucleare e, anche in alcuni casi, con i cosiddetti fossili non convenzionali.

Il dibattito sulla transizione energetica sorge nel contesto della guerra fredda alla fine del decennio del 1970, come proposta per sviluppare un modello energetico basato su risorse rinnovabili, opposto allo sviluppo dell’energia nucleare.

A sua volta, il termine “transizione giusta”, sebbene non si riferisca solo alla transizione energetica, sorge per la prima volta come un principio rettore del movimento lavorativo nel decennio del 1970 sotto la guida di Tony Mazzocchi nell’Unione Internazionale dei Lavoratori del Petrolio, della Chimica e dell’Energia Nucleare (OCAW), che è stato all’origine della creazione del movimento sindacale e ambientale.

L’idea di una “transizione giusta” appare nel preambolo dell’Accordo di Parigi del 2015, che fa riferimento alla necessità di tener “conto degli imperativi di una riconversione giusta della forza lavoro e della creazione di un lavoro decente e di lavori di qualità, di conformità con le priorità di sviluppo definite a livello nazionale” (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambio Climatico, 2015).

In pieno XXI Secolo si può affermare che la preoccupazione (o, in alcuni casi, l’opportunità economica) per alcuni attori che promuovono la transizione energetica è la crisi climatica. Così, da diversi spazi ufficiali, come la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambio Climatico (Cmnucc), si avanzano proposte e condizioni per la transizione energetica. Identificando le emissioni di gas ad effetto serra (GEI) come la principale causa della crisi climatica, questi spazi vogliono generare meccanismi per ridurle, principalmente attraverso l’uso di fonti energetiche non fossili.

Nonostante ciò, ridurre l’analisi delle cause della crisi climatica alle emissioni di gas serra lascia da parte altri elementi, tanto nell’ambito ambientale (per esempio, contaminazione, riduzione della biodiversità) come sociale (consumo, disuguaglianze, violazione dei diritti). Sono aspetti importanti che fanno parte della crisi e devono essere tenuti in conto nella ricerca di soluzioni.

Questa riduzione concettuale è conosciuta come “carbonizzazione del clima” ed è associata all’interesse di stabilire degli indicatori quantitativi e, legato a questo, creare strumenti di mercato. In molti casi, tutto si riduce alle tonnellate equivalenti di diossido di carbonio (essendo il gas serra più abbondante nell’atmosfera), la cui diminuzione si trasforma nell’unico indicatore della lotta di fronte alla crisi climatica globale.

In questo contesto, sono vari i punti di vista che vogliono imporre il proprio sguardo di transizione energetica, alcuni in modo autoritario, e altri popolari e in costante costruzione.

Transizione energetica corporativa o popolare?

Come punto di partenza, si possono identificare due grandi universi. Da un lato, ci sono gli attori che, di fronte alla situazione climatica, vedono nella transizione energetica un potenziale di accumulazione di ricchezza e una posizione egemonica geopolitica -con meccanismi di sostenibilità debole, con uno sguardo aziendale e patriarcale-, che si potrebbe denominare “universo dell’ambientalismo aziendale” o quello che Maristella Svampa, nel suo saggio “Immagini della fine”, classifica come narrativa capitalista-tecnocratica. Questa posizione configura quello che qui chiameremo come la transizione energetica corporativa.

Dall’altro, ci sono coloro che puntano su una sostenibilità forte o superforte e perseguono una transizione energetica basata sulla giustizia socioambientale, partecipativa e cooperativa, qualcosa che si potrebbe definire come “universo dell’ecologismo popolare”, basata sulla narrativa anticapitalista e di transizione socioecologica. Questa prospettiva darebbe luogo a quello che chiameremo, da qui in poi, la transizione energetica popolare.

La transizione energetica corporativa non è solo imprenditoriale, ma questo punto di vista può avere diversi adepti, come imprese multinazionali, stati (paesi, province, regioni, municipi), istituzioni e organizzazioni che vedono in questo cammino l’unico possibile -o, per loro, il più “rapido”- per rispondere all’urgenza della crisi.

Coloro che promuovono una transizione energetica corporativa si focalizzano su una prospettiva strettamente tecno-economicista egemonica. Per questa visione, l’obiettivo principale è emettere meno gas serra e generare un certo sostegno geopolitico di fronte alla crescente preoccupazione pubblica per il cambiamento climatico, in un crescente processo di accumulazione di ricchezza e di potere attraverso le nuove aree d’estrazione, mantenendo le esistenti relazioni di disuguaglianza.

In molti casi, alle urgenze climatiche promuovono vie d’uscita sommamente controverse e impattanti, come l’uso dell’energia nucleare, il gas non convenzionale e le grandi dighe.

Nella transizione energetica corporativa, la maggioranza degli elementi (dispositivi, progetti, normative, indagini e sviluppo, ecc.) sono controllati da, o funzionano a favore di, corporazioni transnazionali o potenze mondiali, rendendo complessi i sistemi e la quotidianità con la scusa dell’efficienza, e limitando così la possibilità di democratizzare l’uso dell’energia e della tecnologia.

Chi ha il controllo

Gioca un ruolo centrale il tema della proprietà e del controllo dell’accesso alle fonti energetiche, ai materiali e alle tecnologie necessarie. La concentrazione del sistema energetico è una caratteristica inerente a questo. Grandi imprese, non solo private, ma in molti casi pubbliche, detengono il potere egemonico.

I principali attori della transizione energetica corporativa promuovono lo sviluppo delle fonti di energie rinnovabili da una concezione utilitaria e da un formato industriale, immaginando che quelle potrebbero essere un’alternativa ai limiti planetari di risorse nell’ambito di un modello intensivo estrattivista, in definitiva dominato da una logica fossile. Immaginano che le fonti energetiche non fossili potranno sostenere l’attuale sentiero di crescita illimitata.

In alcuni casi diventa protagonista anche la cuestione associata all’efficienza energetica da una prospettiva tecnocratica. Si percepisce il potenziale di cambiamento solo nell’efficienza tecnologica e, pertanto, di consumo, senza proporre di alterare le medesime logiche di questo consumo.

Questa transizione energetica corporativa si configura come egemonica, autoritaria ed etero-patriarcale. Nonostante ciò, a seguito della pressione dei movimenti sociali, in alcuni casi giunge ad avere caratteristiche più democratiche, come l’accesso al sole nelle case, l’eliminazione di imposte sull’autogenerazione dell’energia solare in paesi come la Spagna o i piani di accesso a energie rinnovabili per famiglie vulnerabili a New York, tra i molti altri esempi. Queste variabili non fanno parte integrale della transizione energetica corporativa, ma sono un risultato della pressione politica che esercitano i movimenti sociali.

La transizione energetica corporativa si basa sulla banalizzata idea dello “sviluppo sostenibile”, nel continuare nel cammino della crescita senza limiti, cambiando risorse fossili con rinnovabili e alta tecnologia, senza modificare le logiche di consumo capitalista, né mettere in discussione la distribuzione o l’accesso all’energia delle popolazioni o la partecipazione cittadina ai processi di presa di decisioni.

La transizione energetica corporativa non rappresenta un cambiamento di paradigma, ma un’espressione del modo con cui il sistema capitalista cerca di capitalizzare la crisi energetica e climatica per un nuovo ciclo di accumulazione.

Il fine ultimo degli attori che promuovono questa visione della transizione energetica è guidarla. Così lo esprime un rappresentante dell’impresa dell’energia danese DONG Energy:

“La nostra ambizione è promuovere la transizione del sistema energetico e guidare la trasformazione ecologica. E questa non è solo una sfida tecnologica, ma è anche un sfida umana (…) Come otteniamo che il pubblico per il quale costruiamo i nostri parchi eolici o quelli che vivono vicino a dove saranno installati accettino questo cambiamento dei loro paesaggi? (…) Avremo bisogno che la gente adotti comportamenti o prodotti che sono buoni per la società e buoni per l’ambiente, ma che non necessariamente hanno un beneficio diretto e visibile per gli individui il cui comportamento stiamo chiedendo di cambiare”.

Da questa visione non si mettono in discussione i conflitti socio-ambientali che si generano, ma come permeare i valori culturali delle comunità, imponendo la prospettiva delle imprese.

Transizione energetica emancipatrice ed ecologismo popolare

In contrapposizione “all’universo dell’ambientalismo corporativo”, troviamo “l’universo dell’ecologismo popolare”. Da quest’altro punto di vista è urgente costruire collettivamente una transizione energetica popolare contro-egemonica, basata sul rispetto dei diritti e sulla giustizia socio-ambientale. Con le parole del ricercatore Kolya Abramsky, “la democrazia energetica -intesa come una visione astratta del futuro sviluppo del settore dell’energia- è ‘una fantasia’. L’equilibrio di potere esistente nel capitalismo neoliberale è profondamente antidemocratico. Pertanto, ogni transizione energetica emancipatrice richiederebbe una trasformazione fondamentale della geometria dell’attuale potere e, come tale, esigerebbe una strategia politica concreta e ambiziosa su come si potrebbe raggiungere questo tipo di trasformazione. In questo modo, la questione più urgente può essere non quella che passa da quali sarebbero le caratteristiche esatte di una futura utopia energetica, ma, piuttosto, come possiamo costruire potere e organizzazione collettiva”.

Le condizioni materiali del pianeta rendono impossibile l’idea dell’espansione o della crescita senza limiti. Questa realtà deve essere analizzata in un contesto di conflitti ecologici distributivi, per cui differenti attori, con differenti livelli di potere e interessi diversi, si scontrano con le richieste di risorse da parte di altri attori in un momento ecologico particolare.

Non c’è modo di immaginare un mondo in cui molti mondi possano stare senza sentipensare come costruire molte società che possano raggiungere la felicità con molto meno materia ed energia. Questo significa una grande lotta di potere e di senso.

Sono pochi i punti di vista che intendono l’energia non come un fine, ma come uno strumento per migliorare la qualità di vita delle persone in un ambito di diritti congruente con i diritti della natura.

“La concezione dell’energia è culturale. Sono radicalmente diverse le società che considerano il petrolio come una risorsa, da quelle che lo considerano il sangue della terra. In questo ambito l’energia è considerata qualcosa di più di un concetto fisico, è un elemento sociale, politico, economico e culturale”, spiegano Ramón Fernández Durán e Luis González Reyes nel libro En la espiral de la energía (Nella spirale dell’energia).

Questo punto di vista della transizione energetica popolare si basa sulla premessa di costruire il diritto all’energia e metterla in discussione come mera merce. Si basa sull’idea di sprivatizzare, di rafforzare le diverse forme del pubblico, del partecipativo e del democratico. Si basa sull’imperiosa necessità di ridurre l’utilizzo dell’energia e, simultaneamente, di defossilizzare le fonti energetiche utilizzate. Si basa sulla lotta per eliminare la povertà energetica, e decentralizzare e democratizzare i processi di decisione intorno all’energia.

La transizione energetica popolare si configura come un processo di democratizzazione, sprivatizzazione, decentralizzazione, de-concentrazione, defossilizzazione e decolonizzazione del pensiero per la costruzione di nuove relazioni sociali, congruenti con i diritti umani e con i diritti della natura.

Foto: Subcoop

L’articolo è stato pubblicato originariamente in Energía y Equidad .

Titolo originale: “Las transiciones energéticas”

Edizione: Agencia Tierra Viva

9 marzo 2022

Tierra Viva

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Jorge Chemes y Pablo Bertinat, Transición energética: del neoliberalismo verde al ecologismo popular” pubblicato il 09-03-2022 in Tierra Viva, su [https://agenciatierraviva.com.ar/transicion-energetica-del-neoliberalismo-verde-al-ecologismo-popular/] ultimo accesso 04-04-2022.

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