Dittatura della maggioranza


Spensy Pimentel

La classica discussione sulle democrazie come una specie di “dittatura della maggioranza” in certe circostanze guadagna nuovi significati con la vittoria elettorale in Brasile di Jair Bolsonaro.

Non sono state poche le volte in cui durante la sua lunga campagna elettorale degli ultimi anni -come ex militare, deputato e webcelebrità, già stava girando tutto il paese con accalorati comizi, con immagini abbondantemente disponibili in internet- il politico sparava frasi di alta densità come: “Le minoranze devono piegarsi alle maggioranze” o “Le minoranze si adattano o semplicemente scompaiono”.

Come ha dimostrato il risultato nelle urne del 28 ottobre, l’idea di fare “un governo per la maggioranza” ha avuto una forte attrattiva popolare, predominante nella parte centro-sud del paese, più bianca e con maggiori indici di reddito e sviluppo economico e sociale. La polarizzazione tra il PT e la destra, principalmente rappresentata da Bolsonaro (ma anche da altri settori del PSDB e di altri partiti tradizionali), è stata impressionante, una volta di più: le mappe dei risultati elettorali mostrano una forte divisione tra Nord e Sud del paese che persiste dal 2010.

Certamente, nel risultato finale sembra che sia stato decisivo il pessimo risultato del PT in due stati popolosi del Sudest che vivono fortemente l’incontro tra quei due mondi del sud e del nord, Río de Janeiro e Minas Gerais. Nel caso del Brasile, il PT elesse Fernando Pimentel a governatore nel 2014, ma, candidatosi ancora alla rielezione, è stato solo il terzo più votato.

Questa “maggioranza” che vince l’elezione con Bolsonaro, è bene ricordare, in realtà rappresenta poco più di un terzo dell’elettorato (57,7 milioni, o il 39,2%). Il PT, con i suoi 47 milioni di voti ora (54 milioni nel 2014), non è stato solo sconfitto dall’opposizione ferrea, ma, molto, dallo scoraggiamento che, con l’adesione a tante cattive abitudini dei partiti tradizionali, ha causato nella parte dei 42,5 milioni di persone che hanno votato bianco, nullo o semplicemente con si sono presentate alle urne – in Brasile, il voto è obbligatorio, ma la multa per non votare è irrisoria, meno di US$ 1.

In qualsiasi modo, è chiaro, l’unica possibilità attualmente immaginabile che il governo di Bolsonaro non succeda, sarebbe un’impugnazione della sua candidatura da parte del Tribunale Superiore Elettorale, riguardo all’eventuale conferma, per indagini di polizia, delle denunce, pubblicate nella stampa una settimana prima del secondo turno, di abuso economico nella campagna elettorale, attraverso l’invio di messaggi di whatsapp pagati da impresari. Considerando, nonostante ciò, il modo di agire del Potere Giudiziario negli ultimi anni nel paese, un’azione più energica è più che improbabile.

Così, avremo un governo che, certamente, con un discorso di estrema destra, riunisce in una coalizione di interessi molto diversa, inclusi settori militari, un’élite ultra-liberale e un settore popolare iper-conservatore, soprattutto legato alle chiese neopentacostali. Il Brasile, attualmente, vive una massiccia conversione evangelica e ci sono demografi che già disegnano per il prossimo decennio un paese a maggioranza protestante. È bene tenerlo a mente perché, quando Bolsonaro parla di “maggioranza”, sta, soprattutto, riecheggiando discorsi di politici evangelici, che spesso discutono che, nonostante laico, il Brasile ha quasi il 90% di cristiani, che condividono precetti morali oggi “emarginati” riguardo al rilievo dato dai governi del PT alle cosiddette “minoranze”. Non casualmente, il principale motto della campagna elettorale vincitrice è stato “Brasile sopra a tutto, Dio sopra a tutti”.

Tutto quello che rende molto peculiare tutto ciò che ora avviene, è che il processo in cui quella miscela vinse il campionato fu, vedete solo, il ciclo di manifestazioni di strada vissuto in Brasile dal 2013. Inizialmente chiamata da movimenti autonomi di Facebook nel paese, la mobilitazione fu letteralmente hackerata dalla destra, a partire dalla bandiera di lotta alla corruzione. Anche, il primo grande annuncio sulla composizione del nuovo governo è stato il nome del nuovo ministro della Giustizia, il giudice Sergio Moro, lo stesso che ad aprile ha mandato ad arrestare Luiz Inacio Lula da Silva (PT), l’ex presidente che fino dall’inizio di settembre guidava con ampiezza i sondaggi di intenzione di voto.

Nonostante che, negli anni, abbia fatto varie dichiarazioni che, a rigor di termini, potrebbero trarre dei sospetti su di lui (che faceva il possibile per occultare il massimo possibile di imposte, che utilizzava l’aiuto-casa come deputato non avendone la necessità, ecc.), Bolsonaro è riuscito a convincere un enorme elettorato di non aver avuto nessuna implicazione nella corruzione, in 27 anni di vita politica. Senza un passato evangelico, nel 2013 si sposò con una fedele della chiesa di uno dei pastori più conosciuti per la sua azione politica conservatrice, Silas Malafaia. Nel 2016, fu battezzato nel fiume Giordano, in Israele, consolidando pubblicamente la propria conversione.

In Brasile, bisogna osservare, la memoria del periodo della dittatura militare non è stata una priorità degli ultimi governi, differentemente da quello che si è osservato in paesi come l’Argentina. In un paese con il passato che abbiamo -genocidio indigeno, schiavitù, ecc.- non sorprende che il periodo 1964-85, senza grandi azioni educative, sia visto appena come un periodo in cui una certa classe media bianca sperimentò, alla fine, il tipo di persecuzione a cui neri, indigeni e contadini erano già ben abituati a vivere da sempre.

Non è casuale che alcuni osservatori già guardino all’elezione del 2018 come ambito di chiusura della cosiddetta Nuova Repubblica, iniziata con la ri-democratizzazione degli anni 80. L’ironia storica è enorme e, certamente, ci sono molte figure -tanto civili come militari- che da decenni la chiamavano in termini secchi come “dittatura militare” e “golpe del 64” e ora allargano un ampio sorriso. Eleggere Bolsonaro è, di fatto, come provare che in Brasile è possibile, sì, ottenere in una elezione una maggioranza per un governo militare.

8 novembre 2018

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Spensy Pimentel, Dictadura de la mayoría” pubblicato il 08/11/2018 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/dictadura-la-mayoria/] ultimo accesso 16-11-2018.

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