Spionaggio dell’Esercito Nazionale Colombiano: le cartelle segrete 


SEMANA rivela le prove di come l’Esercito ha eseguito un programma di spionaggio informatico in cui la maggior parte dei suoi obiettivi sono stati giornalisti, molti dei quali americani. Politici, generali, ONG e sindacalisti fanno parte della lista di più di 130 vittime.

Per diversi mesi, alcune unità dell’Esercito hanno eseguito uno dei più delicati casi di spionaggio nella storia recente del paese. Tra febbraio e i primi giorni di dicembre dello scorso anno, le attività di oltre 130 cittadini sono state oggetto di quello che i militari hanno chiamato “ricerche” e “lavori speciali”.

In queste missioni, attraverso l’uso di strumenti informatici e software, hanno effettuato ricerche e raccolto in forma massiccia e indiscriminata tutte le informazioni possibili sui loro obiettivi per produrre rapporti di intelligence militare. Telefoni, indirizzi di residenza e di lavoro, posta elettronica, amici, familiari, figli, colleghi, contatti, infrazioni stradali e persino luoghi di voto fanno parte di questi profili.

SEMANA ha in suo potere decine di questi documenti, e nel corso delle settimane ha intervistato più di dieci fonti, molte delle quali hanno partecipato a questa operazione che ha coinvolto almeno 130 persone tra giornalisti, ex ministri, funzionari della Presidenza, generali, politici e sindacalisti, tra gli altri.

La questione susciterà senza dubbio una grande polemica all’interno e fuori della Colombia, tra l’altro perché alcune delle unità coinvolte ricevevano aiuti economici da un’agenzia di intelligence straniera. Alcune di queste risorse sono state utilizzate per acquisire gli strumenti per spiare le attività di cittadini statunitensi, in particolare giornalisti. “Ai nordamericani non piacerà che parte del loro denaro, dei contribuenti, come dicono loro, sia stato sviato dai fini legittimi per cui l’hanno consegnato, la lotta contro il terrorismo e il narcotraffico, finendo per essere usato per scavare nella vita di giornalisti di importanti media del loro stesso paese. Questo sarà un vero casino”, ha detto a SEMANA uno degli agenti che ha realizzato questi lavori e che ha chiesto di proteggere la sua identità. E non si sbaglia.

“Le denunce sulle intercettazioni illegali e il monitoraggio segreto di giornalisti e difensori dei diritti umani saranno seriamente esaminate al momento di determinare l’assistenza militare degli Stati Uniti alla Colombia. Il denaro dei contribuenti degli Stati Uniti non deve mai servire ad attività illegali, molto meno a violare i diritti dei cittadini nordamericani. Se queste accuse sono corrette, sarebbe una grave violazione della fiducia (degli Stati Uniti), e coloro che sono coinvolti devono essere puniti”, ha dichiarato a SEMANA il senatore democratico Patrick Leahy, uno dei più influenti e vicepresidente del comitato sulle appropriazioni del Senato degli Stati Uniti.

Queste operazioni sono state svolte da alcuni battaglioni di cyber-intelligence (Bacib) appartenenti alle brigate di intelligence militare e al Battaglione di Controspionaggio di Sicurezza dell’Informazione (Bacsi). Entrambi dipendono dal Comando di Supporto dell’Intelligence Militare (Caimi) e dal Comando di Supporto di Controspionaggio Militare (Cacim). A gennaio SEMANA ha pubblicato, con il titolo ‘Chuzadas sin cuartel’ (Intercettazioni senza tregua), una parte delle irregolarità che si sono verificate in questa unità militare perquisita a metà dicembre dalla Corte Suprema di Giustizia.

Nel mirino

Come parte della cooperazione, questa agenzia di intelligence straniera forniva ai battaglioni di cyber-intelligence circa 400.000 dollari all’anno per acquistare attrezzature e strumenti informatici. “Alcuni (militari) si impossessavano di una parte di questo denaro per realizzare rapporti fittizi per giustificare quelle risorse economiche concesse dai gringos. Con ciò che avanzava compravano i ‘software’ e le altre attrezzature necessarie per fare questi lavori speciali”, ha raccontato a SEMANA un altro degli agenti di questa unità militare.

Questo tipo di spionaggio informatico è avvenuto tra febbraio e l’inizio di dicembre 2019, quando il generale Nicacio Martínez comandava l’Esercito, che si dimise a dicembre.

Una delle prime vittime di queste attività irregolari è stato il giornalista americano Nick Casey, corrispondente del quotidiano The New York Times. Il 18 maggio dello scorso anno pubblicò un articolo in cui raccontò l’esistenza di formulari che i comandanti militari dovevano riempire per prevedere, tra le possibili variabili, il numero di vittime. Questi documenti hanno suscitato grandi polemiche perché si prestavano a diverse interpretazioni, come la riedizione dei cosiddetti “falsi positivi”.

Dieci giorni dopo questa pubblicazione, che ha provocato uno scandalo nel paese, il governo nazionale ha inviato l’allora cancelliere Carlos Holmes Trujillo a New York per incontrare il consiglio editoriale del giornale. L’hanno accompagnato l’ambasciatore della Colombia negli Stati Uniti, Francisco Santos, e l’ambasciatore presso l’ONU, Guillermo Fernández de Soto.

Mentre esponevano le loro argomentazioni ai capi di Casey, in Colombia i militari monitoravano la presenza di questo giornalista nel paese registrando in una cartella i suoi contatti, alcune fonti e le persone con cui si incontrava, e appaiono anche i suoi stessi editori di New York.

Seguendo le istruzioni dei loro superiori, gli uomini del battaglione di cyber-intelligence hanno iniziato a cercare tutte le informazioni disponibili sul giornalista statunitense. Sotto il titolo “lavoro speciale n° 1”, hanno redatto un documento di oltre 15 pagine che continuavano ad alimentare. In uno di questi fogli sono riportati, tra gli altri, i dati biografici, posta, numeri di telefono in Colombia e la loro ubicazione. In altre pagine c’è anche quello che chiamano il quadro dei contatti.

Si tratta di una sorta di organigramma in cui appaiono le foto e una breve descrizione delle persone con cui Casey ha un rapporto di lavoro, personale e familiare. Ci sono molti suoi amici, capi e colleghi in Colombia e negli Stati Uniti. Inoltre, hanno avuto il tempo di annotare, anche, chi lo seguiva sui suoi social network o gli dava un like alle sue pubblicazioni. In un altro documento, la foto di Casey è al centro di un foglio e una serie di linee che indicano le sue possibili fonti.

Con questo, insieme a molti altri dati, gli analisti militari hanno tratto le loro conclusioni. Alcuni dei commenti presenti nella sua cartella segnalano: “Ha accesso e contatti diretti con i Gaor (gruppi armati organizzati residuali)…, ha accesso alle zone di influenza delle FARC, il suo contatto per entrare è…”.

“L’ordine dei comandanti del Bacib, Caimi e Caci, fu che, “per ordine del mio generale, bisognava ottenere ogni notizia possibile sul giornalista gringo, specialmente perché si riteneva che, per quello che aveva pubblicato, stesse attaccando l’istituzione e, in particolare, il mio generale Martínez. Si doveva scoprire con chi avesse parlato e per questo, inoltre, ottenere elementi per cercare di screditare lui e il suo giornale. Questo è stato fatto attraverso alcuni siti”, ha affermato uno degli ufficiali designati a questo lavoro. “Rozo è stato uno degli incaricati al pagamento, tra gli altri, di un presunto giornalista molto noto per aver avuto dei processi giudiziari per violenza sulle donne, affinché pubblicasse cose false, truccate, tratte da questi dossier”, ha raccontato a SEMANA il militare.

Danielle Rhoades Ha, vicepresidente della New York Times Company, ha dichiarato a SEMANA che “Siamo profondamente preoccupati per le recenti notizie secondo cui l’Esercito colombiano controlla le attività dei giornalisti, tra cui il corrispondente del The New York Times. Tali atti costituiscono un tentativo di intimidire la stampa e le sue fonti, e di limitare le informazioni che il pubblico ha il diritto di conoscere”.

Questa ricerca di informazioni su questo corrispondente ha finito per innescare una specie di effetto domino in cui anche altri giornalisti americani sono stati “indagati” per il semplice fatto di essere colleghi, amici, aver avuto contatti con lui o a causa di loro pubblicazioni o commenti. Così hanno fatto cadere Juan Forero, un noto e rispettato giornalista che da molti anni ha coperto le notizie sulla Colombia e l’area andina per media come The Washington Post, mentre attualmente lavora per il The Wall Street Journal. Nell’indagine stilata dai militari ci sono i suoi dati, ma appare una foto di suo padre, come ha confermato il giornalista a SEMANA.

Diverse persone con cui SEMANA ha controllato i loro fascicoli, hanno confermato che in alcune delle cartelle, i militari hanno associato personaggi senza che questi avessero relazioni o conoscessero alcune delle vittime. Non si tratta di una questione secondaria, poiché implica che questi collegamenti errati sono rimasti in questi rapporti di intelligence di destinatari incerti. Non è chiaro se si tratti di errori o erano intenzionali.

In questi rapporti compare anche il corrispondente in America Latina della National Public Radio (NPR), John Otis, che vive in Colombia da oltre 20 anni, dove ha realizzato lavori per la rivista Time e il quotidiano The Wall Street Journal. È, inoltre, ricercatore presso la ONG Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), con sede a New York.

Questo tipo di dossier raccolti sui giornalisti è andato anche ben oltre coloro che riferivano o scrivevano sui problemi di corruzione dell’Esercito o sul conflitto armato colombiano. Un altro dei militari, che ha ricevuto le istruzioni di eseguire queste attività, ha raccontato a SEMANA che “hanno anche usato le apparecchiature per cercare di giungere alle fonti dove stavano bersagli che in molti casi erano i nostri obiettivi (militari)”.

Questo è stato il caso della statunitense Lynsey Addario. Si tratta di un’affermata fotoreporter i cui lavori sono stati pubblicati su Time e altri media. In un’altra delle cartelle, denominata anche “lavoro speciale”, i militari hanno raccolto un suo dossier completo di lei per aver scattato a febbraio delle fotografie dell’ELN nel Chocó per un reportage pubblicato nella rivista National Geographic. Oltre ai suoi dati personali, il documento contiene i nomi dei suoi amici e i contatti nel paese e all’estero. Ma c’è anche una mappa della Colombia con la geolocalizzazione dei luoghi in cui lei è stata.

Inoltre, c’è una annotazione dei luoghi del mondo dove la giornalista ha fatto reportage. Come in altri casi, l’indagine ha generato un effetto domino in cui compaiono altri tre fotografi del The New York Times che vivono negli Stati Uniti, e Stephen Ferry, un altro fotoreporter da anni molto noto in Colombia per i suoi reportage sulla guerra nel paese, lavori pubblicati in prestigiosi media degli Stati Uniti.

Anche José Miguel Vivanco, direttore per le Americhe dell’organizzazione Human Rights Watch, è stato inserito in questi dossier. Uno dei capitoli del documento afferma che “a febbraio l’organizzazione per i diritti umani ha criticato la nomina del signor M. G. Martínez, osservando che era il secondo al comando della Decima Brigata e che durante questi anni ci sono state indagini su 23 omicidi illegali”.

Vivanco ha detto a SEMANA che “le gravi denuncie secondo cui l’Esercito effettua intercettazioni illegali e produce dossier su giornalisti, giudici e avvocati per i diritti umani, si ripetono anno dopo anno in Colombia. La domanda è quando le autorità adotteranno misure serie per porre fine a questi abusi e consegnare i responsabili alla giustizia. Ci sono enormi rischi che queste pratiche, che violano il diritto alla privacy e attentano al sistema democratico, nel paese finiscano per normalizzarsi”.

Giornalisti colombiani

Neppure i giornalisti nazionali sono sfuggiti a questi discussi dossier militari. Una di loro, Maria Alejandra Villamizar, è attualmente un’analista di Noticias Caracol e fa parte del gruppo giornalistico di La luciérnaga. Con più di 25 anni di carriera, è stata curatrice politica di El Espectador, El Tiempo e SEMANA, così come consulente per servizi su questioni della pace nei governi di Samper, Pastrana e Santos. In 12 pagine i militari hanno raccolto i suoi telefoni, indirizzi, posta, automobili, il luogo dove vota e persino le infrazioni al codice stradale che ha commesso. Sono anche riportate le interviste fatte l’anno scorso ai capi dell’ELN, trasmesse dal notiziario per il quale lavora da due anni.

Nel suo caso, esiste anche un ordine operativo per realizzare un dossier su di lei che è stato consegnato da un colonnello ai suoi subalterni, documento che da poche settimane è in possesso dell’Ispettorato delle Forze Militari. La sua scoperta ha suscitato un forte alterco nella cupola castrense, poiché il comandante generale Luis Fernando Navarro, in una riunione, ha suggerito di trasmettere questa prove di un ordine illegale alla giustizia penale militare e non alla Procura.

Non meno grave è stato il caso di un giovane giornalista che ha lavorato per un periodo come produttore di alcuni spazi di Blu Radio. Il giornalista, di cui SEMANA omette il nome per proteggere la sua identità, si è occupato, facendo parte del suo lavoro, di ottenere nel Chocó un’intervista che è stata trasmessa con un capo guerrigliero dell’ELN, il cui pseudonimo è Uriel. A causa di questa attività hanno realizzato un dossier completo in cui compaiono alcuni dei suoi colleghi di lavoro e persino i suoi amici d’infanzia. Anche nel suo caso hanno fatto una geolocalizzazione per stabilire i luoghi dove si è mosso il giornalista, il cui dossier è stato intitolato “facilitatore intervista Gao ELN”.

Non solo i grandi media sono stati oggetto di queste indagini. Uno dei casi più eclatanti è quello di Rutas del Conflicto (Vie del Conflitto), un media alternativo specializzato in indagini relative a temi di corruzione e ordine pubblico, alcune delle quali pubblicate in alleanza con organi di informazione tradizionali. Si tratta di una dozzina di giornalisti, diretti da Óscar Parra, che non superano i 30 anni. Anche la maggioranza di loro è stata oggetto di questi dossier.

C’è anche una cartella  che riguarda la Liga Contra el Silencio (Lega Contro il Silenzio), creata nel 2016 su iniziativa della Fondazione per la Libertà di Stampa (Flip) di cui fanno parte gli stessi giornalisti e da altri 15 media specializzati nella pubblicazione di queste inchieste. Appaiono giornalisti riconosciuti come Ignacio Gómez, vicedirettore di Noticias Uno, e Gina Morelo, redattrice dell’unità di dati di El Tiempo. In altre cartelle ci sono riferimenti a giornalisti come Yolanda Ruiz, direttrice per le notizie di RCN Radio, e Daniel Coronell, giornalista e presidente per le notizie di Univisión.

I dossier sono stati estesi ben oltre i soli giornalisti. Nelle cartelle compaiono diversi membri del Colectivo José Alvear, alcuni dei quali sono avvocati di vittime di “falsi positivi” o sostengono processi contro i generali in congedo accusati di queste pratiche.

Queste attività di indagini illegali hanno coinvolto anche i leader del movimento sindacale. È il caso di Humberto Correa, segretario per i diritti umani della Confederazione Generale dei Lavoratori (CGT), nella cui cartella sono documentati, tra gli altri, i suoi viaggi, così come le foto di sua moglie e di suo figlio.

Non ne sono rimasti estranei nemmeno i membri di alcuni partiti politici. Tra gli altri troviamo i senatori Gustavo Bolivar, Angelica Lozano e Antonio Sanguino. E anche un militare in congedo, Pedro Soto, ex candidato al Consiglio di Barranquilla per il partito Centro Democratico.

Oltre ai precedenti, dentro agli oltre 130 “dossier” e “lavori speciali” ce ne sono alcuni che attirano l’attenzione, proprio perché non è facile capire il motivo per cui sono stati considerati obiettivi di interesse dell’intelligence militare. Uno dei più emblematici è il caso di Jorge Mario Eastman, ex viceministro della Difesa e segretario generale della presidenza di Ivan Duque. Si tratta di uno degli uomini più vicini al mandatario che occupava una delle cariche più potenti fino al suo ritiro nell’aprile dello scorso anno. Nel suo fascicolo appaiono diversi suoi contatti, tra cui ufficiali attivi e in congedo, funzionari del Ministero della Difesa e della Direzione Nazionale dell’intelligence.

Ma ci sono anche militari attivi e in congedo che rimarranno sorpresi quando verranno a conoscenza dei fatti. È il caso del capitano in congedo César Castaño, che ha fatto parte della squadra che ha accompagnato il generale in congedo Jorge Mora durante il processo di pace con le Farc all’Avana.  Sulla stessa linea compare il colonnello in congedo Vicente Sarmiento, che attualmente lavora come consigliere dell’ufficio dell’Alto Commissariato per la Pace, Miguel Ceballos.

Il generale in pensione Jorge Maldonado, ex capo della casa militare del Palazzo nel passato Governo; il generale in congedo Carlos Lemus, attuale secondo in carica della Giustizia Penale Militare; il generale in congedo Juan Pablo Amaya Kerguelen, fratello dell’attuale direttore della DNI, e l’ex direttore di Indumil, colonnello in congedo Enrique Villarreal, fanno parte degli oltre 25 militari che appaiono nelle cartelle e nei dossier.

Come siete arrivati a questo

“Tutto quello che è stato fatto e ciò che è successo con questi lavori speciali è stato a conoscenza dei comandi. Ma quando questa pentola finirà per scoperchiarsi, pagheranno i più stupidi, come sempre. I civili non conoscono una cosa che si chiama timore reverenziale, che anche la Corte lo ha protetto. La questione è che un subalterno esegue gli ordini per pressioni, paura o minacce dei suoi superiori, e per questo molti di noi eseguono queste istruzioni. Ma di questo sapevano e dettero ordini i capi dell’intelligence e del controspionaggio dell’epoca: i generali Quiroz e Garcia. Sapevano anche il comandante dell’Esercito e si sapeva perfino al Comando Generale delle Forze”, ha raccontato uno dei militari che ha parlato con una commissione speciale del Comando delle Forze Militari incaricata di indagare il caso.

Alcuni responsabili diretti, tra colonnelli e generali, hanno cercato di giustificare i dossier sostenendo che si tratta di dati ottenuti da fonti aperte e da reti sociali. Questo può essere vero in alcuni casi, in altri non è così chiaro. Tra le altre ragioni perché nella perquisizione fatta dalla Corte Suprema sono stati trovati diversi numeri telefonici di alcuni degli “indagati” che sarebbero stati oggetto di intercettazioni.

In effetti, dopo le denunce di SEMANA di gennaio sui pedinamenti e le intercettazioni, questa rivista ha potuto confermare con fonti dell’ambasciata degli Stati Uniti che gli statunitensi hanno ritirato da diverse unità militari gli equipaggiamenti tattici di monitoraggio e localizzazione da loro forniti.

“Loro (i militari) cercheranno di uscirne illesi sostenendo che le informazioni raccolte da fonti pubbliche come tali non sono operazioni di intelligence. Il problema è che il prodotto finale, ossia le relazioni che si basano su tali dati, sono intelligence e hanno uno scopo specifico, che in questo caso non è chiaro. Ora, una cosa è fare una o due indagini, ma più di 100 e su gruppi specifici come giornalisti, questo è perché c’è apertamente un interesse”, ha spiegato a SEMANA un alto funzionario della DNI (Direzione Nazionale di Intelligence).

“La differenza tra uno stato democratico e uno stato autoritario è che in uno stato democratico l’intelligence viene usata per prevenire o perseguire reati, non per spiare le persone che dicono o fanno cose su cui lo Stato non è d’accordo”, ha dichiarato a SEMANA Catalina Botero, ex relatrice per la libertà di espressione della Commissione Interamericana per i Diritti Umani e decana della Facoltà di Diritto dell’Università delle Ande.

Queste attività sono regolate dalla legge di intelligence progettata per evitare eccessi come quelli dell’epoca del DAS (Dipartimento Amministrativo di Sicurezza). Tuttavia, molti coinvolti nel caso sostengono che si tratta di informazioni pubbliche e di fonti aperte, il che è molto discutibile. “Tutte queste attività devono essere eseguite sotto ordini operativi o direttive che sono date”, ha detto a SEMANA Jorge Enrique Ibáñez, arbitro ed esperto nel quadro giuridico dell’intelligence in Colombia. Ha affermato che “non è legittimo fare delle ricerche in modo tendenzioso, schedare con caratterizzazioni particolari o relative ad un gruppo di persone determinate per vedere come agisce, qual è il suo punto di partenza, di destinazione, quali sono i suoi contatti familiari, sociali, eccetera. Perché non staremmo più facendo un servizio di intelligence strategica dal punto di vista sociale o imprenditoriale o di ordine pubblico. Stiamo facendo un lavoro di intelligence pura che ha come bersaglio un soggetto in modo particolare e concreto,  cadendo nel campo giudiziario perché una persona con queste caratteristiche non può essere bersaglio di intelligence”.

Non solo ha seri dubbi su ciò che l’anno scorso successe in queste unità militari. “Questo comportamento è chiaramente illegale, incostituzionale, inopportuno e antidemocratico. Ci sono molte ragioni, ma soprattutto bisogna dire che è antidemocratica perché attenta alla sicurezza di decine di giornalisti; perché indaga e si intromette nella vita delle loro fonti, mettendole anche a rischio; e perché tiene d’occhio la vita intima, indagando con chi si incontra, che argomento copre, o chi segue su Twitter. È inoltre ricorrente e conferma che purtroppo lo spionaggio militare alla stampa in Colombia non è un capitolo superato”, ha detto la Fondazione per la Libertà di Stampa (Flip) a SEMANA.

Su questo esiste anche un’ampia giurisprudenza internazionale. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, all’articolo 12 afferma che: “Nessuno sarà oggetto di ingerenze arbitrarie nella propria vita privata, nella propria famiglia, nel proprio domicilio o nella sua corrispondenza, né di attacchi al suo onore o alla sua reputazione. Ogni persona ha diritto alla protezione della legge contro tali ingerenze o attacchi”.

Nel corso dell’anno tutto ciò è stato violato da queste attività.

Di fronte a questa situazione, il ministro della Difesa, Carlos Holmes Trujillo, che ha assunto l’incarico dopo che sono avvenuti questi fatti, ha detto a SEMANA: “La politica del Governo nazionale, e naturalmente del Ministero della Difesa, è tolleranza zero nei confronti di qualsiasi comportamento che sia al di fuori della legge e di agire in modo severo e implacabile, nel quadro della Costituzione e della legge, nei casi in cui si verifichino tali comportamenti. Non mi tremerà la mano per prendere le decisioni che ci saranno necessarie”.

Su questa stessa linea, dal comando dell’Esercito e delle Forze Militari, hanno affermato che c’è tolleranza zero verso comportamenti al di fuori della legge e che quindi, giustamente, è in corso un’indagine disciplinare ed è stato delegato l’Ispettorato Generale delle Forze Militari a portare avanti una verifica dei processi e protocolli che l’intelligence deve rispettare.

“Il Comando dell’Esercito ordinò la realizzazione di una revisione strategica che analizzò i processi che porta avanti l’intelligence militare nella propria struttura, le procedure, organizzazione e controlli per sradicare l’esecuzione di pratiche che potrebbero danneggiare il buon nome dell’istituzione”, hanno affermato in una comunicazione a SEMANA i comandanti militari. Secondo quanto hanno riferito, l’Ispettorato dell’Esercito ha seguito permanentemente le azioni avviate dai delegati della Procura Generale della Nazione e da altri enti di controllo per garantire la trasparenza delle indagini nelle unità al fine di contribuire al chiarimento dei fatti.

Infine dicono che “se si determina la partecipazione a fatti che non sono conformi a quanto ordinato dalla legge, le persone coinvolte dovranno rispondere individualmente alla giustizia colombiana. L’obiettivo è avere un’intelligence credibile, affidabile e con elevati standard che consentano di garantire la difesa e la sicurezza nazionali”.

“I giornalisti non possono essere un bersaglio legittimo”

Jorge Enrique Ibáñez, arbitro ed esperto nel quadro giuridico dell’intelligence in Colombia nonché nelle questioni di sicurezza dello Stato, spiega cinque punti chiave per comprendere lo scandalo delle carte segrete dell’Esercito.

Limiti delle attività di intelligence

Sono definiti dal loro obiettivo di proteggere i diritti umani, e di prevenire e combattere le minacce alla sicurezza nazionale, all’esistenza dello stato, all’indipendenza e alla sovranità, in generale con il mantenimento dell’ordine democratico o la protezione delle istituzioni pubbliche e dei diritti delle persone. Ogni attività di intelligence deve essere portata avanti secondo un piano previsto annualmente. In modo che tali attività siano svolte nel rispetto degli ordini operativi o delle direttive.

Obiettivi legittimi

Sono bersagli legittimi tutti coloro che possono attentare alla sicurezza dello stato. I giornalisti non possono essere un bersaglio legittimo in nessuna circostanza. In primo luogo, perché l’articolo 73 della Costituzione lo dice espressamente: l’attività giornalistica godrà di protezione costituzionale. In secondo luogo, si tratta di un’attività di interesse pubblico che ha lo scopo di informare e indagare per garantire, tra l’altro, il controllo sociale e pubblico.

Nemmeno per nessun motivo gli avvocati potranno essere dei bersagli. Una persona che è accusata di aver commesso un fatto punibile, sia colpevole o no, ha diritto alla difesa tecnica, che deve essere data attraverso un avvocato. Lo stesso vale per le organizzazioni sindacali e sociali. I primi godono di protezione per la garanzia dei diritti fondamentali dei lavoratori. I secondi hanno la funzione di esercitare un controllo sociale, politico, fiscale, disciplinare e giudiziario su determinate istituzioni, pertanto, è illegale qualsiasi attività di intelligence che impedisca questa funzione e non abbia a che vedere con la difesa dello stato.

Fonti giornalistiche

I giornalisti possono validamente ottenere informazioni sulle organizzazioni criminali, anche dalle stesse fonti umane che si muovono nella clandestinità. Questo al fine di informare e ottenere da lì dati per il proprio lavoro. Spesso questo lavoro giornalistico permette alle autorità di agire, pertanto, l’attività giornalistica è legittima. La raccolta di informazioni e la consultazione di fonti da parte di un giornalista non può essere in nessun modo oggetto di intelligence.

Fonti aperte

Le persone hanno il potere di mettere informazioni su diverse piattaforme e ognuno ne assume la responsabilità. A sua volta, qualsiasi ente pubblico o privato può raccogliere tali informazioni. La chiave è nell’uso, poiché non è legittimo fare ricerche in modo tendenzioso, profili su persone o su un gruppo determinato per vedere come agisce, qual è il loro punto di partenza, di arrivo, quali sono i loro contatti familiari, sociali, eccetera. In questo caso, non svolgeremmo più un’attività di intelligence strategica dal punto di vista sociale o imprenditoriale o di ordine pubblico. Noi staremmo facendo un lavoro di intelligence pura che ha come oggetto un soggetto specifico, e noi cadiamo in campo giudiziario perché un giornalista, un avvocato, o un leader sociale che agisce all’interno delle sue funzioni non può essere un bersaglio. Inoltre, è illegale fare profili tendenziosi con informazioni che hanno lo scopo di danneggiare una persona nel suo onore e nella sua attività professionale.

1/5/2020

Semana

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Las carpetas secretas” pubblicato il 01/05/2020 in Semana, su [https://www.semana.com/nacion/articulo/espionaje-del-ejercito-nacional-las-carpetas-secretas-investigacion-semana/667616] ultimo accesso 08-05-2020

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