Viviamo tempi di accelerazione e approfondimento capitalista e, in questi, si sono anche sviluppate tutte le contraddizioni che gli sono proprie. Nonostante ciò, da queste non si deducono meccanicamente l’emergere di soggetti e movimenti anticapitalisti di massa. Anche se masse importanti di lavoratori e di altre classi subalterne resistono oggettivamente allo sfruttamento, al saccheggio e la rapina, coloro che coscientemente si oppongono al capitalismo formano un piccolo gruppo. Minoranze attive, a volte semplicemente di testimonianza, che si inseriscono, nel migliore dei casi, all’interno delle lotte di resistenza che continuano ad avvenire in tutto il mondo e cercano di politicizzarle e orientarle verso una maggiore radicalità. A volte il loro discorso e le loro pratiche suonano fuori luogo e anacronistiche, in altri casi contribuiscono a mobilitare, organizzare, politicizzare e smascherare le distorsioni attraverso le quali si impacchetta e si vende il capitalismo come il migliore mondo possibile.
Tra lotte anticapitaliste oggettive e tentativi di soggettivarle politicamente, l’attuale congiuntura non sembra dare ragione a questo movimento diffuso giacché continua a imperare non solo l’imposizione violenta e il controllo sociale attraverso i quali si riproduce la logica e il circolo del profitto, ma il saldo della battaglia degli anni 60-70 permise una vittoria delle destre così forte che ha attecchito a fondo nel terreno culturale. La massima thatcheriana del TINA (there is no alternative) accompagnava la caduta del muro e il crollo del blocco sovietico, la dissoluzione di un progetto liberticida e inefficiente ma che era sorto dalla volontà di superare il capitalismo. Tra le macerie, ma anche grazie al terrorismo controinsurrezionale dei 60-70, si sviluppò la vittoria e la controffensiva del liberalismo. Una controffensiva che ha comportato una restaurazione del capitalismo senza regole, che ha liberato il capitale e ha stretto le catene dello sfruttamento del lavoro. La dimensione della sconfitta degli sforzi anticapitalisti di costruire un mondo diverso -un mondo socialista, libero da sfruttamento e guidato dal principio di soddisfazione delle necessità di tutti- si misura non solo nell’imposizione ma nella capacità egemonica di ratificare la fine della storia, la fine della storica lotta tra capitalismo e socialismo, il definitivo trionfo del principio del libero mercato. Nonostante i sussulti di varie ondate di movimenti locali e globali, continuiamo in questa fase della storia, non ci siamo ancora ripresi dall’epocale sconfitta della fine del XX secolo. Parafrasando il dirigente cinese Zhou Enlai al quale fu domandato che ne pensava della rivoluzione francese, potremmo rispondere la stessa cosa: è troppo presto per valutare la sua reale portata storica.
Nel frattempo, poiché la lotta continua, anche se in forma di resistenza, valgono due puntuali considerazioni che giustificano la necessità di sostenere una prospettiva anticapitalista nel breve e nel medio termine.
La prima è che la lotta anticapitalista ha un senso nel breve termine giacché si inserisce nelle resistenze in corso, introducendo alcuni elementi indispensabili di politicizzazione e radicalizzazione, oltre a contare su un patrimonio di esperienze e tradizioni militanti che si sono mantenute e, allo stesso tempo, rinnovate. L’anticapitalismo è parte integrante delle lotte dei nostri giorni ed ne è una parte attiva, dinamica, consistente e persistente. Questo non implica di non riconoscere i limiti dell’azione degli anticapitalisti e gli errori che si commettono durante questo processo. Anche con questo avvertimento, a partire dalla sconfitta, immersi nelle resistenze, non possiamo prescindere dall’anticapitalismo per allontanare il pessimismo, per mettere un freno alla barbarie che avanza.
La seconda è che l’anticapitalismo mantiene viva la fiamma della possibilità di cambiare il mondo, fiamma utopica o fuoco reale che già sta operando il cambiamento su piccola scala. Nel frattempo si accumulino forze, si costruiscano contropoteri e pratiche di autodeterminazione, si modifichi la correlazione di forze e, reale e ipoteticamente, si apra l’orizzonte di quanto è possibile poiché, anche in determinate condizioni, continuano ad essere gli uomini e le donne quelli che fanno la storia e di fronte alla barbarie possono innalzare un’alternativa emancipatoria, che continuiamo o no a chiamare socialismo.
4 marzo 2018
Desinformémonos
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Massimo Modonesi, “Capitalismo / Anticapitalismo. La lucha sigue” pubblicato il 04/03/2018 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/capitalismo-anticapitalismo-la-lucha-sigue/] ultimo accesso 14-03-2018. |