Il delitto della sete: la privatizzazione dell’acqua in Brasile


Raúl Zibechi

Il parlamento sta dando luce verde ad un anelito del presidente Jair Bolsonaro: la privatizzazione del Brasile, ora concretizzata con la privatizzazione dell’acqua e della rete fognaria. Il risultato è una crescente militarizzazione delle fonti e dei canali, che va per mano con la criminalizzazione degli assetati.

Con 276 voti contro 124, la camera dei rappresentanti ha approvato, nella notte di mercoledì 11 dicembre, il testo basilare del progetto che stabilisce il quadro legale del risanamento di base (fornitura d’acqua e fognature, ndt). La proposta stabilisce nuove norme per il settore e spiana il cammino affinché i privati si facciano carico del servizio. Per l’opposizione, “la camera ha approvato la privatizzazione dell’acqua” (Revista Forum, 11‑XII‑19).

Uno dei punti più controversi del testo è quello che rende obbligatoria la licitazione dei servizi relativi ad acqua e fognature per permettere la concorrenza tra le imprese pubbliche e le private. “La metà dei brasiliani non ha fognature e 35 milioni non accedono all’acqua pulita. Ciò che deciderà, se i municipi avranno servizi d’acqua e fognature, sono i potenziali profitti delle grandi imprese”, ha detto la congressista Sâmia Bomfim (PSOL) spiegando il suo voto negativo.

Controcorrente

“Coloro che difendono la privatizzazione nascondono il fatto che dal 2000 nel mondo sono stati ristatalizzati 884 servizi dell’acqua”, ha aggiunto il deputato Glauber Braga (PSOL).  In effetti, un’analisi del Transnational Institute ha rivelato nel 2017 che circa 180 città di 35 paesi avevano invertito la privatizzazione dell’acqua, dalla Bolivia fino alla Germania. Tra le principali ragioni per aver preso questa decisione figuravano il peggioramento del servizio privatizzato e l’aumento smisurato delle tariffe, “ambedue dettati dalla necessità di generare profitti per gli azionisti”, evidenzia il giornalista Antonio Martins nella pagina Outras Palavras.

Intanto, la deputata del PT Erika Kokay ha precisato: “L’acqua è un diritto fondamentale. Non può rimanere intrappolata nella logica del lucro. Siamo di fronte ad un arretramento storico che penalizzerà i più poveri”. I dati parlano da soli: appena il 45% del sistema fognario passa attraverso un qualche tipo di trattamento; il restante 55%, corrispondente a 5,6 milioni di metri cubi l’anno, è gettato direttamente nella natura.

Anderson Guahy, dirigente del Sindacato dei Lavoratori di Acqua, Fognature e Ambiente di San Paolo, ha detto al giornale Brasil de Fato: “Dal 2003, con la legge 11.445, approvata durante il governo Lula, c’è stata una regolazione affinché i municipi avessero un maggiore controllo del servizio di acqua e fognature, cercando di universalizzarlo”. Le licitazioni che si prevedono con la nuova legge favoriscono le grandi imprese di costruzione, del tipo della Odebrecht.

Inoltre, i municipi il cui servizio di acqua e fognature non genera guadagni possono rimanere senza il servizio, perché finora c’era un “sussidio incrociato”, spiega Guahy, che faceva sì che le città dove si generavano dei guadagni sussidiassero quelle che davano delle perdite. Con la privatizzazione “i municipi minori e medi dovranno pagare di più, perché un ente privato non è obbligato, come uno statale, a somministrare acqua a tutti i municipi che assume e, pertanto, se non ha dei profitti, non investirà”.

Guerra nel Nordest

Il 2 febbraio, giorno di Iemanjá, il quotidiano O Estado de São Paulo ha cominciato a pubblicare una serie di articoli intitolati “Guerra delle acque”, del giornalista Patrik Camporez. Il quotidiano evidenzia che i canali che deviano l’acqua del fiume São Francisco verso le grandi tenute della frutticultura nel nordest stanno venendo controllati da guardie armate e droni, mentre erigono muri per proteggere l’acqua, trasformata in affare per esportare la frutta.

Il Brasile possiede il 12% di tutta l’acqua dolce del mondo. Per secoli l’accesso all’acqua abbondante e pulita è stato libero. Fino agli anni novanta quasi non c’erano conflitti per questa. Ma negli ultimi cinque anni sono stati registrati 63 mila conflitti con l’intervento della polizia e sono sorte 223 “zone di tensione” per l’acqua. Secondo l’Agenzia Nazionale delle Acque dieci anni fa c’erano solo 30 zone di tensione.

Anche se i casi sono molto diversi, c’è un modello comune: “Il potere economico, l’agro-negozio, la gestione delle dighe idroelettriche, le industrie e i tagliatori illegali di legname, che vogliono appropriarsi delle terre demaniali, cercano in molti modi di restringere l’accesso ai fiumi e ai bacini”, scrive Patrik Camporez (O Estado de São Paulo, 2‑II‑20). Il medesimo rapporto stabilisce che lo stato li appoggia e, in cambio, ne escono sempre perseguiti i popoli originari e neri, gli agricoltori familiari e le comunità tradizionali.

La situazione dell’arido e secco nordest è così grave che i pozzi privati sono vigilati dall’esercito. La descrizione del giornalista sembra una cosa di un’altra epoca: “Jeeps con soldati bloccano le strade polverose. L’operazione di guerra dell’esercito per controllare l’acqua del sottosuolo si è trasformata in una routine nel sertão del nordest”.

São Josê de Belmonte è una località di 30 mila abitanti nel Pernambuco, celebre per un sottosuolo ricco d’acqua, bramata dagli speculatori. Di mattina, la città è congestionata da camion che raccolgono l’acqua per venderla alla popolazione.

“La corsa sfrenata per i pozzi di Belmonte ha portato il governo federale a chiamare l’esercito per controllare e distribuire l’acqua nella regione, che con cisterne è anche portata verso i vicini stati del Paraíba e del Ceará”, precisa Camporez. Il municipio ha più di mille grandi pozzi, con una profondità fino a 150 metri. “In ciascun punto di captazione c’è una squadra dell’esercito”.

Eterni conflitti: dalla terra all’acqua

“Senza essere riuscito a risolvere l’antico problema dei conflitti della terra, il paese vive ora una nuova crisi. Ciascuna curva di un fiume di grande portata e con flussi quasi secchi è disputata con i proiettili, pugnali o cacciavite”, scrive il giornalista Patrik Camporez.

Camporez specifica che i canali proibiti a buona parte degli abitanti delle regioni irrigate, nel nordest sono stati costruiti nei decenni degli 80 e 90 dalle piantagioni di frutta da esportazione.

“La criminalizzazione di coloro che non hanno acqua è un ulteriore dramma nel semiarido nordest. Il gruppo del reportage stava vicino al canale, a Petrolina, quando ha potuto vedere che un abitante si è avvicinato al corso con un secchio e un barile, ha guardato ai lati e, superando la paura, ha preso l’acqua del luogo. Era Cosme Angel, di 26 anni, che suddivideva il barile con 20 vicini”, racconta Camporez. Cosme ha dopo spiegato ai giornalisti: “È una lotta quotidiana. Se voglio prendere acqua direttamente da un fiume, devo cercarla a più di 20 chilometri nella costa. Allora, preferisco correre il rischio che mi vedano e chiamino i vigilanti dell’acqua per fare la denuncia”.

Il caso più emblematico è quello del dirigente comunitario Haroldo de Silva Betcel, di 34 anni, assassinato con un cacciavite sulle sponde dell’Igarapé Tiningu, a Santarém, nello stato del Pará. La polizia civile ha detto che il crimine fu dovuto alla contesa tra i rivieraschi e i proprietari terrieri per il controllo del corso del fiume Tapajós. “Nel Brasile di oggi, l’acqua si è trasformata in una materia di polizia”, sentenzia Camporez.

06/03/2020

Brecha

https://brecha.com.uy/el-delito-de-la-sed/

tratto da Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl Zibechi, El delito de la sed: la privatización del agua en Brasil” pubblicato il 07/03/2020 in Rebelión, su [https://rebelion.org/el-delito-de-la-sed-la-privatizacion-del-agua-en-brasil/] ultimo accesso 16-03-2020.

 

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