Questo 12 ottobre la volta celeste santiaghina luccicava plumbea mentre nella capitale del Cile, e per l’Alameda, dalla cordigliera al mare, migliaia di mapuche e meticci hanno marciato per la vita, l’acqua, la terra, i territori, la smilitarizzazione del wallmapu, la libertà dei prigionieri politici e contro uno stato che tratta un popolo intero come “terroristi”.
Già di buon ora, le Forze Speciali dei Carabinieri, o la polizia militare cilena, hanno effettuato controlli d’identità mentre hanno dispiegato un dispositivo di sicurezza di una grandezza oceanica. Nonostante ciò, e nonostante la repressione e gli abituali arresti dello stato razzista, oligarca e poliziesco del paese andino di fronte a qualsiasi movimento che dissenta dall’ordine stabilito, la camminata ha spiccato per la sua organizzazione e il compimento dei propri obbiettivi.
Le voci dalla strada
“Quello che in principio è stato giudicato come suicidio, oggi è un omicidio”, dice Marcelino Collío, suocero di Macarena Valdés, la lottatrice ambientalista mapuche trovata morta tre anni fa a Tranguil, Los Lagos, sud del Chile. “Nel caso di Macarena i tribunali sono stati irresponsabili e complici. Con tutte le prove scientifiche che abbiamo finora apportato, non ci dovrebbe più essere alcun dubbio sull’assassinio. Nonostante ciò, la giustizia si rifiuta di riconoscerlo”, ha dichiarato Marcelino e continua, “ci sono le perizie del dottor Luis Rabanal, della dottoressa Cerda, della Polizia Investigativa, che dicono che sulla stessa corda con la quale hanno impiccato Macarena ci sono impronte di terzi. E finalmente c’è il rapporto che ha apportato l’Aja attraverso il medico John Clark, che ha effettuato una mega perizia che descrive anche il modo con cui hanno ucciso “La Negra”. Si è giunti all’assurdo che i tribunali hanno scartato delle testimonianze sull’omicidio perché il caso non lo considerano un crimine ma un suicidio”.
-E che vi resta da fare?
“Durante i prossimi giorni consegneremo ai tribunali altre due perizie. Se nonostante questo la situazione non cambierà, cercheremo giustizia da altre parti perché lo stato cileno non la garantisce. Pensiamo che la giustizia internazionale avrà la capacità di far pressione sulle corti cilene sulla verità di una assassinio commesso con tutte le prove in vista”.
Antonia Huentecura è una mapuche urbana, “non per scelta, ma per l’imposizione di una migrazione forzata. Allora resistiamo da dove stiamo. Nella città ci incontriamo nei centri urbani, negli spazi educativi e lavorativi. Anche il mantenimento della nostra lingua e della produzione di beni simbolici e tessili mapuche sono un territorio”.
-E la sua resistenza è simbolica ed economica allo stesso tempo?
“Il nostro camminare nella città non si allontana dall’autodeterminazione né dall’autonomia. Quando decidiamo di autoeducarci è una nostra decisione, non dello stato. E questa stessa formazione è decostruzione dello “sbiancamento”, è una pratica decolonizzatrice. Allo stesso tempo creiamo gioielli, strumenti musicali e oggetti mapuche che vendiamo per autogestire la stessa vita. Le strade si trasformano in uno spazio di lotta, di denuncia, di sopravvivenza”.
Antonia appartiene al Blocco Antipatriarcale Mapuche e al collettivo di economia solidale Nañawén. Riguardo alla sollevazione dei popoli indigeni in Ecuador dice che, “l’ammiriamo e, simultaneamente, non ci sorprende. La leadership femminile indigena nei movimenti popolari del continente è diventata comune. Noialtre/i diciamo sempre in modo ironico, ‘ora sono arrivati a rendersi conto che il denaro non si può mangiare, che se non curiamo la terra spariremo tutte/i’. La lotta contro il regime patriarcale e capitalista che ci opprime richiede enormi sacrifici dell’umanità. Ai miei fratelli/sorelle dell’Ecuador dico che questa lotta la vinceremo perché con noialtre/i ci sono i nostri antenati”.
Il portavoce dell’Arauco e che fa parte delle comunità territoriali in conflitto, José Huenchunao, racconta che, “le imprese con le quali abbiamo dei problemi si sono ritirate dalla nostra zona a seguito del fatto che noi comunità le abbiamo espulse. Come entrano di nuovo nei nostri territori, la cosa cambia, certamente. La resistenza del nostro popolo sta vedendo i suoi frutti. Già possiamo parlare di frange di terra che manteniamo semi occupate”.
-Quali sono le principali conquiste?
“Spazi territoriali semi controllati; sono state allontanate le imprese forestali dalle nostre terre; abbiamo frenato gli investimenti capitalisti minerari, turistici e pescherecci. Questo ci ha permesso di raggiungere una più grande organizzazione”.
-Ed economicamente?
“È migliorata la vita delle comunità. Con i recuperi territoriali ora abbiamo più spazio per seminare e allevare animali. E questo ci permette di realizzare baratti e vendite per riuscire ad avere quello che ancora non produciamo. Guarda, ancora non abbiamo risolto come sarà l’economia mapuche ma grazie alla lotta siamo riusciti a giungere a porci questa questione che prima ci risultava impossibile. Abbiamo dei principi: ogni economia mapuche deve essere comunitaria, dove ha la priorità il bene comune e non il profitto privato”.
-Qual è il vostro progetto strategico?
“Ricostruire un territorio storico e la liberazione del nostro popolo. Ma una liberazione anticapitalista, una liberazione secondo i nostri modi di pensare e fare il mondo”.
-Che pensi delle lotte che ingaggiamo i popoli indigeni dell’Ecuador?
“I vari popoli indigeni che oggi lottano contro le politiche abusive del governo dell’Ecuador di Lenín Moreno, presidente di destra e di taglio neoliberale, il cui governo difende gli interessi delle compagnie capitaliste che hanno i propri investimenti nei territori indigeni e che sono le responsabili dirette dell’usurpazione e della devastazione di questi territori, fanno affidamento su tutto il nostro sostegno politico.
Come popoli fratelli, ci unisce la lotta per l’esistenza, la lotta per la resistenza culturale e politica, la difesa, il rispetto e la liberazione dei nostri territori. Ci unisce la medesima storia di saccheggio violento di cui siamo stati oggetto da parte degli stati che oggi occupano i nostri territori. Apprezziamo profondamente le loro azioni politiche e consideriamo che quello che stiamo facendo sia una irrefutabile prova che i popoli indigeni, che una volta gli stati hanno creduto sconfitti, sono pienamente attuali. Siamo popoli con memoria, con capacità organizzativa e la cosa logica è che i governi non possono prendere decisioni senza il nostro consenso.
Deploriamo che i costi della lotta provochino sempre sangue, morte e carcere. Questo lo abbiamo subito durante centinaia di anni di brutalità, discriminazione razziale, saccheggio territoriale e crimini di lesa umanità che continuano nella nostra memoria. Apprezziamo il loro coraggio nello sviluppare un tale livello di mobilitazione politica e sociale che oggi sono un esempio per gli altri popoli indigeni del continente e del mondo. Una dimostrazione di valore per le nostre legittime e giuste cause di fronte all’oppressione che gli stati esercitano contro i nostri popoli”.
12 ottobre 2019
Resumen Latinoamericano
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Andrés Figueroa Cornejo, “Chile. 12 de octubre: La marcha mapuche concita a miles, es reprimida sin éxito y abraza a indígenas de Ecuador” pubblicato il 12/10/2019 in Resumen Latinoamericano, su [http://www.resumenlatinoamericano.org/2019/10/12/chile-12-de-octubre-la-marcha-mapuche-concita-a-miles-es-reprimida-sin-exito-y-abraza-a-indigenas-de-ecuador/] ultimo accesso 17-10-2019. |