Nicaragua: l’ultima rivoluzione tradita


Bianca Segovia

Un viaggio tra le contraddizioni del sandinismo governativo.

Cosa succede in Nicaragua oggi, dopo 11 anni di ritorno al potere attraverso libere elezioni del FSLN [1], è qualcosa che addolora e fa riflettere, tocca profondamente nelle viscere e nel cuore.

Ho vissuto con gioia due periodi della mia vita abbastanza lunghi per farmi portare scolpite nella pelle e nell’anima il calore e l’amore verso i e le nicaraguensi e la loro terra fertile, i vulcani che sono sempre pronti a far scoppiare un’allerta gialla.

Questa volta un nuovo Cerro Negro [2] è comparso spingendo la crosta terrestre per emergere con il suo rumore viscerale attraverso una rottura e una detonazione forte.

I lapilli di lava hanno rischiarato il cielo e la colata incontrollata ha preso strada senza più barriere.

Che cosa è successo da metà aprile 2018?

Ci si trova spesso in una posizione scomoda a criticare governi che si autoproclamano socialisti, rivoluzionari, apertamente di sinistra come nella vecchia Europa non esistono più.

Ho imparato a conoscere lo spirito indomito, ribelle e rivoluzionario che si porta dentro la maggioranza delle persone che ha vissuto una travagliata storia recente come quella dell’ultima rivoluzione del ‘900, quella nicaraguense. Anche qui in Italia, separata da un oceano e da vari chilometri di terra, sento l’esigenza di prendere posizione: non si può avere paura di schierarsi contro l’autoritarismo, il familismo, il militarismo e l’affarismo di un governo che di sandinista ha mantenuto solo un nome come fosse un logo, distanziandosi anni luce dal sandinismo storico e dalle sue origini.

Chi non difende Daniel e la Murillo non si colloca automaticamente a favore delle destre come vorrebbe far credere lo stesso partitismo verticista. Non sostenere l’Orteguismo viene naturale.

Fin dal mio arrivo in terra nicaraguense oltre alle parole del nicañol [3] legate a frutta, piatti squisiti, modi di dire, ho imparato il termine Danielismo.

L’accentramento nelle mani di un leader di un intero partito è un fenomeno comune.

La declinazione nicaraguense di questo fenomeno è costituita dal Danielismo o Orteguismo.

Nelle conversazioni con le persone incontrate nei miei viaggi questo fenomeno si palesava nel giro di un tempo molto breve. Ad un certo punto arriva una citazione “come dice Daniel” oppure l’altra variante “come dice la compagna Rosario Murillo”.

Anche dopo 6 litri di birra, anche in contesti amicali o di chiacchiere che con il Presidente Comandante non avevano nulla a che fare; queste citazioni come se piovesse non diminuiscono neppure quando le bottiglie vuote che si accumulano sul tavolo crescono, nemmeno i vapori dell’alcool fanno desistere lo snocciolamento del rosario. L’impressione è di trovarsi ad ascoltare un comunicato ufficiale del “19 digital” [4].

La figura della prima dama è stata centrale nell’instaurarsi dell’Orteguismo. Rosario Murillo, la moglie di Daniel, anch’essa nelle fila del FSLN fin dagli anni della lotta armata contro Somoza, recentemente ha giocato un ruolo decisivo, seppur non ufficiale, nel partito FSLN con un’ascesa verticale e dirigenziale al di fuori di qualsiasi traiettoria politica classica. Un partito trasformato in un piccolo feudo famigliare in cui non si ammette nessuna posizione che non si rispecchi nella linea della coppia presidenziale: non sono ammesse correnti interne né personalità con un pensiero critico e indipendente.

La pulizia dentro al partito era già compiuta, la strada spianata, il controllo dei media ufficiali è stato consegnato ai figli della coppia. Un familismo e nepotismo per antonomasia.

Comandanti storici e storiche si sono via a via sganciati/e e allontanati/e, menti brillanti e critiche purgate perché pericolose. Anche questa una storia già vista.

Fortunatamente in Nicaragua parlare della politica attuale e passata è facile con chiunque, c’è molta voglia di dialogare, di discutere, di esporre un’opinione e di sicuro ci si imbatte in persone con un pensiero critico e non allineato: tanti sandinisti e sandiniste non danielisti/e si preoccupano di andare oltre agli slogan e frasi ufficiali dei comunicati o delle varie campagne politiche.

Si nota da subito una forte cicatrice lasciata dalla sanguinosa guerra della Contras [5] che ha segnato profondamente i ricordi di infanzia e adolescenza dei nostri coetanei. Una guerra recente con centinaia di morti visti scendere nei cassoni dei pick-up dalle zone di conflitto. In ogni famiglia ci sono stati morti da ambo i lati: fratelli, sorelle, genitori, partner, amici.

La famigerata guerra finanziata dagli USA nel 1990 ha portato il popolo nicaraguense ad accettare il ricatto e ad appoggiare Violeta Barrios de Chamorro6 come alternativa al FSLN dando inizio ai decenni neoliberisti e conservatori.

Per molte persone il ritorno del FSLN nel 2007 è stato un segnale di svolta verso un futuro migliore.

Un Gran Canal che spacca il paese.

Nel 2012 in terra nicaraguense si approvava, o meglio “Daniel approvava” la legge n.800 “Legge del Regime Giuridico del Gran Canale Interoceanico e creazione dell’Autorità del Gran Canal”.

Si tratta di una grande opera che vive nella storia del Nicaragua stesso. Un sogno per liberali e conservatori, addirittura c’è chi lo attribuisce come grande sogno allo stesso generale Augusto César Sandino. Nessuno era però riuscito, soprattutto dopo la costruzione di quello di Panamá, ad andare oltre a un’aspirazione onirica.

Dove neoliberisti del passato più recente e più lontano non avevano potuto, Daniel è riuscito a far approvare una legge “canalera” che a partire dal primo atto di costituzione della commissione ha proseguito un cammino spianato verso la svendita totale delle terre investite dal progetto, il tutto al miglior offerente che all’epoca era costituito da un’impresa cinese, la famigerata HKND.

Il sogno del Gran Canal ha avuto il suo apice in quegli anni fino a scontrarsi con una improvvisa smaterializzazione della stessa HKND e della sua punta di diamante Wang Jing [7].

Quello che resta oggi dopo la scomparsa nel nulla della società cinese e del suo magnate è la frattura dell’opera stessa. Un canale che avrebbe tagliato a metà il Nicaragua in orizzontale per congiungere l’oceano atlantico al pacifico rispondendo alle esigenze di navi container sempre più grandi e pesanti che nel canale di Panamá seppur già raddoppiato non possono passare.

Un interesse completamente asservito al capitalismo neoliberista contemporaneo con la svendita in concessione pluridecennale delle terre, senza possibilità di passi indietro e anzi con la clausola di indennizzo nel caso in cui l’opera non si dovesse compiere e una concessione da cui non si può tornare indietro per decenni.

Un indebitamento colossale con promesse di posti di lavoro e grandi masse di turisti, investitori stranieri e circo Barnum incluso che come si dice in loco si è rivelato un cuento cino [8].

La riserva biologica polmone verde del centroamerica.

Il Gran Canal avrebbe il suo sbocco in mare dal lato dell’atlantico a Punta Gorda, località che si trova nella RAAS (Repubblica Autonoma Atlantica del Sud), si tratta della parte più incontaminata del Paese: una giungla umida primaria che per chilometri vede sola vegetazione protetta, animali, piante e microorganismi unici e rari che si riproducono in un ambiente tropicale umido. Una piccola amazzonia centroamericana.

Per fare un’opera di tali proporzioni la conservazione dell’ambiente passa automaticamente in secondo piano nonostante qualsiasi studio di impatto ambientale volto a preservare la natura.

Legato alle concessioni e non a caso all’approvazione della legge “canalera” è cominciato un fenomeno che sembra ricollegarsi al passato del Nicaragua, questa volta ritornando ai tempi dei conquistadores. Nuovi coloni entrano illegalmente nelle riserve della RAAN e della RAAS per disboscare ettari di terreno, posare pietre e bruciare per coltivare, allevare e costruire.

Il movimento anticanal che ha denunciato questo fenomeno è stato represso e messo in un angolo, non considerato interlocutore dal governo, così come i rappresentanti delle popolazioni indigene Rama, Kriol, Miskitos sono stati ignorati e perseguitati.

Poco prima della detonazione delle proteste di massa un incendio devastante ha mangiato 6.000 ettari della Riserva Indio y Mayz nei primi giorni di aprile 2018.

Manifestazioni studentesche spontanee che chiedevano di salvare la riserva sono state represse nella capitale Managua. Come da copione il giorno seguente manifestazioni governative ufficiali hanno rubato la scena per coprire con una informazione distorta gli eventi. L’obiettivo era mettere a tacere le inadempienze del governo dovute ad una sottovalutazione iniziale della portata dell’incendio e al conseguente intervento tardivo che ha causato un avanzamento devastante del fuoco con conseguente ritardo del suo spegnimento.

La scintilla che ha fatto incendiare il Nicaragua.

La riforma dell’INSS su ricetta del FMI ha fatto finalmente aprire il vaso di Pandora.

La gente dopo 11 anni non ha potuto sopportare anche questa riforma.

La detonazione è partita.

Gli studenti hanno iniziato le proteste in modo massivo: dai tempi della Violeta Barrios de Chamorro e di Alemán (anni ‘90) non si vedeva un movimento studentesco di tali proporzioni.

La risposta e la svolta autoritaria non si è fatta attendere. Il governo del “pueblo presidente” ha dato ordine di sparare a vista sui manifestanti.

I messaggi e le chiamate degli amici e amiche che vivono là erano pervase dallo stupore e dall’incapacità di credere a quello che stava accadendo davanti ai loro occhi: “Sparano per uccidere, sono proiettili veri.”

Il secondo giorno di protesta, il 19 aprile, Nicaragua si è svegliata con i fischi dei proiettili, i colpi dei mortai e il sangue nelle strade.

Le notizie si susseguivano con una tremenda conta di morti e feriti.

In tutto il Paese la protesta è esplosa, le varie città, i dipartimenti di ogni angolo del territorio non hanno accettato le giovani morti per mano della polizia antisommossa.

Le strade bruciavano, un popolo che fino a pochi giorni prima viveva nella tranquillità ha invaso strade, piazze portando simboli nazionali, la bandiera, e nessun colore partitico.

Il rifiuto per la repressione sanguinosa delle manifestazioni universitarie ha cancellato le paure di 11 anni di pace sociale pagata a duro prezzo. Slogan dell’insurrezione antisomoza risuonavano in ogni strada. Barricate si alzavano con gli stessi adoquines (i sanpietrini locali) delle foto in bianco e nero del ‘78 e ‘79. Un parallelismo storico che vede le prime proteste anitsomoza nascere nel movimento studentesco nel ‘59 fino ad arrivare all’insurrezione vittoriosa del ‘79.

Il movimento studentesco anche in questa occasione non è stato lasciato da solo. I campesinos e le campesinas, i lavoratori e lavoratrici, le madri, i padri dei morti si sono lanciati in strada per evitare nuove morti di adolescenti e giovani studenti.

Senza soluzione di continuità l’insurrezione è arrivata, la gente non ha potuto né voluto ritornare alla normalità. Le città di León, Managua, Masaya, Matagalpa, Jinotegua, Juigalpa, Sebaco, Estelì a turno si sono rese protagoniste di blocchi, scioperi di massa, cortei e organizzazione di un movimento che non aveva una propria articolazione storica, ma che si stava forgiando nel fuoco vivo dell’incandescenza lavica.

Le risposte autoritarie non sono cessate, i morti, i desaparecidos, gli imprigionati aumentavano di ora in ora. I canali (quei 4) non governativi sono stati oscurati i primi giorni. Le notizie filtravano solo attraverso i social network. Le reti wi-fi pubbliche disattivate.

C’è un verbo: “aguantar” si usa spesso per inezie o per cose gravi. Significa sopportare in un senso meno negativo che in italiano. Ma non si può vivere aguantando e questo ce l’hanno insegnato bene i nicaraguensi.

Gli industriali dentro o fuori il governo?

Naturalmente una reazione di massa di questo genere non può che essere ghiotta per gli interessi di destra e industriali.

Il problema è chiedersi se questi industriali che si sono timidamente opposti alla riforma dell’INSS e solo dopo la mattanza di giovani hanno alzato la voce, fossero davvero industriali anti governo.

Il COSEP (la confindustriale locale) ha lavorato a braccetto fin dal primo mandato del 2007 di Daniel. Gli industriali così come gli investitori stranieri, ex Contras, ex Somozisti, le multinazionali (con le cosiddette zone franche) hanno avuto un tappeto rosso e nero stirato ai loro piedi e hanno supportato e chiesto garanzie allo stesso Daniel. La sopravvivenza reciproca in questo modo era assicurata.

Il cosiddetto governo di riconciliazione e unità nazionale nelle sue parole d’ordine aveva “Nicaragua: Cristiana, Socialista, Solidale”. Un socialismo davvero in salsa mista e lontano dalle radici storiche del termine. Ortega non ha mai disdegnato buone e proficue relazioni con gli USA, per accomodare l’amicizia con i vicini del nord è stata tolta una strofa dall’inno sandinista: non si pronuncia più “luchamos contra el yankee enemigo de la humanidad [9]”.

Per mantenersi al potere Ortega nel 2009 strinse un patto con l’ex presidente neoliberista corrotto Arnoldo Alemán. In cambio dei voti dei liberali conservatori a favore del cambiamento della costituzione per consentire la sua stessa rielezione, Daniel diede come contropartita l’archiviazione di tutte le accuse a carico dell’ex presidente dell’ultradestra. Oggi Alemán come uno sciacallo ha iniziato a inveire anche lui contro Daniel, provando a riscuotere il favore dei movimenti.

I nicaraguensi sono molto consapevoli del loro passato e hanno ripudiato le varie strumentalizzazioni partitiche dei liberali e dei conservatori.

I morti non dialogano.

Dentro al caos Daniel ha chiamato un altro potere forte in suo soccorso. La chiesa cattolica e quella evangelica. Anche questa continuamente appoggiata e sovvenzionata, anche questa dentro alla coalizione di governo un’alleata di ferro. Non è bastato sacrificare il diritto di aborto per vincere le prime elezioni, il governo ha mantenuto una fervida cooperazione con le istituzioni ecclesiastiche.

I cartelloni pubblicitari più grandi, collocati nei punti di accesso alle varie città o zone del paese con sfondo rosa chicha [10] vedevano la coppia presidenziale con in mezzo il cardinale Obando y Bravo. Una tonaca nera con colletto bianco che spunta tra due sandinisti che si sposarono dopo decenni di convivenza solo per poter cadere nelle grazie di sua eminenza.

I vescovi della conferenza episcopale nicaraguense hanno riposto e si sono resi promotori della costruzione e della mediazione di un tavolo nazionale di dialogo.

Le risposte delle strade erano: i morti non dialogano.

Queste morti addolorano e ci interrogano su quale futuro potessero immaginare questi ragazzi di 15 anni che hanno coraggiosamente preso posto e voce sul loro presente, senza avere l’intenzione di trasformarsi in poche ore in martiri strumentalizzabili o vituperati da un lato o da un altro.

Loro no, non dialogano più.

Giugno 2018: a due mesi dall’inizio delle lotte.

Dopo due mesi le rivendicazioni delle proteste non sono cambiate, i metodi di rivolta insurrezionale pacifica e civica neppure, le risposte del governo hanno continuato ad essere le stesse: accusare di derechismo [11] i manifestanti, foraggiare gruppi para-policiales della cosiddetta “juventud sandinista” [12] in realtà molto più simili a paramilitari o squadroni della morte di altri tempi che a giovani sandinisti. Questi gruppi armati coperti dalla polizia hanno ricevuto la licenza di uccidere.

A fine giugno il bilancio provvisorio è salito a 212 morti e 1337 feriti, 507 fermi arbitrari.

Il tavolo di dialogo iniziato ad aprile, interrotto e ripreso numerose volte, a cui si è seduto il governo da un lato e i rappresentanti dei movimenti e della società civile dall’altro non ha portato ad alcun accordo. Le violenze della polizia non sono cessate nemmeno quando il governo aveva accettato di ordinare il cessate il fuoco come garanzia per mantenere il dialogo.

La crisi continua e gli scenari futuri sono difficili da immaginare, quel che è certo è che i tranques [13], le barricate e le proteste non si fermeranno: “Que se vayan” rimane l’urlo che riecheggia nelle strade tra colpi di mortai, proiettili e cortei funebri.

Nicaragua tornerà ad essere libera, speriamo che il prezzo di sangue non sarà ancora più alto.

La resa di Ortega sembra essere solamente posticipabile, le trattative con gli USA, la OEA e le varie commissioni faranno prendere tempo in una situazione in cui quello che si aspettano i movimenti è la fine della repressione. Carovane di solidarietà stanno girando in europa, la solidarietà internazionale si è riattivata così come era stato quando i sandinisti nel 1979 entrarono vittoriosi nella futura Plaza de la Revoluciòn.

Solo el pueblo salva al pueblo! Ni un paso atrás! Viva Nicaragua Libre!

Note:

1 – FSLN: Frente Sandinista de Liberación Nacional, fondato nel 1961 da Carlos Fonseca Amador, Santos López, Tomás Borge, Silvio Mayorga e Germán Pomares Ordóñez. Partito nato dal Fronte di Liberazione Nazionale ispirato alla figura del generale Augusto César Sandino.

2 – Cerro Negro: il più giovane vulcano della Cordillera de los Maribios nell’occidente del Nicaragua, la sua nascita avvenne nel 1850, in due settimane dal nulla raggiunse i 50 metri di altitudine, attualmente supera i 700 metri ed è attivo. Il suo nero contrasta con la pianura verde fertilissima, al suo fianco ci sono altri 11 vulcani.

3 – Nicañol: lo spagnolo parlato in Nicaragua con le sue accezioni e varianti locali, alcuni vocaboli sono peculiari e usati solamente nel paese centroamericano, altre accezioni come il vosismo sono prese in prestito dalla lingua argentina. I neologismi Danielismo e Orteguismo, quasi sinonimi, si sono affermati a partire dal ritorno al potere del FSLN.

4 – “El 19 digital” sito ufficiale del governo dove ogni giorno vengono pubblicati i messaggi di Rosario Murillo e riportate le parole del comandante Daniel o della vicepresidente. Anonyums ha realizzato varie azioni di tango down durante i giorni di repressione di massa di aprile e maggio.

5 – Guerra iniziata nel 1982 dopo la vittoria del FSLN nel 1979. Negli anni 80 gli Usa riarmarono e addestrarono l’ex Guardia Somozista e mercenari vari honduregni e di varie provenienze per instaurare una guerra civile in Nicaragua terminata nel 1990 con gli accordi di pace di Esquipulas II.

6 – Prima presidente donna del Nicaragua eletta nel 1990. Vedova del giornalista de La Prensa Pedro Joaquin Chamorro ucciso dalla dittatura somozista. Candidata della UNO in opposizione al FSLN.

7 – Magnate delle telecomunicazioni di Hong Kong che ha firmato col governo il contratto di costruzione del Gran Canal Interoceanico.

8 – Racconto cinese, sinonimo per noi di leggenda metropolitana.

9 – “Lottiamo contro gli yankees, nemici dell’umanità”.

10 – rosa fucsia.

11 – derechista: appartenente alla destra.

12 – junventud sandinista (JS): letteralmente gioventù sandinista, componente giovanile del FSLN. Come hanno fatto notare ex comandanti sandinisti come Jaime Wheelock e Monica Baltodano l’analogia con la componente storica giovanile del partito è fuori luogo. Nel 1980 durante la “Cruzada nacional contra el analfabetismo” le brigate della JS si sparsero in tutti gli angoli del Nicaragua per raggiungere le comunità più remote e insegnare a leggere e scrivere come missione della rivoluzione stessa. Il risultato fu un abbattimento della percentuale di analfabetismo dal 50% al 13% in un anno. LA JS di oggi invece è sinonimo di bande paramilitari armate e incappucciate che attaccano le barricate e i tranques e sparano ai civili coperti dalla polizia.

13 – Blocchi stradali costituiti da barricate costruite principalmente con sanpietrini per difendere i quartieri delle città e bloccare l’accesso ai veicoli della polizia e dei paramilitari.

* Bianca Segovia è una internazionalista.

25 giugno 2018

La Bottega del Barbieri

Nicaragua: l’ultima rivoluzione tradita” pubblicato il 25-06-2018 in La Bottega del Barbieri, su [http://www.labottegadelbarbieri.org/nicaragua-lultima-rivoluzione-tradita/] ultimo accesso 05-07-2018.

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