Argentina: un viaggio nella crisi sociale


Angelo Zaccaria

Come quello da me scritto oltre un anno fa, anche questo contributo nasce da una nuova lunga permanenza in Argentina, fra inizio di Marzo e poco dopo metà Settembre, per la maggior parte del tempo a Buenos Aires.

La crisi sociale si consolida

Il giro di boa della nuova crisi argentina si verifica nell’Aprile 2018, con la crisi cambiaria, la svalutazione del peso rispetto al dollaro, e le conseguenze negative su inflazione, salari reali e livelli di povertà. Da allora in poi la crisi si è consolidata ed approfondita, influenzando sia la dinamica sociale che quella politica ed elettorale.

I numeri della crisi sono facilmente consultabili: inflazione verso il 58%, povertà verso il 40% ma che sale al 50 considerando la sola popolazione infantile (a causa delle maggiori difficoltà nelle famiglie con più figli), cambio col dollaro USA ormai intorno ai 60 pesos, crisi industriali e nel piccolo commercio, recessione a meno 3%. Torno sul dato della povertà infantile, perché oltre che evidenziare il dato della povertà in sé, fa risaltare anche gli enormi squilibri esistenti non solo nel paese, ma nella stessa Grande Buenos Aires: nel conurbano i bambini poveri salgono al 63% del totale, mentre nella città capitale sono al 22%. La media nelle provincie interne invece è del 40% o poco più. Si conferma anche quanto già evidenziato in altre sedi: il conurbano di Buenos Aires è la polveriera sociale dell’Argentina.

Mi soffermerò quindi sulle mie impressioni dirette. La situazione di instabilità e la conseguente scarsa fiducia verso la moneta locale fan sì che, quando si ricevono quantità di denaro in pesos, per esempio a seguito di una liquidazione o una causa di lavoro, è piuttosto diffuso il costume di cambiare subito tutto in dollari USA. Molte persone pur lavorando non hanno risparmi, e sarebbero in difficoltà se subentrassero spese impreviste. Molti fanno ricorso al credito al consumo e pagamenti rateali, anche per acquisti di limitato valore. A Buenos Aires città, oltre il 40% delle famiglie vive in affitto ma altre stime dicono oltre la metà, i prezzi delle case sono in dollari USA, i fitti si mangiano quote di reddito paragonabili a quelle di città come Milano o Roma. A causa della instabilità monetaria, non esistono mutui immobiliari a tasso fisso: tutti a tasso variabile, coi problemi immaginabili che si verificano nei periodi di svalutazione ed inflazione come questo. La scarsa o nulla speranza di diventare prima o poi proprietari della propria casa ed il caro-affitti, così come la difficoltà ad uscire dal lavoro dipendente per aprire una attività autonoma, spingono molti ad andare altrove, inclusi gli emigrati della regione che decidono di tornare nei propri paesi di origine. Più volte al giorno ed un poco ovunque in città si incrociano i “cartoneros”, molti dei quali giovani, i quali raccolgono in strada o direttamente dai contenitori dei rifiuti, materiali vari da raccogliere e rivendere per il riciclo… I tassisti confermano che sono aumentati quelli che dormono sui marciapiedi o sotto i portici ed i ponti.

Anno di elezioni

Anche in Argentina come da noi, ogni anno si vota per qualcosa, ma questo è stato l’anno delle elezioni importanti, quelle per rinnovare il mandato quadriennale per il presidente della repubblica, disputate il 27 Ottobre scorso e vinte già al primo turno dal candidato peronista Alberto Fernandez, con oltre il 48% dei voti ed una margine di vantaggio di 8 punti sul presidente uscente Mauricio Macri. Peraltro il nuovo presidente si è insediato proprio nella giornata di oggi 10 Dicembre.

La incombenza delle elezioni, ha influenzato nel corso di quest’anno tutta la vicenda politica ma anche quella sociale e quindi le modalità, forme e tempi del conflitto e delle mobilitazioni di piazza, sempre piuttosto vivaci nel paese. Come già scritto nel citato precedente articolo, in Argentina i sindacati ed i movimenti di base legati ai temi del lavoro e del reddito, sono tutti variamente connessi ad aree, organizzazioni e partiti politici. A grandi linee, man mano che si approssimano gli appuntamenti elettorali legati alle presidenziali, si palesa la seguente divaricazione: la parte più istituzionale dei movimenti e sindacati legati al peronismo, concentra le proprie attenzioni ed energie sul processo elettorale, ed in funzione di questo decide e dosa le proprie mobilitazioni. La parte più radicale e “movimentista” del peronismo, ed i gruppi e movimenti legati alla sinistra, pur con sfumature e differenze continuano a praticare il terreno delle mobilitazioni di piazza, dei scioperi e dei blocchi. A fare da sfondo sta un fenomeno più generale: il possibile cambio di governo, crea in una parte della società un clima di attesa che certamente rende un pochino meno vivace degli anni immediatamente precedenti, il conflitto sindacale e sociale sopra citato. Non si tratta però semplicemente della distinzione fra chi privilegia il terreno della competizione elettorale e chi quello del conflitto di piazza, perché poi tutti alla fine partecipano alla contesa elettorale, compresa la sinistra trotskista raccolta nel Frente de Izquierda-Unidad, che presenta il proprio candidato presidente Nicolas Del Caño, il quale raccoglierà il 27 di Ottobre il 2,16% dei consensi.

La differenza che si vede in campo è anche quella fra modi diversi di condurre la stessa campagna elettorale per le presidenziali. Il peronismo, più radicato e diffuso nei territori, inclusi quelli non urbani e delle provincie dell’interno, e con maggiore accesso ai media, conduce la classica campagna elettorale tradizionale dei grandi partiti di massa. La sinistra invece, forte della sua militanza organizzata e della sua internità ai movimenti di protesta, sociali e sindacali più combattivi, incentra parte importante della sua campagna elettorale proprio sulla prosecuzione ed anzi rafforzamento delle mobilitazioni di piazza, sia su temi rivendicativi che di politica generale.

Queste differenze nell’azione risultano ancora più evidenti dopo le PASO, Primarie Aperte Simultanee ed Obbligatorie, tenutesi nel paese l’11 di Agosto. Nel sistema elettorale presidenziale argentino le primarie servono a selezionare nelle varie coalizioni chi sarà il candidato che si presenterà alle elezioni, ma in questo caso visto che le varie coalizioni avevano già scelto al proprio interno il candidato da presentare, le primarie di fatto servivano a misurare il peso elettorale di ogni coalizione, quasi come se diventassero una sorta di primo turno, in vista delle elezioni vere che si sarebbero tenute dopo due mesi e mezzo. Nelle primarie di Agosto, che vedono una partecipazione elevata superiore al 76% del corpo elettorale, il peronismo prevale su Macri con circa 16 punti di vantaggio, scarto che poi si dimezzerà nelle elezioni di fine Ottobre. Altra funzione importante delle primarie è, attraverso un quorum minimo di sbarramento del 1,5%, selezionare anche chi potrà o non potrà presentarsi alle elezioni vere e proprie.

Il consistente successo peronista, peraltro poco previsto in quella misura dalle stesse società di sondaggi, creerà nel peronismo “ufficiale” quella percezione di “vittoria in tasca” che porterà ancora di più a ritenere il terreno delle mobilitazioni di piazza secondario, quando non addirittura foriero di rischi e complicazioni. Non è del resto casuale che il macrismo, che affrontava le elezioni presidenziali come sfavorito, organizzerà alla vigilia delle stesse la classica grande adunata nella Capitale Federale, in Avenida 9 de Julio ai piedi dell’Obelisco. Al contrario il peronismo, che è il soggetto politico che ha senza confronti la maggiore capacità di mobilitazione di massa in Argentina, sceglierà di chiudere la campagna elettorale in modo un pelo più defilato, a Mar del Plata. Scelta dettata non solo dal fatto che la simpatica città balneare risulta solitamente un poco ostica per il peronismo, ma anche per non spaventare troppo gli elettori indecisi. Su queste ed altre differenze fra i vari soggetti in campo, tornerò più avanti.

Si conferma in questo anno elettorale, l’impressione già avuta nei precedenti viaggi: esistono perlomeno due movimenti che hanno una loro dinamica, forza ed energia tali da renderli relativamente più autonomi ed indipendenti da partiti ed organizzazioni politiche, e quindi anche dalle campagne elettorali per quanto importanti: il movimento per i diritti umani, e quello delle donne. Quest’anno sono arrivato in Argentina ad inizio Marzo, e quindi ho potuto riavere prova di quanto detto sopra partecipando alle due mobilitazioni di piazza più importanti di entrambi i movimenti: l’8 Marzo per il movimento delle donne; il 24 Marzo, anniversario della instaurazione della dittatura militare nel 1976, per il movimento per i diritti umani.

La forza dei movimenti: dai territori più difficili, alle strade e le piazze dei centri del potere

In questi ultimi 2 anni e mezzo segnati da tre lunghe permanenze in Argentina ed a Buenos Aires, ho partecipato ad un numero elevato di picchetti, cortei e mobilitazioni di vario tipo. Come già scritto in altre occasioni, mi ha sempre colpito la intensità di queste manifestazioni, la passione, la varietà dei soggetti, ma anche la forza ed i numeri impressionanti, tanto più considerando che queste mobilitazioni, pur legate alle differenti fasi politiche attraversate dal paese, sono mediamente piuttosto frequenti. Una forza tale che proprio in Argentina, a me che di cortei non ne ho visti pochi, è capitato quest’anno di vedere diverse volte in piazza, schierato un nuovo artifizio meccanico, inventato dai lugubri tecnici del “contenimento delle folle ostili”: si tratta di una barriera meccanica orizzontale “blocca-cortei”, mossa da un meccanismo idraulico, estendibile sino a quasi 30 metri, e pare importata dalla Cina. Era stata schierata a Buenos Aires per la prima volta nel Dicembre 2018 durante le mobilitazioni contro il G20.

In particolare, delle mobilitazioni dei movimenti legati ai temi del diritto al reddito ed al lavoro, paragonabili ai nostri disoccupati organizzati, i cosiddetti “piqueteros”, mi colpiva la partecipazione assolutamente popolare e proletaria, il fatto che fosse in maggioranza femminile, la grande quantità di striscioni e bandiere delle decine di sigle dei vari gruppi e movimenti; sugli stessi striscioni i nomi delle tante varie località dell’immenso conurbano di Buenos Aires, quello che noi chiameremmo hinterland, e dove vivono oltre undici milioni di persone.

Devo ringraziare uno di questi movimenti, il FOL (Frente de Organizaciones en Lucha), col quale ho avuto la fortuna di entrare in contatto nel corso della ultima parte di questa permanenza, perché mi ha dato la possibilità di conoscere più da vicino i luoghi, le esperienze e le pratiche di lavoro di base, che costruiscono nei territori giorno per giorno, quella forza che poi si vede nelle piazze e nelle strade centrali di Buenos Aires.

Il FOL, il quale nelle ultime elezioni presidenziali ha sostenuto il Frente de Izquierda-Unidad, è un movimento significativo ed importante, ma pur non essendo fra i più grandi presenti sulla piazza, nella sola Grande Buenos Aires e La Plata gestisce circa ben 75 centri comunitari, dove si svolgono le attività più disparate: produttive, formative, di organizzazione politica e sociale nei territori, mense ed asili autogestiti, librerie popolari etc. La caratteristica che accomuna il FOL ad altri movimenti affini è la forte capacità di coniugare il mutualismo e l’azione conflittuale e rivendicativa. Da un lato si autorganizzano servizi di base per la popolazione, in territori difficili o dimenticati dall’azione dei vari livelli delle amministrazioni centrali e periferiche dello stato. Dall’altro si canalizza la forza raggiunta attraverso il lavoro di base nei territori, promuovendo vertenze nei confronti delle varie controparti istituzionali, su temi che vanno dal diritto al lavoro ed al reddito, a quello alla casa ed alla salute, alle infrastrutture di base, alla salvaguardia ambientale, alla lotta contro la violenza di genere.

Ho visitato più volte una delle strutture gestite dal FOL nel Conurbano Sud di Buenos Aires, dove più alta è la concentrazione di situazioni di povertà e disagio, il “Galpón Cultural” di Claypole, 25 chilometri a sud di Buenos Aires, nel municipio di Almirante Brown.

Si tratta di una striscia di terreno occupata oltre 20 anni fa, al lato di uno dei tanti canali che solcano la zona data la vicinanza col Rio De La Plata, il canale San Francisco, e dove col tempo e con tanto lavoro son state realizzate una serie di strutture: il Galpón appunto, o capannone, dove ci sta una mensa con cucina, un asilo ed un doposcuola, una scuola per chi non ha finito la secondaria, i bagni e vari uffici. E poi aule per riunioni e lezioni autogestite, un laboratorio di ferramenta, una serra con un vivaio, degli orti ed altro ancora. Durante la mia prima trasferta in un sabato mattina, assisto alla riunione della Commissione Habitat, dedicata ai temi di salute, territorio, ambiente, servizi ed infrastrutture. Inclusi i problemi che riguardano lo stesso terreno del Galpón, come i rischi di erosione da parte del canale che lo costeggia. Non va dimenticato che vaste zone del conurbano, fra cui questa, son tuttora senza fogne e senza acqua corrente. Le acque nere vanno in pozzi neri precari scavati dalle singole famiglie, e che spesso filtrano verso il basso, oppure van direttamente e semplicemente nei canali. Per l’acqua vengono scavati pozzi sino alla prima falda che si trova a 30 metri di profondità, la falda Pampeana, alla quale accede la maggioranza delle famiglie, e che però è inquinata. La falda più profonda si trova a 70 metri e lì l’acqua è migliore, ma arrivarci è più costoso, e due gocce di varechina le devi mettere anche in quell’acqua più profonda.

Concludo aggiungendo che tutta la zona fa parte del bacino del Rio De La Plata e quindi è piena di canali, che molte strade son sterrate e non asfaltate, e che vaste zone, spesso le più povere e con case costruite su terreni occupati, sono inondabili e vengono allagate quando il fiume sale troppo di livello ed i canali straripano. Pertanto fra le varie controparti istituzionali delle vertenze promosse dal FOL, ci sono anche gli enti che si occupano della gestione delle acque. Fra queste vertenze ce n’è anche una nei riguardi di questi enti, perché finanzino la promozione delle “cuadrillas humedales”: progetti di creazione di squadre di 4 lavoratori per la pulizia e manutenzione delle zone umide, partendo da quelle dove ci son case abitate. Questa vertenza mi colpisce perché rappresenta bene una significativa maturità politica, che porta a coniugare, accanto alle classiche vertenze di un gruppo piquetero sui temi del diritto al lavoro ed al reddito, i temi della salute, del territorio e della salvaguardia ambientale.

Quel che mi sembra però ancora più interessante è il metodo adottato dal FOL per far decollare queste piccole vertenze sul territorio. Prima viene individuato il problema, che può essere un canale o una zona umida da pulire, o una area verde pubblica o privata adibita a discarica illegale e da recuperare ad uso pubblico. Iniziano a muoversi da soli attraverso il lavoro volontario di attivisti ed attiviste. Poi coinvolgono gli abitanti vicini e la società organizzata, associazioni, mense popolari, chiesa cattolica e chiese evangeliche incluse. A quel punto avviano la vertenza con le istituzioni, partendo da quella più prossima come il Municipio di Almirante Brown, perché riconosca e si assuma il problema, per esempio equipaggiando e retribuendo le famose “cuadrillas” o squadre di 4 lavoratori citate prima. Unico rischio è che i vicini, abituati a muoversi dentro logiche assistenziali, spesso scambiano i militanti del FOL per impiegati del comune. Oppure che si lasciano coinvolgere più facilmente nelle vertenze di fronte ad una emergenza, per esempio nei periodi di piena del fiume quando si trovano l’acqua che inonda la casa. Più difficile il coinvolgimento di vicini e famiglie per far fronte a problemi più strutturali o meno eclatanti.

Tutte le attività di cui sopra son preziose, perché lascio immaginare come tutto questo contesto territoriale, influenzi negativamente condizioni di vita e di salute, se alle condizioni ambientali ed infrastrutturali descritte, aggiungiamo che la spesa media pro capite per la salute nel conurbano è circa 3,5 volte più bassa di quella a beneficio di chi abita a Buenos Aires città.

Un altra immagine della difficoltà della vita quotidiana in queste zone: una passerella sul canale San Francisco, fatta di recente dalle autorità locali, composta di metallo, legno ed altri materiali, ed accanto una più vecchia, di nudo cemento, senza parapetti e mezza storta. La seconda fu fatta molti anni fa, in proprio dagli abitanti, perché prima non ce n’erano o erano troppo lontane.

Altro dato interessante: il Galpón Cultural ed in particolare la Commissione Habitat, si avvalgono della partecipazione e sostegno di gruppi di studenti e di docenti delle università vicine come quella di Lanús o della Universidad Tecnica Nacional, ed in particolare delle facoltà tecnico scientifiche: biologia, scienze ambientali, ingegneria, architettura, urbanistica, disegno grafico etc… Il mio ultimo giro a Claypole infatti, pochi giorni prima di partire, viene fatto in tutta la zona intorno al Galpón con un docente universitario ed un gruppo di questi studenti. Un ultimo esempio: fra le attività promosse, l’impianto dentro il vicino ed inquinato canale, proprio accanto agli scarichi fognari, di alcune varietà di piante acquatiche che per loro natura migliorano la qualità delle acque, con successivo monitoraggio della qualità delle stesse per verificare l’efficacia dell’esperimento. Il tutto in una logica di sostenibilità ecologica e della ricerca, nei limiti del possibile, di soluzioni alternative al cemento per affrontare i problemi.

Un altro momento per me importante ed emblematico fu, verso fine Agosto, la mia partecipazione, sempre grazie al FOL, ad un corso sulla salute. Eravamo in un altro centro comunitario, a Glew, sempre nel conurbano sur, fuori sul muro esterno una immagine di Dario e Maxi, i due piqueteros assassinati nel Giugno 2002. Dentro ci sono una trentina di persone: tutte del quartiere e tutte donne, tranne me, alcuni dei figli delle signore, ed uno dei due operatori della salute che tiene il corso. Si parla di problemi di nutrizione, obesità, diabete, ipertensione, depressione. Quello a cui partecipo io è solo uno di un ciclo di 8 incontri simili. Ho in quel momento la sensazione chiara e forte, che il vero motore e cuore più profondo e nobile dei movimenti di lotta argentini, è in momenti e storie come queste.

Tornerò quindi ora, dalla dimensione del lavoro di base nei territori, a quella delle mobilitazioni di piazza, le due polarità fondamentali ed assolutamente complementari sulla cui base funzionano i movimenti di lotta in Argentina, e non solo.

B., uno degli animatori del FOL, che incontro varie volte, dopo avermi chiesto della situazione dei movimenti in Italia, ed avere curiosamente commentato che ero il primo italiano che gli descriveva la situazione in termini non troppo negativi e depressivi, mi traccia un quadro dei movimenti in Argentina, in particolare di quelli legati ai temi di reddito e lavoro. Mi dice che questi movimenti in tutta l’Argentina hanno una capacità media di mobilitazione di 300.000 persone, 200.000 mobilitate dai movimenti più affini al peronismo in alleanza con uno legato al maoismo, il cosiddetto “triumvirato piquetero” ( CTEP, Movimiento EVITA e CCC), e 100.000 mobilitate da quelli vicini alle varie altre anime della sinistra. L’alleanza fra i peronisti ed i maoisti del PCR, presenti nella CCC, Corriente Clasista y Combativa, è dovuta al fatto che questi ultimi ritengono che la prima fase della rivoluzione in Argentina avrà caratteri nazionalisti borghesi, e quindi occorre allearsi con le forze della borghesia nazionale, ovvero coi peronisti.

La provincia di Buenos Aires e la Grande Buenos Aires rappresentano una porzione significativa di questa capacità di mobilitazione, considerata la grande importanza che storicamente ha Buenos Aires nella vita politica, culturale e sociale del paese.

Mi conferma anche che viene applicato un principio non nuovo anche per i movimenti italiani, dai disoccupati organizzati a quelli per il diritto alla casa: per far parte del movimento e godere delle sue conquiste ottenute con la lotta, per esempio il prolungamento o estensione dei Piani Sociali erogati dal governo, qualcosa di simile ai nostri Lavori Socialmente Utili, è gradita la partecipazione alle mobilitazioni di piazza, partecipazione che in qualche modo viene monitorata dall’organizzazione. Si tratta di un aspetto non secondario, perché spesso viene strumentalizzato dalle destre per sostenere il carattere “non spontaneo” o forzato della partecipazione alle manifestazioni dei “piqueteros”. Però giustamente sottolinea che un conto è stimolare la partecipazione in vista di finalità clientelari o della promozione di carriere politiche personali dentro organi di potere o amministrativi, cosa che lui in qualche modo attribuisce alla destra e a parte del peronismo, ed un conto è farlo dentro ottiche collettive e solidali, per far vivere il sano ed elementare principio: “se vuoi che la lotta paghi, sostieni la lotta”. B. quindi ci tiene a sottolineare che le “liste di lotta” legate alle vertenze per i sussidi, sono gestite con criteri assembleari ed in vista della promozione delle lotte per ottenere maggiori conquiste per tutt@. Per fare un esempio concreto: il FOL ottiene dal governo 1000 sussidi in più, e decide di smistarli sulle realtà che partecipano di più alle lotte (anche questo viene monitorato) e che quindi si suppone abbiano più sussidi in scadenza, o su quelle che si intende promuovere e fare crescere. Mi dice anche che il governo di Macri ha tentato di ridurre la influenza dei movimenti di base, separando il meccanismo di erogazione dei sussidi dalla partecipazione alle lotte, con sussidi privi di scadenza o agganciati a meccanismi automatici e neutri, come per esempio la partecipazione a processi formativi, ma le lotte per il reddito continuano ugualmente. L’80% circa di chi vi partecipa sono donne, perché mentre gli uomini che perdono il lavoro tendono a deprimersi, le donne tendono più ad attivarsi e reagire. Gli orari delle attività ed eventi dei movimenti piqueteros, in genere terminano verso le ore 17.00, perché dopo ci son le esigenze di casa e della famiglia. Queste donne organizzano anche asili autogestiti per militanti, che spesso sono madri separate, e gente del quartiere, anche per permettere ai genitori di partecipare a queste attività di lotta senza trascinarsi sempre dietro i figli.

In ogni caso se decine di migliaia di persone se ne vanno a sfilare nel centro di Buenos Aires per ore, o restano per giorni interi nel picchetto o nella tendopoli sotto il Ministero dello Sviluppo Sociale, incluse le neo mamme col bimbo nel fagottino perché non hanno nemmeno i soldi per comprarsi il passeggino, non lo fanno perché costrette o manipolate. Lo fanno perché i movimenti di lotta argentini, hanno offerto loro, che spesso vengono da paesi della regione dove la vita è ancora più dura che in Argentina, come Perù o Bolivia o Paraguay, la possibilità di vivere una vita più degna e migliore, cosa che altri soggetti politici o sindacali non han fatto ed offerto in modo più convincente ed efficace.

Mi pare però giusto riportare che alcuni giovani militanti di estrazione universitaria, mi han espresso le loro perplessità sul metodo, piuttosto comune nei movimenti, di esercitare pressioni perché le persone partecipino alle marce e picchetti, in quanto si rischia che la gente venga senza avere piena consapevolezza e senza poi crescere politicamente.

Il bicchiere mezzo vuoto: differenze e conflitti fra, dentro ed intorno ai movimenti popolari e di base

Come già avevo osservato in precedenti permanenze, le differenze e conflitti fra i vari filoni ed aree dei movimenti di lotta argentini, ed anche all’interno delle stesse aree, non hanno nulla da invidiare a quel che in contesti simili si vede in altre parti del mondo, Italia inclusa.

Nella parte di questo contributo dedicata alle elezioni, avevo detto che dopo le Primarie di Agosto si erano evidenziate ancora di più le differenze fra questi movimenti, su come gestire la leva delle mobilitazioni di piazza in una nuova fase politica segnata da una lunga vigilia elettorale con un candidato presidente peronista dato largamente per favorito.

Mi colpì molto quanto accadde in Plaza de Majo nel pomeriggio del 15 Agosto, un giorno di poco successivo alle Primarie. Nella piazza si era appena sciolto un corteo, piuttosto partecipato, convocato da gruppi e movimenti di lotta vicini alla sinistra. I temi erano quelli consueti: innalzamento dei sussidi e loro estensione, dichiarazione dello stato di emergenza alimentare e quindi aumento dei fondi per combattere la fame… fra le altre cose venivano annunciate, proprio sul tema della fame, nuove iniziative di denuncia da convocare davanti ai supermercati. Tutti i principali movimenti sociali vicini al peronismo, in questo corteo erano assenti.

Era un Giovedì, giorno della tradizionale “Ronda de las Madres”, il tradizionale presidio che le Madri di Plaza de Mayo tengono davanti alla Casa Rosada tutti i giovedì pomeriggio, da ormai oltre 42 anni. Quel giorno, sotto il gazebo bianco, ci stavano diverse esponenti delle Madri e venivano fatti vari interventi sia sui diritti umani che sui temi politici del momento.

Chi concluse gli interventi fu Hebe De Bonafini in persona, leader storica della Asociación Madres de Plaza de Mayo, simbolo vivente a livello mondiale della lotta contro ogni dittatura, contro la violenza del potere e per la difesa dei diritti umani. Quel che mi colpì fu che Hebe caratterizzò il suo intervento incentrandolo, pur senza nominarli esplicitamente, su un attacco polemico verso la sinistra, ed in particolare i gruppi e partiti trotskisti.

Hebe in sostanza, dopo avere esaltato la vittoria alle primarie di 4 giorni prima, disse che non era il momento di scendere in Piazza, che occorreva lavorare per preparare la vittoria alle elezioni di fine Ottobre, che non era il caso di cedere alle sirene di partitini “che nemmeno arrivano a prendere il 2% dei voti”; che tantomeno era il caso di esporsi o cedere alle provocazioni andando a manifestare davanti ai supermercati. Qui va ricordato, per comprendere meglio questo riferimento, che in Sudamerica ed anche in Argentina, non di rado le grandi ribellioni popolari sono cominciate proprio coi saccheggi dei supermercati.

Questo episodio dà conto della divaricazione storica esistente in Argentina fra peronismo, al quale certamente fa riferimento Hebe, e gruppi militanti della sinistra.

Divaricazione tanto profonda che sugli attacchi ai gruppi di sinistra Hebe riceve non solo applausi ma anche uno che le grida che è una “genia”. Per capire questo occorre tenere conto della violenta polarizzazione della politica ed anche della società argentina. Le politiche antipopolari ed antisociali di Macri, confrontate con quelle di segno diverso fatte sino a poco prima dai governi kirchneristi, rendono più difficile sostenere in Argentina la tesi che “sono tutti uguali”, anche se lo slogan “que se vayan todos” fu inventato proprio laggiù nella crisi del Dicembre 2001. Ma in quegli anni il campo peronista era rappresentato da opzioni più centriste e destrorse di quelle subentrate dopo. Pertanto in Argentina ti può oggi capitare che persone provenienti storicamente dall’estrema sinistra, ti dicano che “i trotskisti fanno il gioco della destra”. A questo mi permetto di dire che contribuisce la stessa propaganda trotskista, talvolta troppo statica ed ideologica, e non capace di argomentare in modo adeguato che destra e peronisti son la stessa cosa, e l’unica alternativa sarebbe rappresentata da loro stessi.

Del resto un antipasto del clima da me percepito il 15 Agosto, si era visto già un bel po’ di mesi prima, nel Novembre-Dicembre 2018. Anche se mancava ancora un anno, già nei movimenti sociali vicini al peronismo si iniziava a respirare un clima da “vittoria in tasca” alle elezioni presidenziali, e quindi si delinea la scelta di non partecipare a mobilitazioni di piazza esposte al rischio di scontrarsi con la polizia. Infatti i principali gruppi e movimenti sociali peronisti non partecipano alle mobilitazioni contro il G20, che si chiude proprio il primo Dicembre a Buenos Aires, e nemmeno a quelle per l’anniversario delle vicende del 20 e 21 Dicembre 2001. Nemmeno son presenti, tranne piccole delegazioni, alla marcia del primo Agosto di questo anno per il secondo anniversario della sparizione di Santiago Maldonado.

Un’altra vicenda che mi ha colpito, si sviluppa invece tutta all’interno di una delle organizzazioni della sinistra, ed in particolare dentro il Partido Obrero, il più grande gruppo politico argentino ispirato al trotskismo, anzi a loro dire il più grande partito trotskista oggi esistente nel mondo. Non faccio fatica a crederlo, perché ho potuto più volte misurare in piazza la capacità di mobilitazione sia del Partido Obrero, che del movimento piquetero a loro vicino, il Polo Obrero.

Orbene, nel Partido Obrero verso la metà di quest’anno si verifica un tipico evento che spesso connota, ahimè, la vita di organizzazioni e partiti della sinistra di classe: la scissione. La cosa assume subito un rilievo importante perché protagonisti della scissione sono due dirigenti di peso, Marcelo Ramal e soprattutto Jorge Altamira: storico esponente del trotskismo argentino, attivo dentro le lotte operaie nell’autunno caldo avvenuto anche da quelle parti nel 1969, il famoso “Cordobazo”; militante contro la dittatura, intellettuale oltre che dirigente, autore di vari libri.

In sintesi gli scissionisti imputano al resto del gruppo dirigente “maggioritario”: la mancanza di “vocazione di potere”; l’inseguire slogan elettoralisti del tipo “che la crisi la paghino i ricchi”, ad effetto ma privi di contenuto e prospettiva reale. Contestano il rilievo dato alla polemica demagogica contro le banche, come se il capitalismo non potesse convivere anche con un sistema di banche pubbliche; un certo movimentismo privo di bussola. In cambio le proposte strategiche degli scissionisti sono: riaffermazione della centralità operaia, contro le generiche sommatorie di giovani, donne, pensionati etc.; revoca dei poteri costituiti, nuova Assemblea Costituente e governo operaio. Qui però sono io, ma giusto al volo, che pongo agli scissionisti una obiezione in nome del “realismo”: ammettendo che si riesca a revocare i poteri costituiti, impresa di per sé non proprio semplicissima, come verrà poi eletta questa Assemblea Costituente? E cosa si fa se poi le elezioni della medesima, le vincessero… i peronisti???… Ma lasciamo perdere per ora e torniamo alla scissione.

Il giorno 3 Agosto 2019 gli scissionisti celebrano una loro assemblea a Buenos Aires, nell’Auditorium della Facoltà di Scienze Sociali, che sia detto per inciso, ha di routine l’aspetto di una facoltà italiana occupata in pieno 1977 o durante il movimento della Pantera. La sala è piena, se non son mille persone ci andiamo vicino, molta passione, molti giovani, il tutto chiuso al canto dell’Internazionale sino all’ultima strofa. Trovatemi voi un altro posto dove la frazione minoritaria di un partito trotskista mette in piedi un evento del genere…!!… In sostanza la scissione ripropone uno degli eterni ma sempre attuali dilemmi dei gruppi di estrema sinistra, alla perenne ricerca di forme e modi per aumentare la propria forza: si cresce annacquando parole d’ordine e puntando su temi economici, sociali e diritti civili, oppure mettendo al centro il tema del potere e della rivoluzione??

Ma evidentemente è lo stesso successo dell’assemblea che pone in ulteriore allarme il gruppo dirigente “maggioritario”, che muove le sue carte per correre ai ripari e contenere il contagio della scissione.

Il 22 Agosto, si tiene un altro corteo dei movimenti e gruppi di sinistra, analogo a quello descritto in precedenza. Da un lato per la prima volta vedo in piazza la perfetta risoluzione plastica e creativa, della vecchia diatriba su “chi prende la testa del corteo”. Tutta la prima parte della manifestazione è in realtà formata da due cortei che scorrono in parallelo, perfettamente uno accanto all’altro, formati dalle due principali organizzazioni trotskiste, il PO e lo MST (Partido Obrero e Movimiento Socialista de los Trabajadores), entrambe di solito in competizione fra loro, ma in quel frangente alleate in vista delle elezioni presidenziali nel Frente de Izquierda-Unidad. La risoluzione in piazza della vecchia diatriba su chi apre il corteo, è resa possibile, banalmente, non solo dalla larghezza delle strade principali del centro di Buenos Aires, ma anche dalla capacità organizzativa e di mobilitazione dei gruppi coinvolti. Certo, mi si consenta la battuta, le cose si sarebbero complicate un attimino se i gruppi aspiranti a stare alla testa fossero stati più di due. Però un amico mi informa che altre volte il dilemma fu risolto attraverso sorteggio.

In coda al grande spezzone dei due gruppi trotskisti principali che aprono il corteo, si assiste invece ad una triste scena che di positivo e creativo ha ben poco. Alcuni cordoni di servizio d’ordine del Partido Obrero, chiudono il loro pezzo di corteo e tengono fuori, dietro ed a distanza, lo spezzone degli scissionisti di Ramal ed Altamira. Questi ultimi, non tantissimi, seguono la prima parte del corteo, lasciandosi davanti circa 30 metri di “terra di nessuno”, con alla testa uno striscione che reca la scritta “Tendencia/Partido Obrero”. Il senso della scena è tutto nel fatto che, come spesso capita nelle scissioni, ognuno dei contendenti rivendica a sé la interpretazione autentica ed originaria della linea più corretta della organizzazione madre.

Questo quindi spiega come mai gli scissionisti, in realtà tali non si ritengono, e rivendicano più che mai la loro appartenenza al Partito nella forma di Frazione legittimata ad essere interna ad esso. Mentre il gruppo dirigente maggioritario vuole rappresentare anche plasticamente e fisicamente in piazza, e nella forma più scenografica, plateale ed umiliante, che gli scissionisti sono ormai isolati e quindi fuori dal Partito. Concludo aggiungendo che, cosa anche questa non nuova, nello scontro interno al PO c’è anche una componente di tipo generazionale: il classico scontro fra vecchi dirigenti e “giovani”, cioè 40/50enni. Da molti Jorge Altamira veniva percepito ed anche criticato come il “padre padrone” del partito. Un primo antipasto della recente resa dei conti fu nel 2015, quando nel corso delle primarie interne in vista delle presidenziali, lo stesso Altamira perse nel confronto con Nicolás Del Caño.

Si potrebbero fare ancora altri esempi, come quello della giornata di mobilitazione sindacale del 4 Aprile, dove ci stavano ben 4 concentramenti diversi in città, ognuno promosso da differenti aree politico-sindacali.

Perché ho descritto tutto questo???… per dire che quella Argentina è una realtà politica fortemente innervata nella tradizione e nelle culture della sinistra marxista mondiale, sia occidentale che “orientale”, nel bene e nel male, quindi settarismi e guerre intestine incluse. Con in più la variabile assolutamente non secondaria della presenza storica del peronismo. Ed un altro fattore connesso a tale variabile: come dice un mio caro amico argentino, G., “la classe operaia argentina non è mai stata di sinistra… Negli anni ’70 la base dei movimenti più radicali era studentesca… Anche oggi la base sociale della sinistra trotskista è studentesca, più alcuni nuclei di avanguardia di lavoratori”.

Semplicemente però nella realtà attuale argentina i settarismi e i conflitti fra gruppi, avvengono sullo sfondo di una realtà estremamente vitale e di grande partecipazione e mobilitazione. Un po’ come avveniva da noi in altri momenti storici e politici, che nulla esclude si possano ripetere anche quassù, e che si ripeteranno, seppure in modi e forme certamente diverse dal passato.

Argentina ancora nel cuore

Dal mio diario di viaggio, pagina del 25 Maggio 2019:

“….ARGENTINA CRUDELE E STRAORDINARIA…..

Alcuni giorni fa a San Miguel Del Monte, 100 km a sud di Buenos Aires, strano inseguimento della Polizia Bonaerense ai danni di una Fiat Spazio con al volante un 22enne e dentro due ragazzini e due ragazzine fra i 13 e 14 anni. L’inseguimento appare senza motivi. A un certo punto i poliziotti iniziano a sparare, colpiscono sia l’auto che almeno uno degli occupanti. L’auto si schianta contro un camion parcheggiato. 4 morti, più una delle ragazzine gravissima in ospedale a Florencio Varela. I poliziotti tentano subito di insabbiare la cosa. Cercano i bossoli a terra, stravolgono le deposizioni dei primi testimoni: gli spari, nel verbale diventano rintocchi o scoppi di marmitta.

Il paesino si mobilita subito. Presidi e cortei molto partecipati si susseguono. MA C’É DI PIÚ. La gente della zona raccoglie i bossoli e li consegna ai familiari delle vittime. Un impiegato del comune, a rischio di essere sanzionato, custodisce i nastri delle telecamere di sicurezza e li consegna (finiranno in TV). Quasi 40 persone si presentano a testimoniare per smentire la versione della polizia.

Il governo stavolta é in difficoltà…”

Le pagine del mio diario e di quelli precedenti, che raccontano cose o situazioni che mi han toccato e commosso profondamente potrebbero essere tante altre, ma ho scelto questa perché dà l’idea meglio di altre.

L’idea di un paese dove abbondano le ingiustizie sociali e la violenza del potere, però dove a queste si risponde, non sempre ma spesso, con la solidarietà, lo stare e stringersi insieme, la partecipazione, la lotta, il conflitto, l’organizzazione. Un paese capace di risollevarsi da tragedie come quelle dei 30.000 desaparecid@s fornendo, con le sue Madres dal “pañuelo blanco” e le sue Abuelas, un esempio al mondo intero.

Se l’Argentina non ha sinora fatto la fine del Brasile, sotto il tallone di ferro di un Bolsonaro di turno, è anche grazie a tante persone come i 40 testimoni di San Miguel del Monte.

Argentina quindi, destinata a restare nel cuore.

da sinistrainrete.info

17 dicembre 2019

InfoAut

Angelo ZaccariaArgentina: un viaggio nella crisi sociale” pubblicato il 17/12/2019 in InfoAut, su [https://www.infoaut.org/notes/argentina-un-viaggio-nella-crisi-sociale] ultimo accesso 08-01-2020.

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