Stato plurinazionale: l’attuale dibattito mapuche


Fernando Pairican

In questo imprescindibile testo, lo storico mapuche Fernando Pairican ripassa parte della recente lotta mapuche per l’autonomia politica e spiega qualcosa che non è stato presente nel dibattito: che pensa il suo popolo di fronte alla proposta di uno Stato Plurinazionale.

L’autore analizza anche -con speranza ma con cautela- il 18/Ottobre: ci sono stati progressi, argomenta, ma la mobilitazione sociale “non è riuscita a piegare l’egemonia della ‘vecchia classe politica’” e questa, lentamente, sta ricreando il proprio potere.

Questa settimana la destra cilena ha votato contro le quote riservate ai popoli originari. Sembra evidente che dietro a questa posizione stia il rifiuto di ripensare il Cile come uno Stato Plurinazionale, idea che ha guadagnato adesioni tra i partiti creoli e tra i manifestanti che dall’esplosione del 18/O sventolano la Wenüfoye, la bandiera mapuche. In questo articolo mi propongo di esporre quello che le organizzazioni mapuche hanno pensato e pensano dello Stato Plurinazionale, e come questo concetto si colleghi agli argomenti e alle lotte che da decenni i mapuche hanno portato avanti per ottenere l’autonomia politica e il controllo territoriale. La loro voce non si è sentita in questi dibattiti.

La repubblica del Cile vive un momento costituente. Come in poche occasioni, la possibilità di smantellare il repubblicanesimo omogeneo ha svelato l’opportunità di pensare ad un nuovo tipo di stato che aspiri a che le nazioni originarie siano portatrici e soggetti di diritto all’interno della democrazia cilena. Lungo la sua storia, la repubblica si è sistematicamente fatta carico di negare qualsiasi progresso in ambito legale nella democratizzazione e nei riconoscimenti, coerente con una costruzione di stato e di settori politici che non rispettano la diversità né i nuovi Diritti Umani emanati da organismi internazionali.

La via della Plurinazionalità è stata la formula adottata da alcuni stati. In Ecuador è stato definito uno “Stato costituzionale di diritti e giustizia, sociale, democratico, sovrano, indipendente, unitario, interculturale, plurinazionale e laico”. In Bolivia si è adottato uno “Stato Unitario Sociale di Diritto Plurinazionale Comunitario, libero, indipendente, sovrano, democratico, interculturale, decentralizzato e con autonomie”, che è in relazione con il riconoscimento della preesistenza delle nazioni e dei popoli originari. Francisco Huenchumilla [1] considera questo Stato Plurinazionale come un passo nel riconoscimento dei popoli originari come attori e soggetti di diritti collettivi, per essere incorporati sulla base di una nuova struttura di stato, a livello costituzionale. L’organizzazione dello Stato Plurinazionale sarebbe la repubblica e sarebbe governata in modo decentralizzata.

Alcuni attori mapuche non trovano nella Plurinazionalità una via per conquistare i diritti fondamentali [2]. Le controversie che esistono sono il risultato della presa di coscienza da parte della “comunità politica” di essere portatori di diritti collettivi derivati dalla ricostruzione politica della comunità autonomista [3].

L’Autodeterminazione cominciò ad essere dibattuta nel 1983. Durante quegli anni non si parlava di Stato Plurinazionale e sì, di regimi di autonomia. La concezione Plurinazionale ha cominciato ad essere posta dal movimento indigeno in Ecuador nel decennio del 90, come modo di conciliare la lunga traiettoria contadinistica delle lotte sociali con le prospettive autonomiste del movimento indigeno.

Nel caso del Cile, l’organizzazione Ad Mapu (1981), nata dai Centri Culturali Mapuche (1978), promosse il dibattito dell’autonomia all’interno del movimento, in collegamento con i dibattiti internazionali, come il ciclo di processi di decolonizzazione in Oriente (Egitto, Iran, Iraq), Africa e alcuni progressi in America Latina, come il Nicaragua.

A partire da quel momento, Ad Mapu, dopo l’Aukiñ Wallmapu Ngulam, le Identità Territoriali, il Coordinamento Arauco Malleco e la Wallmapuwen, hanno continuato ad approfondire questa aspirazione politica. Anche attori politici dei partiti politici cileni, come il citato Francisco Huenchumilla, si sono pronunciati riguardo a questo orizzonte politico. Per queste ragioni è possibile sostenere che ci troviamo di fronte ad un ciclo politico caratterizzato dalla conquista dell’autodeterminazione.

Almeno tre correnti politiche che si nutrono e differenziano per creare un orizzonte per il Wallmapu [4]. Da un lato, il movimento che aspira al Controllo Territoriale guidato dal Coordinamento Arauco Malleco (1998), l’Aukiñ Wallmapu Ngulam (1991) e l’Aukan Wichan Mapu (2012), tra gli altri, è quello che possiamo chiamare “l’autodeterminazione dal basso” [5]. Queste organizzazioni politiche non condividono la Plurinazionalità come orizzonte, dato che osservano che potrebbe essere il rinvigorimento del medesimo stato che si è espanso durante l’occupazione dell’Araucanía.

Con una seconda prospettiva, le organizzazioni che hanno percorso la via istituzionale come commino per smantellare la repubblica omogenea, chiavi sono state le organizzazioni come le Identità Territoriali, l’Associazione dei Sindaci Mapuche e la Wallmapuwen. Le prime due organizzazioni rilevano nella Plurinazionalità una via, mentre la terza sostiene un’autonomia  regionale come via per consolidare una Autodeterminazione [6].

In una terza via, possiamo osservare alcuni dirigenti che all’interno dei partiti cileni li forzano ad assumere una definizione relativa ai diritti fondamentali. Questa è la ricerca della Plurinazionalità “dall’alto”; a partire dagli incarichi accettati nell’attuale governo da alcuni membri dell’associazione mapuche ENAMA, rafforzano la via multiculturale come opzione politica [7].

È certo che lo Stato Plurinazionale può “addomesticare” i diritti, come ha sostenuto Aucan Huilcaman nel suo recente incontro nella riunione della collina Ñielol [8]. Per questo dirigente, che ha proposto l’Autodeterminazione come sentiero per la liberazione del Wallmapu, lo Stato Plurinazionale è uno “spartiacque” nella promozione dell’autodeterminazione, e imporrebbe una nuova istituzionalità cilena che non darebbe potere alla società mapuche. Al contrario, la dominazione si rinvigorirebbe a partire dalle istituzioni creole amministrate da funzionari mapuche.

Considerando tutto questo dibattito, lo Stato Plurinazionale, in tutti i modi, potrebbe inaugurare una via “mapuche” all’autodeterminazione all’interno di un paese dove il colonialismo gode di egemonia, sia per la capacità di rigenerarsi e anche per l’incapacità del movimento mapuche nello smantellarlo. In questo ambito lo Stato Plurinazionale può servire a smantellare le strutture di dominio quando si prendono decisioni sui piani economici e politici.

A favore del movimento autodeterminista, c’è una esperienza di Controllo Territoriale che rende conto della fattibilità dell’alternativa promossa da settori del movimento. Nel corso dell’anno 1990-2003, il Coordinamento Arauco Malleco ha definito il Controllo Territoriale come un processo per conquistare l’autodeterminazione. Nell’ultima pubblicazione fatta conoscere dal CAM, si osserva il Controllo Territoriale come un’opposizione al modello capitalista, un’alternativa a questo, allo stesso tempo sarebbe una strategia, un passo intermedio, per ricostruire il Wallmapu dal basso [9].

In questo ambito, il Controllo Territoriale sarebbe la lotta per il territorio; ricreare l’habitat del Buen Vivir, la difesa del medesimo di fronte alla fermezza dello stato e di consolidare detto spazio territoriale a partire dal ritorno nel territorio degli abitanti mapuche per continuare nella ricostruzione del Wallmapu.

Questo percorso verso l’Autodeterminazione è stato chiamato Controllo Territoriale (CAM, Chem ka Rakiduam) ed è promosso sotto l’influenza di organizzazioni come il CAM, l’Alleanza Territoriale e l’Aukin Weichan Mapu. Ci sono anche, nell’Araucanía, altre proposte di autonomia. Interessante è il lavoro realizzato da municipi diretti da mapuche, che nella pratica portano avanti la plurinazionalità. Riuniti nell’Associazione dei Sindaci Mapuche (ANCAM), potremmo considerarli un laboratorio di plurinazionalità.

Come risultato di questa capacità di organizzazione da parte dei mapuche, la sua popolazione che abita nell’Araucanía ha subito da parte dello stato inedite forme di coercizione politica. La disarticolazione delle organizzazioni, le montature giudiziarie e una campagna mediatica destinata ad indebolire le prospettive democratizzartici del movimento, rendono conto di quello. Per indebolire il controllo territoriale dei mapuche si è coniugato, in modo dialettico, il clientelismo e la repressione. Per queste ragioni, e per la montatura e l’occultamento dei crimini commessi dalle forze di polizia dipendenti dal Ministero degli Interni, qualsiasi richiesta proveniente dallo stato è almeno vista con sospetto dai membri del movimento che aspirano al Controllo Territoriale come tattica politica. A questo si aggiungono le dirigenze incarcerate per fatti relazionati alla lotta per l’autodeterminazione [10].

A differenza dei casi della Bolivia e dell’Ecuador, in cui le repubbliche sono collassate all’inizio di questo secolo, lo stato cileno gode ancora di una capacità politica. Nonostante l’esplosione del 18/O e la crisi delle sue istituzioni, non è entrato nella fase che Álvaro García Linera chiama “svelamento della crisi dello stato”, come dire, che la crisi come tale è condivisa dalla maggioranza di una società. Quello a cui assistiamo è una discrepanza e un fastidio nel modo in cui è portato avanti il modello, da qui c’è una opposizione a partire dal NO+Tag (aumento della riscossione elettronica del pedaggio, ndt) fino ad una nuova Costituzione. La somma di molte rivendicazioni all’interno della crisi rendono conto di una critica dell’estrattivismo del modello, che si può equilibrare con politiche di migliore distribuzione. Non ci troviamo di fronte a un pareggio catastrofico in cui ci sono due società con progetti distinti le quali si trovano in lotta.

Quello che possiamo osservare è l’arretramento politico del progetto neoliberale, che deve cedere aspetti impensati fino a prima della crisi. Nonostante ciò, la dialettica del processo continua il suo corso e dipende dai movimenti sociali l’inclinazione verso la restaurazione del vecchio ordine e/o l’avanzamento verso una società con maggiore democratizzazione. Per ora la mobilitazione sociale non è riuscita a piegare l’egemonia della “vecchia classe politica” e questa è andata ricreando il proprio potere a partire da una somma di proposte politiche per uscire dalla crisi, che sebbene sembrino nuove, generano un’opposizione non minore.

Il rifiuto dei seggi riservati si iscrive in questo processo di rifiutare progressi democratici per le nazioni originarie. Il cammino costituente, a partire da una promessa da foglio in bianco, è un percorso nuovo; ma il rifiuto degli aspetti complementari, come i 18 seggi riservati alle nazioni originarie nella Convenzione Costituzionale, e i 21 nell’alternativa mista, sommato ad un meccanismo di partecipazione degli indipendenti, perpetuano i rigidi ambiti imposti nella creazione della repubblica cilena.

Quello che all’orizzonte sembra visibile è che i diritti delle nazioni indigene sono rimasti subordinati alla volontà dei partiti creoli. Nonostante che l’emblema delle mobilitazioni sia la Wenüfoye, fatto che potrebbe portarci a pensare che “dal basso” c’è un’aspirazione plurinazionale, molti considerano che in sé stessa questa concezione potrebbe dividere il paese in due [11].

Far credere che i seggi riservati siano un atto di “discriminazione”, è un’altra analisi che non è politicamente vera né accademicamente sostenibile e che è stata generata da settori che si oppongono ai diritti indigeni. Si afferma anche che la plurinazionalità ha dimostrato la sua incapacità di dotare di governabilità alcuni paesi che l’hanno applicata, per esempio la Bolivia. Nonostante ciò, il caso boliviano rende conto della capacità di crescita economica e democratica. Il dibattito inaugurato nel corso del secondo periodo di Evo Morales è stato intenso in una prospettiva politica ed ideologica: la dicotomia tra promuovere il Buen Vivir e il Vivir Bien. È stato contestato l’approfondimento del modello economico e il consolidamento di quello che Silvia Rivera Cusicanqui ha chiamato “il progetto nazionale boliviano”. A differenza di quello che sostiene la critica in Cile, lo stato plurinazionale ha conciliato, in qualche aspetto, quello che Fausto Reinaga ha chiamato nei ’70 le due Bolivie.

A differenza della Bolivia e di altri paesi sudamericani, la politica in Cile si è caratterizzata più per il riformismo che per le rotture. Almeno fin dal decennio del ’30 favorirono “le vie riformiste”. Alcune organizzazioni mapuche lo compresero da allora e forgiarono il primo ciclo del movimento mapuche contemporaneo. Nonostante ciò, in tempi in cui la possibilità di una rottura fu fattibile, sotto l’Unità Popolare si generò un sollevamento come il “Cautinazo” [12]. Diremmo che il movimento mapuche, come vari movimenti indigeni nel continente, ha utilizzato “l’adattamento in resistenza”, per conquistare la propria emancipazione politica [13].

Forse, la possibilità di aprirsi ad una transizione verso la democrazia nelle nazioni originarie, permetterebbe di smantellare il colonialismo istituzionalizzato dello stato nazionale. Quello non necessariamente si tradurrà in “addomesticamento dei diritti”, ma -perché non sognare-, in una democratizzazione per le nazioni originarie.

Il recente plebiscito effettuato dai municipi, di cui ci sono anche quelli dell’AMCAM (Associazione dei Municipi Con Sindaco Mapuche), rende conto di un orizzonte di epoca possibile. Un 92% si è dichiarato a favore di una nuova costituzione attraverso un’Assemblea Costituente, la quale dovrebbe essere plurinazionale e interculturale. Un 84% sostiene che i seggi riservati ai popoli originari, parità di genere, e persone disabili devono considerarsi nell’elaborazione della nuova istituzionalità. Allo stesso modo, un 77,5% si è dichiarato critico verso le imprese estrattiviste come quelle forestali, del salmone e la pesca industriale [14].

Adolfo Millabur ha sostenuto che lo Stato Plurinazionale e la via interculturale nelle relazioni di potere è un passo per conquistare l’autodeterminazione [15]. In base alla sua analisi politica, sarebbe necessario rendere coscienti i non indigeni dei diritti mapuche. A partire da lì si richiederebbe una prospettiva interculturale, dato che la società non indigena non si sente interpellata sul progetto plurinazionale, nonostante temi comuni, come il Buen Vivir, che se fosse posto come progetto paese potrebbe aggiungere richieste di altri movimenti sociali.

La cosa interessante di questo momento costituente sono gli orizzonti che si possono inaugurare, se si riuscisse ad indebolire politicamente coloro che si oppongono ai diritti delle nazioni originarie. Essere uguali di fronte ad una legge significa anche accettare la differenza.

Una parte del movimento mapuche, ha preso la decisione politica, di fronte al momento costituente, di avanzare verso lo Stato Plurinazionale, mentre l’altro settore annuncia la creazione di un governo mapuche indipendente. L’altra parte, sicuramente continuerà con la strategia del Controllo Territoriale come modo di far politica.

Lo Stato Plurinazionale permette di avanzare nell’egemonia discorsiva e, affinché sia politica, devono essere posti parlamentari emersi dal movimento mapuche. Il rifiuto dei seggi riservati allontana questa possibilità di ripensare un nuovo tipo di democrazia.

Lo Stato Plurinazionale permetterebbe anche di iniziare politiche che smantellino le strutture che hanno permesso le differenze tra la società indigena e quella non indigena. In fin dei conti, la non comprensione dei diritti delle nazioni originarie proviene da segmenti non indigeni, come i membri dell’Unione Democratica Indipendente o da altri settori della destra che pensano che i seggi riservati comportino la perpetuazione della discriminazione.

Non si soffermano ad analizzare le esperienze internazionali, che includono casi di paesi che fanno parte del liberalismo al quale loro si iscrivono, come Stati Uniti, Canada o Nuova Zelanda. I seggi rendono manifesta una storia di assenza di interculturalità. Nel caso della Nuova Zelanda, oggi si dibatte di sopprimerli, dato che le politiche associate alla presa di potere dei maori le renderebbero non necessarie. In tutti i modi, è stato un risultato di un lungo processo di discussione, riconoscimenti e anche di violenze che hanno interrogato ambedue i popoli.

A mo’ di sintesi, la transizione alla democrazia nel prendere decisioni per il popolo mapuche potrebbe rovesciare la struttura di dominio della società creola. Come hanno scritto un decennio fa gli autori di “¡…Escucha, winka…!” (…Ascolta, cileno…!) “noi mapuche abbiamo la scommessa di continuare a sollevare proposte per liberarci dal colonialismo winka (nuovo inca, nuovo conquistatore, bianco, cileno, ndt), rafforzandoci come società e aprendo spazi per ottenere una nuova intesa su aspetti etnici di rispetto e tolleranza, così come con giustizia e ripartizione di quello che ci viene addebitato” [16].

Note:

[1] Francisco Huenchumilla, Plurinacionalidad: el nuevo pacto. Pehuen Editores. También las Constituciones de Bolivia y Ecuador.

[2] Si può esaminare di più in questo link.

[3] José Mariman, Autodeterminación. Ideas políticas mapuche en los albores del siglo XXI. Ediciones LOM, 2012.

[4] Fernando Pairican, Malon. La rebelión del movimiento mapuche. 1990-2013. Pehuen Editores, 2014.

[5] Tre testi possono essere di riferimento: Héctor Llaitul y Jorge Arrate, Weichan. Conversaciones con un weychafe en la prisión política. Ediciones CEIBO,2012; CAM, Chem ka rakiduam. Pensamiento y acción de la CAM. Ediciones CAM, 2019; Lof y comunidades lavkenche en resistencia, ¡Xipamün pu Ülka! La usurpación forestal del lavkenmapu y el proceso actual de recuperación. Libros Perro Negro 2017.

[6] Tito Tricot, Autonomía. El movimiento mapuche de resistencia. Ediciones CEIBO, 2013 y Natalia Caniguan, Trayectorias políticas. Historias de vida de alcaldes mapuche. RIL Editores, 2015.

[7] Domingo Namucura, Nueva Constitución y pueblos originarios. Pehuen Editores, 2016; Francisco Huenchumilla, Plurinacionalidad. El nuevo Pacto. Pehuen Editores, 2017. È anche possibile trovare dibattiti su queste tre linee politiche dalla prospettiva delle donne mapuche nel libro compilato da Elisa García Mingo, Zomo Newen. Relatos de vida de mujeres mapuche en su lucha por los derechos indígenas. Ediciones LOM, 2017. Un buon libro per debattere sul multiculturalismo Jean Comarof y John Comarof, Etnicidad S.A Ediciones KATZ, 2011.

[8] Si può esaminare di più in questo link.

[9] CAM, Chem ka Rakiduam. Ediciones CAM, 2018.

[10] Fernando Pairican, “Los gobiernos de la Concertación y su política indígena: el multiculturalismo”. Nella Revista Anales El Chile della postdittatura 1988-2018. Nº15, 2018. Un libro recentemente pubblicato sulla materia è quello di Claudia Zapata, Crisis del multiculturalismo en América Latina. Ediciones CALAS, 2019.

[11] Fernando Pairican, “La bandera mapuche y la batalla por los símbolos”.

[12] Peter Winn, La revolución chilena. Ediciones LOM, 2013. Recentemente la laureata in Storia Marie Juliette Urrutia ha incorporato questa prospettiva nella sua tesi “El desalambre de los kuyfikeche. Una aproximación a las corridas de cerco en el Fundo Nehuentúe, 1971. Tesis para optar al grado de Licenciada en Historia, 2019.

[13] È una prospettiva ispirata da Steve Stern, Resistencia, rebelión y conciencia campesina en los Andes. IEP, 1987.

[14] I dati disponibili questo link.

[15] Intervista ad Adolfo Millabur: “Los Pueblos Originarios de América Latina, y especialmente los de Chile, pueden colaborar a cambiar el paradigma de entendimiento que tenemos hoy”.

[16] Pablo Mariman, José Millalen, Sergio Caniuqueo y Rodrigo Levil, ¡… Escucha, winka…! Cuatro ensayos de historia nacional mapuche y un epilogo del futuro. Ediciones LOM, 2006.

20-12-2019

CIPER

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Fernando PairicanEstado plurinacional: el debate mapuche actual” pubblicato il 20/12/2019 in CIPER, su [https://ciperchile.cl/2019/12/20/estado-plurinacional-el-debate-mapuche-actual/] ultimo accesso 07-01-2020.

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