Adriana Meyer
Nella sua arringa finale, il portavoce mapuche prigioniero per lottare contro la Benetton ha chiesto la fine della repressione contro i popoli originari.
Mercoledì, per quasi due ore Facundo Jones Huala ha parlato durante il suo secondo processo di estradizione e si è diretto a tutti. “Se vi rimane qualcosa di umanità, dico alle forze di sicurezza di non continuare a reprimere dopo quello che è successo a Rafael Nahuel e Santiago Maldonado”. Il lonko (capo) della comunità mapuche in Resistenza di Cushamen conosceva il “peñi (fratello) Rafael” e nominandolo gli si è rotta la voce. “Lei ha una responsabilità nella loro morte, non era necessaria quella violenza irrazionale. Perché non avete represso con proiettili di gomma? Perché è più facile uccidere”, ha detto guardando il giudice federale Gustavo Villanueva. “L’assassinio di Santiago è un crimine di stato, come lo fu quello del mapuche Matías Catrileo e di tanti altri. Non ho paura dei proiettili, a undici anni conobbi una cella per essere povero e mapuche, perché deturpavamo questa città”, ha detto quando ha menzionato “l’impunità di cui godono i loro assassini materiali e politici”, e in questo quadro ha identificato il processo come un altro capitolo di questa dinamica criminale statale.
“Dicono che siamo terroristi. Se siamo terroristi, dove sono i morti? I morti li mettiamo noi. Qui non c’è terrorismo, qui c’è un popolo stufo che si difende con quello che può, con quell’arsenale che hanno mostrato quando hanno fatto scomparire Maldonado: pale, machete, motoseghe, utensili da lavoro, quello è il nostro arsenale. Se questo non è un processo politico, che è? Si è domandato Jones Huala, accusato di un incendio intenzionale nella località cilena di Pisu Pisue per il quale dovrebbe essere estradato se così il 3 marzo deciderà il giudice Villanueva.
“La mano d’opera mapuche a buon mercato ha costruito questa palestra”, ha detto in una parte della sua dichiarazione che, come aveva anticipato, è stata un’arringa politica, facendo riferimento al luogo dove è stata effettuata l’udienza. Il lonko del Pu Lof è accusato in un caso nel quale tutti gli imputati cileni sono stati assolti per mancanza di prove. Il suo primo processo per l’estradizione fu annullato perché furono provate torture ai testimoni, ma anche così dal 27 giugno Villanueva lo ha tenuto in prigione.
Nelle vicinanze della Palestra Municipale 3 di Bariloche si trovavano in un accampamento diverse organizzazioni delle comunità mapuche della regione andina, sorvegliate dalla Gendarmeria, dalla Polizia di Sicurezza Aeroportuale e dalla Polizia Federale. All’udienza è entrata una delegazione mapuche, Isabel Huala e la zia di Rafael Nahuel, il giovane assassinato alle spalle per mano della Prefettura Navale il 25 novembre a Villa Mascardi, vicino a Bariloche. Fino a questa città ha viaggiato la Madre di Plaza de Mayo Linea Fondatrice, Nora Cortiñas, la figlia di scomparsi e membro del CeProDH, Alejandrina Barry, Margarita Cruz dell’Associazione di Ex Detenuti Scoparsi, Maria Elena Naddeo e Gisela Cardozo dell’APDH, Graciela Rosenblum della Lega Argentina per i Diritti dell’Uomo e membri dell’Associazione degli Avvocati della regione, tra gli altri. Per la pressione delle organizzazioni, il magistrato ha lasciato entrare tutti i giornalisti e l’udienza ha potuto essere trasmessa dalla Rete Nazionale dei Media Alternativi (RNMA).
La difesa di Jones Huala ha evidenziato una “evidente intenzionalità e persecuzione politica in questo processo, che cerca di giudicare e criminalizzare la lotta della comunità mapuche del Pu Lof in Resistenza di Cushamen”. Così, l’avvocata Sonia Ivanoff ha sollecitato che si annetta come prova l’accordo contro la “ribellione” della RAM, tra la Nazione e le province patagoniche, per dimostrare il carattere politico della causa. La procura lo ha respinto menzionando che “non si sta processando l’intenzione del governo dell’Argentina, ma un processo iniziato dalla giustizia cilena”.
Jones Huala si è irritato menzionando quello che ha chiamato un esempio di colonialismo nella testa di alcune persone. “Il pubblico ministero Silvina Ávila mi ha detto ‘sono tehuelche, noi c’eravamo prima di voi’, invece di dire siamo fratelli”, ha dichiarato il lonko. “Hanno espulso dal Cile mia sorella Luciana Jaramillo e Romina Rosa, la polizia di Villa La Angostura ha fatto un mio profilo ideologico, si mettono illegalmente nella vita delle persone”, ha detto mostrando delle foto di un corteo che non gli hanno permesso di esporre come prova.
Con un poncho e la sua fascia in testa, ha accusato il giudice federale Guido Otranto per la scomparsa di Santiago Maldonado. Jones Huala ha anche parlato alla sua gente. “Non vi impaurite, siamo la nazione mapuche che può convivere con lo stato, ma se da parte dello stato non sono capaci di conversare, il conflitto continuerà, continueremo a rivendicare il diritto all’autodifesa, alla ribellione dei più poveri tra i poveri che stanno in Cile e anche da questo lato della cordigliera”.
Le ragioni di fondo continuano ad essere le medesime di due secoli fa. “Abbiamo bisogno della terra, noi stiamo morendo di fame, viene una nevicata o una siccità, immaginatevi se i ricchi si lamentano, noi molto di più con le nostre capre magre. Se non è stata una montatura dei servizi di intelligence, il caso Pisu Pisue è stato un recupero di quelle terre, ai peñi hanno bruciato i telefoni e i danneggiati sono stati risarciti. Attaccate pure, il resto non sarà caramelle, la storia ci assolverà”, ha chiuso parafrasando Fidel Castro quando fu giudicato nel 1953 per l’assalto alla caserma della Moncada.
01 marzo 2018
Pagina/12
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Adriana Meyer, “Jones Huala habló en su segundo juicio de extradición: La historia nos absolverá” pubblicato il 01/03/2018 in Pagina/12, su [https://www.pagina12.com.ar/98623-la-historia-nos-absolvera] ultimo accesso 04-03-2018. |