Gli Stati Uniti non vogliono recuperare una base militare in Ecuador. Sono altamente costose; implicano costi di personale militare, manutenzione e investimenti nelle infrastrutture. Per questa ragione l’avvicinamento tra l’Ambasciata nordamericana e il governo di Lenín Moreno è un segnale di qualcosa di più devastante: una rinnovata fase di ingerenza diretta e indiretta sulle Forze Armate, la Polizia Nazionale e la sovranità nazionale.
Lo stratagemma è iniziato il 27 gennaio 2018 a San Lorenzo, vicino alla frontiera nord con la Colombia, quando il paese subì lo scoppio di un’auto bomba. Mentre le risposte governative erano scarse e scoordinate, in tre giorni una comitiva del Federal Bureau of Investigation (FBI) degli Stati Uniti è giunta in Ecuador.
Il fatto determinante della situazione è che di fronte “alla prima grande minaccia alla sicurezza, la reazione del governo è stata di portare gli Stati Uniti”, come ha segnalato Guillaume Long, ex ministro delle Relazioni Estere e la Mobilità Umana. L’attentato terrorista ha aperto la strada ad un incremento di attacchi e ad una parallela presenza dei nordamericani nelle sfere militari e governative.
L’esplosione di una bomba casalinga al posto di blocco della Marina a Borbón e gli attacchi a militari e poliziotti a El Pan, nell’Alto Tambo e nel Mataje alla frontiera con la Colombia, scatenerebbero la risposta diretta della destra oligarchica e di certi gruppi di interesse. Il discorso condiviso è che la colpa di queste aggressioni sia stata la chiusura della Base di Manta nel 2009.
Per il sindaco di Guayaquil, Jaime Nebot, la soluzione sarebbe una base militare con una presenza nordamericana. Al quale ha fatto eco l’ex candidato presidenziale e Generale in servizio passivo, Paco Moncayo, che ha concluso che “togliere la base di Manta e non avere con che rimpiazzarla fu stupido e irresponsabile”. Anche membri della stampa nazionale si sono uniti alla propaganda arguendo che la sicurezza nazionale ha la necessità di una presenza militare straniera.
In altre parole, cercano di giustificare l’ingiustificabile. La perdita di sovranità nazionale, la presenza in Ecuador dell’esercito più pericoloso del mondo e il non rispetto della Costituzione sono questioni secondarie. Ma per loro lamentazione, gli Stati Uniti non vogliono una base militare in Ecuador e anche se lo volessero, non potrebbero, sarebbe incostituzionale.
L’articolo 5 della magna carta del 2008 indica che “non si permetterà l’insediamento di basi militari straniere né di installazioni straniere a scopi militari. Si proibisce di cedere basi militari nazionali alle forze armate o di sicurezza straniere”. Allora, che cercano gli yankee in Ecuador?
Una chiave per la risposta l’ha data l’ambasciatore Todd Chapman durante la celebrazione dei 154 anni di vita istituzionale della Polizia Nazionale. Il diplomatico ha spiegato che gli Stati Uniti vogliono essere un “buon socio” per il paese giacché il loro “impegno è dare sicurezza all’Ecuador” e cooperare con le istituzioni dello stato che riguardano la sicurezza nazionale.
La cooperazione offerta include la fornitura di addestramento, intelligence, scambio di informazioni e accesso alle scuole militari, dove gli ufficiali dell’Ecuador potranno di nuovo “formarsi”. Uno spaventoso ricordo che risale al funzionamento della Scuola delle Americhe, istituzione di indottrinamento militare ed ideologico degli Stati Uniti, incaricata di “addestrare e formare” durante gli anni 70, 80 e 90 squadroni della tortura e della morte in tutto il Latinoamerica.
Questa de-formazione ideologica, che implica il presunto addestramento militare, è una minaccia per gli ecuadoriani e i latinoamericani giacché attenta direttamente alla democrazia e alla sovranità delle FFAA e ai fondamenti della sicurezza nazionale. Lo dimostra la recente esperienza con le forze di sicurezza nei paesi invasi dell’Irak e dell’Afganistan.
Allora non è una casualità che Moreno abbia eliminato la Segreteria Nazionale di Intelligence (SENAIN). Smantellare istituzioni e promuovere, con l’appoggio dei mezzi di comunicazione, un discorso su come sono state “ridotte” le Forze Armate fa parte della strategia di ingegneria sociale, comune dei nordamericani.
Questa funziona creando/presentando un problema (tesi) per indurre una reazione (antitesi) e in questo modo presentare una soluzione (sintesi), la quale in una situazione regolare, non indotta, non sarebbe accettata dalla grande maggioranza.
Tutte queste misure sono legate all’obiettivo principale che è ottenere una ingerenza indiretta attraverso un intervento nel prendere decisioni e gestire appoggi dentro le Forze Armate e la Polizia ecuadoriana.
È per questo tipo di intrusione che Rafael Correa espulse dei diplomatici statunitensi, una ambasciatrice, e quasi 20 funzionari del Pentagono che lavoravano in Ecuador. Uno dei casi più emblematici è quello di Mark Sullivan, ex primo segretario dell’ambasciata, che nel 2009 fu espulso per aver interferito in materie di polizia e di interni.
Sullivan minacciò di tagliare gli aiuti del suo paese alla polizia dopo che il governo ecuadoriano cambiò il capo dell’Unità di Investigazioni Speciali senza consultare gli statunitensi, secondo un rapporto del Comando della Polizia. Le visite dell’attuale ambasciatore statunitense ai vari ministeri dello stato dimostrano che la sua figura di “consulente” sarà ripresa.
Allo stesso modo hanno bisogno di ristabilire una relazione diretta con le Forze Armate, saltando i canali ufficiali e legali. Tattica che usavano abitualmente, come lo hanno dimostrato vari telegrammi dell’ambasciata decifrati da Wikileaks.
In uno datato 2009, Heather Hodges, ex ambasciatrice in Ecuador, commenta che avevano sviluppato “una strategia per mantenere una interazione con le forze militari in Ecuador. Utilizzando la nostra esperienza di cooperazione con la Polizia Nazionale ecuadoriana faremo sì che la pressione contro la guida politica del governo dell’Ecuador sorga dall’interno delle forze militari…”.
Un altro del 2005 specifica come gli Stati Uniti offrissero “regali” agli ufficiali ecuadoriani delle Forze Armate affinché questi “faccessero pressione sui propri superiori per ottenere regali simili” e così riuscire ad ispirarli a firmare accordi negli interessi degli Stati Uniti.
Questa violazione del diritto internazionale, della diplomazia e delle istituzioni democratiche, ha un obiettivo: creare quinte colonne dentro le FFAA e la Polizia Nazionale. Scopo che i nordamericani perseguono, ma non con una Base militare, ma con l’accesso indiscriminato alle istituzioni che difendono la sicurezza nazionale.
Di fronte a questo la loro giustificazione pubblica continua ad essere la lotta al narcotraffico. Ma se la presenza degli statunitensi, in basi o attraverso la cooperazione fosse efficiente, perché dopo quasi 20 anni di Piano Colombia, sette basi nordamericane in territorio colombiano e più di 10 miliardi di dollari (2016) per la cooperazione, le coltivazioni di coca in Colombia nel 2016 sono aumentate a 146.000 ettari, tornando approssimativamente agli stessi livelli dei primi anni del Piano nel 2001?
La risposta è che lottare contro il narcotraffico non è la loro priorità o si dedicherebbero a combatterlo nel loro stesso territorio. Il loro obiettivo, come impero basato sul potere bellico, è aumentare la presenza militare nella regione con lo scopo di assicurare i loro “interessi emisferici”, consolidare, attraverso favori politici, un blocco regionale contro il Venezuela, e giustificare la propria presenza nella zona, giacché con i dialoghi di Pace non potranno continuare ad operare come lo hanno fatto per quasi due decenni.
Con le parole di Joseph Di Salvo, subcomandante del Comando del Sud, “dobbiamo pensare ad una nuova strategia che più che un Piano Colombia sia un Piano Sudamerica, dove tutto il mondo possa unire i propri sforzi e così lottare contro questo (narcotraffico)”.
Questo Piano Sudamerica di carattere neocoloniale dimostra che per loro questo è il loro continente e l’America Latina la loro “colonia”. Per riuscire nella missione, manipolano le deboli politiche di sicurezza nazionale e si approfittano dei cedimenti degli attuali governi della regione. Ed è così che la rinnovata presenza militare non mette a rischio un solo paese, ma la sovranità e il futuro di tutta l’America Latina.
05-04-2018
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Martín Pastor, “Estados Unidos no quiere una base en Ecuador, quiere algo más devastador” pubblicato il 05/04/2018 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=239906] ultimo accesso 11-04-2018. |