Violenza, non violenza e pacifismo


Raúl Zibechi

Quando scoppiano guerre tra stati, che vanno al di là anche delle guerre quotidiane che subiscono i popoli del Messico, Colombia e Guatemala, tra i molti altri, è necessario prendere una posizione chiara sui passi da fare. In questi giorni ascoltiamo che delle persone dell’Ucraina, di sinistra e anche anarchiche, decidono di aderire alla guerra contro l’invasore.

Credo che, quando infuria la tormenta, sia necessario voltarsi verso i popoli che la vivono soffrendo in modo più intenso, come i popoli originari che per cinque secoli le resistono. Nel loro atteggiamento possiamo intendere che i passi che fanno sono orientati a sopravvivere come popoli, con dignità e autonomia. Che non cercano di entrare nella guerra perché è precisamente quello che vogliono i genocidi.

In questo atteggiamento non vedo barlumi di pacifismo. Non ho nulla contro i pacifisti. Elogio che non facciano la guerra alla guerra, perché presuppone lo sterminio, ma nemmeno possiamo criticare coloro che si difendono con le armi, di fronte a nemici che vogliono sterminarli. Non simpatizzo con il pacifismo se esclude ogni reazione non pacifica per preservare la vita, come non critico la donna che di fronte ad un’imminente violenza, risponde con quello che ha in mano.

Il pacifismo ad oltranza non ci aiuta nell’obiettivo centrale, che consiste nel ri-esistere come popoli. Lì c’è il caso dei rarámuris, che per secoli si sono difesi arretrando davanti all’avanzata demolitrice dei conquistatori. Altri popoli li hanno affrontati, con diversa sorte. Ognuno come può e come sa, per continuare ad essere.

Gli zapatisti hanno optato per la resistenza civile pacifica, che non è la stessa cosa della non violenza, anche se in alcuni aspetti coincide. È resistenza, ossia “mettersi duri” con le parole del subcomandante Moisés. È collettiva, di comunità o gruppi, non individuale. Ed è pacifica perché non con proiettile contro proiettile, ma cerca di percorrere altre strade.

La parola chiave è resistenza. Quando le basi d’appoggio di Nuevo San Gregorio non possono continuare a coltivare la terra, usurpata dai “40 ladroni” che rappresentano il nucleo duro del capitalismo, hanno deciso di fare carpenteria e tessuti, che sono i “semi” della loro autonomia nelle nuove condizioni. Senza la resistenza, non c’è autonomia, non c’è la vita.

Quando diciamo che di fronte alla guerra dall’alto non rispondiamo con la violenza né con il pacifismo passivo, stiamo da un lato mettendo al centro la resistenza, ma rifiutiamo anche la logica della guerra perché è una parte centrale dell’accumulazione di capitale. È una posizione etica, senza dubbio. Ma è, anche, il bilancio di decenni di guerre come quelle che hanno devastato i popoli che abitano il Guatemala, il Salvador e altri della nostra America Latina, nelle quali gli indigeni, i contadini e i settori popolari hanno messo i morti.

Coloro che si preparano a prendere le armi quando la propria nazione è invasa, come succede in Ucraina, non credo sia conveniente criticarli. Non è il caso, né il modo perché nemmeno vogliamo, dal campo della sinistra dal basso, dare lezioni a nessuno. Si tratta solo di mostrare altre strade possibili, per questo la convocazione della giornata di domenica 13 marzo contro l’invasione è così importante.

La cosa decisiva in questo momento è segnalare un cammino e percorrerlo. Le grandi mobilitazioni zapatiste, in alcuni capoluoghi municipali del Chiapas, mostrano un cammino. Insegnano non solo che gli zapatisti continuano a stare in piedi, resistendo e costruendo, ma mostrano la necessità di alzare la voce, occupare la strada quando è necessario, segnalare nemici, denunciare i modi di questo sistema criminale.

Alla fine, la massiccia presenza di donne e di giovani nelle mobilitazioni zapatiste, rivela cambiamenti molto profondi nelle relazioni interne tra sessi ed età. Si tratta di cambiamenti emancipatori, che ampliano la differenza tra il mondo nuovo in resistenza e il capitalismo agonizzante.

È possibile che questi cambiamenti abbiano una relazione con l’opzione della non guerra, di resistenza civile pacifica che hanno fatto gli zapatisti. Abbiamo appreso che l’EZLN obbedisce realmente alle sue basi d’appoggio, che sono quelle che segnano le rotte. Siamo di fronte ad una rivoluzione interna, così potente che sta modificando il vecchio “senso comune” rivoluzionario.

14 marzo 2022

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl Zibechi, Violencia, no violencia y pacifismo” pubblicato il 14-03-2022 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/violencia-no-violencia-y-pacifismo/?fbclid=IwAR3CwQnCvvX2tV1V0UmyDiJssQFVXD-cA-H_oZRs9V8m6NZm8lKYIwfEHBA] ultimo accesso 30-03-2022.

, ,

I commenti sono stati disattivati.