Le urgenze e il pragmatismo hanno demolito il pensiero critico


Raúl Zibechi

Una delle principali caratteristiche del pensiero critico è sempre stata la capacità di guardare lungo e lontano, di scrutare dall’alto degli alberi per scorgere l’orizzonte. Questo sguardo lungo è stato la bussola che non si perdeva nemmeno nelle peggiori situazioni. Nei momenti di guerre e genocidi, la speranza proveniva dalla convinzione che si continua a camminare nelle direzione scelta.

Pertanto, coltivare la memoria è una questione fondamentale, quasi un istinto per sopravvivere e crescere. Non per afferrarsi al passato ma per affermare le radici, la cosmovisione, la cultura, l’identità che ci permettono di continuare ad essere e a camminare, camminare, camminare…

Il pensiero critico sta annegando nell’immediatezza, si perde nella successione di congiunture nelle quali punta per il male minore, rotta quasi sicura per perdersi nel labirinto dei flussi di informazione, senza contesto né gerarchizzazione. Il sistema ha appreso a bombardarci con dati, con le ultime informazioni che sovrabbondano in mezzo alla scarsezza quasi assoluta di idee differenti da quelle egemoniche.

In questi anni buona parte della sinistra e dell’accademia se la sono presa contro Trump. Logico e naturale. Ma sembrano aver dimenticato che alcuni degli sviluppi più obbrobriosi vengono dagli anni di Barack Obama, il progressista che iniziò la guerra in Siria, che promosse il colpo di stato in Egitto e decine di interventi contro i popoli in America Latina, Asia e Africa.

Dedicare tutte le analisi alle congiunture implica lasciare da parte i fattori strutturali. In questo modo, non pochi analisti che si vantano di un pensiero critico, “dimenticano” che i governi progressisti hanno aumentato l’estrattivismo (accumulazione attraverso il saccheggio o quarta guerra mondiale). Quando c’erano gli incendi in Amazonia, questa corrente maggioritaria attaccava Bolsonaro (giustamente), ma non ha voluto vedere che sotto il governo di Evo Morales succedeva esattamente la stessa cosa.

Sinceramente, non vedo la minima urgenza a che ritornino governi progressisti che hanno già mostrato i limiti delle amministrazioni che hanno guidato. In Bolivia, segnala Rafael Bautista, era necessario sconfiggere la destra e la gente lo ha fatto, ma “l’usurpazione che fa il MAS della vittoria popolare, credendo che il recupero democratico sia stato esclusivamente opera sua, sta conducendo a questo disincanto che è quello che, precisamente, è successo precedentemente affinché il golpe passato fosse legittimato da una rivolta sociale (Alai, 4 de enero de 2021).

Se il pensiero critico naufraga nella timidezza degli scopi, ha optato anche di incolpare la destra di tutti i problemi. In questo modo, amputandosi l’autocritica, con la scusa di non dare argomenti all’avversario, gli viene impedito di apprendere dagli errori, di confrontarsi apertamente e dibattere collettivamente per giungere a conclusioni comunitarie che orientino l’azione.

Dove sono le autocritiche del brasiliano PT, del MAS di Evo o di Alleanza Paese di Rafael Correa? Per evitare il dibattito hanno coniato l’idea del “golpe”, che si applica in qualsiasi congiuntura che sia avversa. O di “tradimento”, per rendere conto di casi così clamorosi come quelli dell’ecuadoriano Lenin Moreno e dell’uruguayano Luis Almagro, dimenticando che furono eletti rispettivamente da Correa e Mujica.

Potrei continuare ad argomentare situazioni e concetti che hanno sviato o impedito i dibattiti e, peggio, gli apprendistati sempre necessari. C’è un punto, tuttavia, nel quale continuiamo ad essere impantanati senza poter avanzare, né tendere ponti, né fare bilanci. Mi riferisco al ruolo dello stato nei processi rivoluzionari.

Alcuni di noi si rifiutano di considerare che gli stati siano al centro dell’orizzonte emancipatorio, mentre molti altri non concepiscono l’azione politica al di fuori dell’istituzione statale. Non è un argomento minore. È il frangiflutti contro cui si infrangeranno le future generazioni, includendo i movimenti indigeni e femministi, i più potenti in questi anni.

Sta venendo meno un’idea nefasta che dice: se le persone, i collettivi o i movimenti adeguati giungono nello stato, solo per questo fatto lo modificano, cambiano il suo carattere. Come se lo stato fosse uno strumento neutrale, utilizzabile tanto per opprimere e reprimere come per liberare i popoli e aggiustare i conti con la classe dominante.

L’esperienza storica, dalla rivoluzione russa fino agli ultimi governi progressisti, parla da sé. Ma sembra che ricordare e fare un bilancio sia un esercizio troppo pesante per un pensiero indolente, che cerca di rannicchiarsi al tepore delle comodità piuttosto che accamparsi alle intemperie. 

11 gennaio 2021

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl Zibechi, Las urgencias y el pragmatismo demolieron el pensamiento crítico” pubblicato il 11/01/2021 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/las-urgencias-y-el-pragmatismo-demolieron-el-pensamiento-critico/] ultimo accesso 20-01-2021.

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