Immagini che compromettono la Gendarmeria


Adriana Meyer

Página/12 ha avuto accesso ad un video dei gendarmi prima dell’operazione che terminò con la morte di Maldonado.

Un video inedito del giorno in cui scomparve Santiago Maldonado mostra i gendarmi che dicono che “bisogna bruciare tutte le case” ai mapuche. È una prova che scredita l’argomento della “flagranza” con il quale il Governo giustificò la repressione.

“Bisogna bruciargli tutte le case”, dice uno dei gendarmi. “Bisogna calpestargli tutto, la missione è questa”, replica l’altro degli uomini in divisa verde oliva che parteciparono alla repressione del 1 agosto nel territorio mapuche recuperato di Cushamen, quando scomparve Santiago Maldonado. Erano seduti nel camion Unimog che circolava a bassa velocità sulla strada 40, mentre un gruppo li seguiva al trotto in direzione del Pu Lof, dove sarebbero entrati poco dopo scagliando pietre e sparando senza un ordine giudiziario. Il dialogo che riproduce un video inedito non solo manda in frantumi l’insistente giustificazione del governo di Cambiemos sulla “flagranza” invocata per agire, nella quale sarebbero incorsi i mapuche che bloccavano la strada chiedendo la liberazione del loro lonko (capo, ndt), Facundo Jones Huala. Anticipa, inoltre, ciò che sarebbe successo dopo: immagini esclusive, alle quali ha avuto accesso Página/12 e che sono nell’inchiesta, evidenziano l’incendio e il sequestro delle proprietà della comunità. Un settore degli investigatori sostiene che la “flagranza” in realtà fu la scusa per eludere i meccanismi dello sgombero di una strada, e quello che ci fu, fu una procedura illegale dove le forze di sicurezza che intervennero, sarebbero incorse in un abuso di autorità, fatto che finì con la morte di Maldonado.

Link video: https://www.pagina12.com.ar/108596-imagenes-que-comprometen-a-gendarmeria

Nella ultime notifiche dell’inchiesta che il giudice federale Gustavo Lleral sta indagando, la Gendarmeria sta modificando di fatto l’intestazione della causa, perché risponde alle comunicazioni con il titolo “NN/accertamento del delitto”, quando il caso è ancora qualificato come scomparsa forzata. “Stanno effettuando con una impunità assoluta un cambio unilaterale dell’intestazione”, ha detto Verónica Heredia, avvocata di Sergio Maldonado. Il Ministero della Sicurezza e gli avvocati dei gendarmi hanno cercato varie volte di far scomparire la figura della scomparsa forzata, soprattutto a partire dal ritrovamento del corpo di Santiago, il 17 agosto, nel fiume Chubut. Finora Lleral non ha dato adito ad una tale pretesa, ma quanto prima ci potrebbe essere una modifica della figura penale. Di fronte a questa eventualità, una fonte del caso ha proposto che le immagini che pubblica Página/12, così come altre prove già accluse al caso, potrebbero essere a sostegno di un’accusa di omicidio aggravato contro i gendarmi coinvolti, come stabilisce l’articolo 80 comma 9 del Codice Penale, come dire, il nesso causale è un abuso di autorità della forza di sicurezza che intervenne. Così avvenne nel caso di Ezeqauiel Demonty, il giovane che si affogò dopo essere stato obbligato dai poliziotti a gettarsi nel fiumiciattolo. Tre membri della Polizia Federale furono condannati alla massima pena prevista per tale delitto: prigione perpetua.

Caso mai fosse questo lo scenario possibile, le prove per confermare l’illegalità della procedura sono evidenti perché non ci fu un ordine giudiziario di Guido Otranto per l’ingresso nel Pu Lof, come nemmeno per la distruzione delle casette di legno e lamiera, dei materassi, dei giocattoli, dei libri e di altre proprietà della comunità, che furono bruciati in un falò nel quale la famiglia Maldonado sospetta che ci fosse anche lo zaino di Santiago. Di fatto, nei primi fogli del fascicolo appare il verbale elaborato dall’unico imputato del caso, il promosso sottotenente Emmanuel Echazú, ma con un vizio di forma che lo trasforma in mancante di valore legale: non porta la firma di qualche testimone. “La flagranza implica immediatezza ed urgenza, e nulla indica che ci sia stata questa situazione, quando il 31 luglio Otranto emana l’ordine di sgomberare la strada”, ha spiegato la fonte.

L’ordine era specifico e fu eseguito alle 3.30 del 1 agosto. Il capo di Gabinetto della ministra Patricia Bullrich, Pablo Noceti, fece pressione sul magistrato affinché andasse avanti invocando che i mapuche stavano commettendo dei delitti “in flagranza”, e così i gendarmi potessero avanzare con i loro veicoli su quella porzione di terreno intestato a Tierras del Sud S.A., proprietà del magnate italiano Luciano Benetton. Durante la procedura del 5 agosto, quando apparve sotto un arbusto il berretto beige che usava Santiago e il cane seguì le sue tracce fino al fiume, Otranto rimase nell’azienda Leleque, di Benetton.

Come se la Gendarmeria avesse il potere di modificare l’intestazione, nelle carte in cui lo ha fatto sollecitava di consegnare i dischi rigidi e gli altri elementi sequestrati durante le perquisizioni. La stessa cosa fecero i mapuche, ai quali nessuno fino ad oggi ha restituito i documenti, le cartelle, i portafogli e le altre proprietà che sopravvissero al falò, e che furono caricati nei fuoristrada, così come evidenziano le fotografie a cui ha avuto accesso questo giornale. Nel video, dopo aver anticipato che avrebbero bruciato e rotto tutto ai mapuche, i gendarmi parlano distesi della riscossione dello stipendio. Dopo un po’, secondo registrazioni che risultano nella causa, si sarebbero permessi altre frasi che li incolpano, tali come “andiamo a sparargli affinché imparino”, “sparare al nero”, e altre nel senso di un attacco premeditato, un chiaro abuso della propria condizione di membri di una forza di sicurezza.

17 aprile 2018

Página/12

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Adriana MeyerImágenes que comprometen a Gendarmería” pubblicato il 17-04-2018 in Página/12su [https://www.pagina12.com.ar/108596-imagenes-que-comprometen-a-gendarmeria] ultimo accesso 20-04-2018.

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