Brasile: Un paese bloccato e un modello che fa acqua


Juraima Almeida

La settimana passata, è scoppiato in Brasile qualcosa che alcuni chiamano locaut e altri sciopero dei camionisti, che, nonostante la militarizzazione e la repressione, compie dieci giorni, mentre si approfondisce la crisi che pone al bordo del collasso questo paese-continente di 8,5 milioni chilometri quadrati dove il grosso delle merci è inviato per strada.

Quello che preoccupa di più il governo di fatto è lo sciopero annunciato dai lavoratori petroliferi. La confluenza dei due scioperi, camionisti e petroliferi, può essere devastante per un governo debilitato e metterebbe nei guai il titolare della Petrobras, Pedro Parente, padre della politica di destatalizzazione petrolifera e dell’aumento esagerato dei prezzi dei combustibili a beneficio degli azionisti privati della compagnia.

La monopolistica rete Globo sembra completamente persa, non sa se criticare o appoggiare lo sciopero: effettua una critica frenata al governo golpista di Michel Temer e cerca, in tutti i modi, di proteggere il mercato non meno golpista, ossia, cerca ad ogni costo di salvare la testa di Parente. La caduta del 14% delle azioni della Petrobras nella Borsa di San Paolo ha indicato che ha smesso di essere intoccabile, nonostante il sostegno che viene da dentro e fuori il paese.

Dopo che Temer ha convocato le forze armate per mettere fine alla protesta, sono continuati i blocchi in almeno 24 dei 27 stati brasiliani. La partecipazione militare e poliziesca non ha alterato il quadro della situazione.

La figura di Temer sembra sempre più decorativa, lasciando un vuoto di potere occupato dal generale Sergio Etchegoyen, comandante dell’Agenzia Brasiliana di Intelligence (organismo inefficace  nell’avvisare su ciò che si stava organizzando e che letteralmente ha paralizzato il paese), che è al comando dei tentativi di liberare senza violenza le vie e le strade.

La città di San Paolo, con quasi 11 milioni di abitanti continua ad essere in stato di “emergenza”, presidiata dai picchetti nelle strade federali e provinciali dei dintorni. Praticamente non sono rimaste stazioni di servizio aperte, è stata sospesa la raccolta dei rifiuti, le pattuglie della polizia circolano di meno e sono stati cancellati i viaggi interurbani nelle stazioni degli autobus Tieté.

Il Partito dei Lavoratori (PT) e le sinistre si trovano in una difficile posizione politica, ma sostengono insieme ai lavoratori della Petrobras una forte pressione contro l’azione del presidente della Petrobras che sta colpendo l’impresa statale, trasformandola in una vetrina di affari spuri e un facile bersaglio per la privatizzazione, il sogno di Fernando Henrique Cardoso e di Washington, segnala Joaquim Palhares in un editoriale di cartamaior.com.br.

Senza dar luogo a dubbi, essere camionista in Brasile non è facile, giacché si trova afferrato tra gli interessi delle grandi imprese di trasporto e la sopravvivenza -pessime strade, lunghe distanze, rapine e ore interminabili di servizio guadagnando poco-, e per questo la ribellione dei camionisti è eterogenea, senza leader e sta guadagnando un’immensa adesione da parte della popolazione.

Il Brasile è un paese continentale, dove l’impero portoghese non si è mai preoccupato di mettere in pratica un sistema di pianificazione delle ferrovie, che coprisse la totalità della lunghezza del paese. Come l’élite di oggi, anche quella di un tempo concepiva il Brasile come un immenso territorio che deve essere sfruttato.

Il paese circola a diesel e i prezzi praticati dalla Petrobrás hanno portato alcune categorie dei trasportatori alla disperazione. Nel paese ci sono 2,7 milioni di camionisti, di cui quelli chiamati autonomi sono proprietari di circa il 70% della flotta e il restante 30% appartengono a imprese di logistica e di altri settori. Gli interessi non sono i medesimi e ancor meno le rappresentanze.

Gilberto Maringoni, accademico e militante, segnala che nell’ultimo fine settimana c’è stato un inesplicabile clima di panico in alcuni settori democratici. Il motivo: si vive una scalata fascista di massa, c’è timore di un golpe giuridico-militare e le elezioni di ottobre sarebbero cancellate mentre la destra grida “intervento militare ora”, come mantra catartico per cercare una via d’uscita magica dall’attuale imbroglio.

Almeida Silva, capo del sindacato dei trasportatori autonomi, si è mostrato preoccupato della manipolazione che fa dello sciopero l’ultradestra Jair Bolsonaro, capitano dell’esercito ed unico precandidato presidenziale che ha espresso il proprio esplicito sostegno allo sciopero. “Ora appoggia lo sciopero per creare disordine e vendere ordine a ottobre”, ha scritto Rocha de Barros nel Folha de São Paulo.

Le perdite provocate dalla paralisi superano certamente -di molto- i danni che il giudice Moro, attraverso l’operazione Lava Jato, adduce provocati dalla corruzione in Brasile. Il paese è bloccato. Gli ospedali senza medicazioni, hanno sospeso le chirurgie di routine, i supermercati sono sforniti, scuole ed università chiuse, aeroporti con immensi problemi di cancellazioni di voli e ritardi.

Insomma: un caos promosso dal golpista Temer e dal rappresentante degli interessi delle compagnie transnazionali per la liquidazione della Petrobras, Pedro Parente, che aveva già diretto la Petrobras durante il governo di Fernando Henrique Cardoso.

Il ministro degli Affari Strategici della Presidenza della Repubblica nel governo Lula e Alto Rappresentante Generale del Mercosur (2011-2012), Samuel Pinehiro Guimaraes, ha detto che il Brasile è un paese il cui governo fa tutto quello che vuole lo straniero: il capitale estero è forte in tutti i settori e le banche saranno le prossime colpite da questo attacco.

La distruzione promossa dal governo golpista è presente nella disorganizzazione del mercato del lavoro, nella sfrenata privatizzazione, nella riduzione delle banche pubbliche, nella moltitudine dello stato. L’obiettivo, ha detto, è “la distruzione delle imprese, degli strumenti del capitalismo nazionale”, che sta raggiungendo non solo le imprese appaltatrici -danneggiate da una futura riforma dell’infrastruttura, aprendo spazi a quelle estere, ma anche altri settori, come quelli dell’energia (Eletrobras).

Per Guimarães, in Brasile si sta vivendo un governo straniero. Quello che gli Stati Uniti vogliono è che il Brasile rimanga nella sua posizione di paese sottosviluppato, esportatore di prodotti primari, soia, minerali, niobio, qualche produzione, come maiali e polli, ma non prodotti di manifattura”.

La disoccupazione e il sottoimpiego raggiungono più di 30 milioni di brasiliani. Il paese sta venendo distrutto, il maggiore dirigente del paese (l’ex presidente Lula da Silva), è prigioniero senza ragione. E per ottobre è programmata un’elezione per le assemblee, Camera e Senato Federale, Governi degli Stati e Presidenza della Repubblica. Certamente, se ci saranno elezioni.

Maringoni aggiunge che il progetto dei golpisti è l’aumento del ruolo del paese come deposito privilegiato della riproduzione allargata del capitale su scala globale. Il Brasile è un affare e da lì la trasformazione dello stato da ente pubblico a leva promotrice di profitti speculativi, che si fanno attraverso la politica monetaria -interessi stratosferici-, e anche attraverso la liquidazione del patrimonio strategico, pubblico e privato.

La metamorfosi della Petrobrás da impresa pubblica strategica -non solo nell’area energetica, ma come strumento di sviluppo- è il pilastro strategico di questo progetto e per questo è stato fatto il golpe del 2016.

Il livello di adesione popolare allo sciopero -tenendo conto della drammatizzazione dei fastidi che provoca- è qualcosa di sorprendente, nonostante il bombardamento mediatico contrario. Data la molteplicità di vincoli e regimi di lavoro dei camionisti, non è sorprendente l’inesistenza di portavoce unificati o che sintetizzino le loro richieste… e il governo non sa con chi negoziare.

Juraima Almeida

*Ricercatrice brasiliana, analista associata al Centro Latinoamericano di Analisi Strategica (CLAE, www.estrategia.la)

29/05/2018

ALAI

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Juraima AlmeidaBrasil: Un país parado y un modelo que hace agua” pubblicato il 03-06-2018 in Rebelión, su [https://www.alainet.org/es/articulo/193155] ultimo accesso 07-06-2018.

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