In tempi di emergenza sanitaria e isolamento obbligatorio, che succede nei quartieri della periferia dove risiedono le famiglie che vivono di affari di poco conto e, ora non possono uscire dalle proprie case per tirar fuori il denaro quotidiano. Come si arrangiano per poter mangiare.
Pulso Noticias lancia il primo capitolo della serie “Radiografia delle mense”. Questa volta: Okarikuna, del quartiere La Unión a Tolosa.
“C’è cibo”, dice il cartello che è appoggiato sulle lamiere fuori della mensa comunitaria del quartiere La Unión, Tolosa. Qualcosa di essenziale per le nostre vite. Nonostante ciò, oggi in piena emergenza sanitaria ci sono centinaia di migliaia di persone senza questo diritto umano garantito. Sono molte le persone che oggi devono recarsi nelle mense di quartiere, che in maggioranza funzionano grazie alle organizzazioni sociali, che hanno assicurato di aver raddoppiato i loro commensali ma non così le merci ricevute da parte dello stato.
A nove giorni dal decreto del governo nazionale di “isolamento sociale preventivo e obbligatorio” nel quadro della pandemia mondiale di Covid-19, la situazione di vita nei quartieri popolari si complica giorno dopo giorno. Sono poche le lavoratrici e i lavoratori che possono uscire ad effettuare liberamente i propri lavori, ciò nonostante esponendosi alle malattie; altri che effettuano un lavoro registrato, possono portare avanti la propria occupazione da casa, con il cosiddetto concetto di “telelavoro”, o chiedere i relativi permessi. Ma che succede con quel lavoratore o lavoratrice che si trova in modo totalmente informale e che guadagna per ogni ora lavorata.
La precarizzazione al massimo. Senza assistenza sociale, né pensione, né ART (Assicurazione dei Rischi del Lavoro), e retribuzioni al di sotto del salario minimo vitale, nei quartieri periferici molti lavoratori sopravvivono. Lì dove l’energia elettrica non giunge, nemmeno l’asfalto, e molto meno le opere idrauliche per avere l’acqua potabile. Dove in una casupola di legno e lamiere vivono non meno di cinque persone. Non meno di tre bambini per casa. Lì dove in un contesto di emergenza sanitaria e crisi mondiale si espone alle peggiori conseguenze di questo sistema capitalista e patriarcale.
“Siamo i più dimenticati”, ha detto a Pulso Noticias Elizabeth, una dei membri della mensa comunitaria di La Unión. La situazione sociale ed economica le tiene più che preoccupate perché non sanno fino a quando dovranno rimanere nelle proprie case senza poter uscire a lavorare. “Se non lavoriamo, non guadagnamo. Se non guadagnamo, non possiamo comprare cibo per i nostri figli”, ha dichiarato la giovane attivista mentre serviva minestra nei pentolini che le vicine portavano.
E ha raccontato: “mio marito lavora nelle costruzioni, tre settimane fa il suo padrone gli ha detto di non andare più al cantiere. Se non va, non guadagna. Allora lui e i suoi compagni gli hanno chiesto di poter andare per alcuni giorni, di poter fare delle ore extra quando ne hanno bisogno, e mai gli ha risposto. Il padrone è scomparso, ma sicuramente deve tornare a lavorare in quel medesimo luogo quando tutto questo terminerà. Non ci sono posti di lavoro, bisogna sottostare a questo assoggettamento”.
Secondo i dati dell’INDEC, nell’ultimo trimestre del 2019 le persone con problemi di lavoro nel Gran La Plata superavano le 90.000. La grande maggioranza di loro vivono nei quartieri popolari, come per esempio queste donne di provenienza boliviana che si organizzano per lottare per i propri diritti.
A quasi 4 chilometri dal centro geografico della città si trovano alcuni degli insediamenti più poveri della città, tra loro c’è “La Unión”. Precisamente al 521 e 119 funziona da sette anni il centro comunitario Okarikuna (termine Quechua che significa Solleviamoci) che fa parte del Fronte di Organizzazioni di Lotta (FOL).
Sono le donne di questo quartiere che si sono organizzate dopo l’altra crisi che colpì la città delle vie diagonali come fu l’inondazione del 2 aprile 2013.
Di fronte alle crisi e alla mancanza di risposte dei governanti, il popolo lavoratore solidarizza e si organizza. Così nacque il centro comunitario Okarikuna, che oggi apre le sue porte affinché tuttx possano portarsi via un piatto di cibo. “Questa situazione generò una maggiore unità tra le e gli abitanti”, ha raccontato Nelly, un’altra delle appartenenti della mensa, a Pulso Noticias.
Da sette anni fanno lavoro comunitario, autogestiscono un asilo, garantiscono la mensa, e lottano per migliorare le proprie condizioni di vita. Ora chiedono che il municipio di La Plata, il governo della Provincia e della Nazione aumentino la quantità di chili di alimenti secchi che forniscono, e che siano prodotti di buona qualità. “Il governo della Provincia ci dà merci per la mensa, ma l’ultima volta abbiamo ricevuto dei fedelini che si scioglievano non appena li gettavi nell’acqua bollente, così succede con molti prodotti. Sono di molta cattiva qualità. Vogliamo che ci diano verdure, carne e latticini per avere cibo salutare”.
Di fronte alla quarantena obbligatoria, la mensa funzionava lunedì, mercoledì e venerdì con un’affluenza di quasi 40 persone. Ora hanno deciso di cucinare da lunedì a sabato per garantire almeno un pranzo o una merenda al giorno per quelle persone che non possono contare su un piatto di cibo, principalmente i/le bambinx che sono rimasti senza la mensa scolastica.
“Cerchiamo di comprare con i nostri fondi alcune verdure o del pollo per variare il menù e che non sia solo riso o fedelini. Abbiamo necessità di coprire una dieta salutare”, ha detto Elizabeth. Allo stesso tempo ha aggiunto: “sembra che perché siamo poveri non abbiamo il diritto di consumare verdure, frutta o carne”.
Il governo provinciale gli consegna packs di fedelini, riso, passata di pomodoro, farina, latte in polvere, zucchero e piselli. “Nemmeno l’olio ci danno, sapendo che è una cosa molto necessaria per cucinare”. In questa congiuntura di emergenza hanno sollecitato una partita speciale per rifornire le mense, ma ancora non hanno ottenuto risposta.
“La municipalità ci consegna un fondo speciale per le mense di quartiere, che deve essere destinato specificatamente per comprare alimenti freschi, ma è molto poco denaro, sono briciole”, ha raccontato Nelly.
A causa dell’emergenza sanitaria hanno sollecitato ai funzionari locali un aumento speciale urgente ma continuano a non ricevere risposte. “Recentemente, venerdì, ci hanno dato il denaro di marzo, immaginati che dalla scorsa settimana, quando abbiamo deciso di mettere fuori un cartello dicendo ‘c’è cibo’, si è raddoppiano il numero dei commensali”.
Nei primi giorni non è bastato. Hanno dovuto cercare altre pentole e cercare di aumentare il poco cibo che avevano. Attualmente alla mensa vanno quasi 100 persone al giorno. Le appartenenti al FOL hanno l’incertezza su quanto ancora potranno sostenere questa consegna: tre giorni alla settimana danno il pranzo, e gli altri tre giorni la merenda.
Paradossalmente, oggi domenica, la Municipalità di La Plata insieme alla Provincia e alla Chiesa cattolica della nostra città staranno consegnando 25 mila buste di merci. Nelle ultime ore di questo sabato è circolata una lista di 10 parrocchie locali che funzioneranno come punti di consegna, nonostante che il municipio no volesse farli conoscere precedentemente secondo quando ha potuto verificare questo media. “Non era lo spirito del tavolo sociale far conoscere i punti essendo insicuro e perché si possono creare delle interminabili code. Nonostante ciò alcune chiese hanno fatto circolare gli indirizzi”, ha dichiarato a Pulso Noticias una fonte ufficiale del municipio.
“Non abbiamo candeggina né alcol in gel”
La principale raccomandazione del Ministero della Salute della Nazione per prevenire il contagio da coronavirus è lavarsi ripetutamente le mani con acqua e sapone, porsi alcol in gel o diluito (70/30) sulle mani, e lavare le superfici della casa con candeggina.
Nelly ha sottolineato che tutti i giorni dopo le ore 13.00 si abbassa la pressione dell’acqua, cade solo un filino d’acqua. “Quasi non possiamo pulire con quello, vogliamo acqua”, ha ribadito indignata. Nemmeno hanno potuto procurarsi alcol in gel in gran quantità per offrirlo alle persone che vanno a ritirare il loro cibo, hanno solo un flacone per le quattro incaricate che vanno ogni giorno.
All’Okarikuna partecipano circa 40 donne che autogestiscono il centro comunitario. Elizabeth e Nelly coincidono sul fatto che ogni risorsa che in questi giorni si procureranno la destineranno a comprare articoli di pulizia, verdure, frutta e carne. “Non abbiamo candeggina né alcol in gel, prodotti basilari in questa emergenza sanitaria”.
Circa un mese fa loro stesse insieme ai lavoratori della salute hanno dovuto manifestare e bloccare per alcune ore il viale 520 e il 118 per chiedere prodotti per uscire dal quartiere. Il Centro di Assistenza Primaria di Salute (CAPS) N° 15 della Municipalità non aveva garze, medicine, siringhe, sieri, e altri elementi basilari.
Paura, persecuzione e solidarietà
A un metro e mezzo di distanza, possiamo conversare con Esther, una donna di 35 anni, tre bambini (sei mesi, 3 anni, e 5) e il più piccolo lo aveva con la febbre. “Non andare all’uscita, non stanno ascoltando”, le raccomandavano mentre ritirava il suo cibo. “Chiama e insisti affinché la pediatra lo vada a vedere a casa tua”.
“Faccio quello che posso, mio marito è diabetico e allora rimane a casa e io esco a fare le commissioni. Vado molto al mercato centrale, anche se sono vari isolati e abbiamo paura che ci fermi la polizia”, ha raccontato e ha aggiunto che le verdure sono aumentate un mucchio per cui le sta costando comprare questi alimenti. Ha anche fatto riferimento all’isolamento obbligatorio e all’insistenza che ha con i propri figlx affinché non escano di casa.
“La gente è con la paura, ma ci aiutiamo tra noialtre”, ha detto Nelly, e ha continuato a fare menzione ai 10.000 pesos che il governo nazionale consegnerà per mitigare la situazione sociale. “È molto poco, è per un solo membro della casa e in maggioranza siamo 5, 7 o più persone in una famiglia. Sommato al fatto che dovrebbero aver cercato un altro meccanismo di iscrizione perché così escludono un mucchio di gene”.
Anche Elizabeth ha criticato la modalità di iscrizione: “qui nel mio cellulare ho appena internet, immaginati quanto tarderà ad aprire queste pagine. E molte altre persone non hanno computer, né internet né le conoscenze per adoperarli. Che faranno”, si domanda.
La crisi sanitaria mondiale colpisce coloro che hanno meno, i dimenticati di sempre. Porta alla luce la precarietà dei sistemi della salute e dell’educazione (hanno chiuso le scuole e ci sono migliaia di bambini senza potersi alimentare, uno dei principali compiti che stava ricoprendo il sistema educativo). Nel frattempo le imprese fanno sempre più pressione sui propri lavoratori affinché producano e così ottenere maggiori guadagni (per esempio, i lavoratori della fabbrica Bimbo dicono di non essere essenziali e vogliono rimanere nelle proprie case per prevenire i contagi).
I mercati sono caduti e le relazioni internazionali stanno modificandosi. Si fanno ipotesi di come sarà il mondo dopo il coronavirus, e le trasformazioni strutturali del sistema. Ora, la cosa importante è che nessuno muoia di fame ed essere solidali in tempi dove ci sollecitano a sorvegliarci, tra le e gli stessi lavoratori.
Foto: Gabriela Hernández (Pulso Noticias).
01/04/2020
ANRed
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Estefanía Velo, “Radiografía de comedores: se complejiza la situación en los barrios populares” pubblicato il 01/04/2020 in ANRed, su [https://www.anred.org/2020/04/01/radiografia-de-comedores-se-complejiza-la-situacion-en-los-barrios-populares/?fbclid=IwAR3c1-R6ct_Pz-LIbrq26-IwQRBqbL1pnFV-yQET8oMxbD8EcXWUu8bf0M8] ultimo accesso 08-04-2020. |