Siamo giunti fino al Campidoglio Nazionale per far ascoltare, di fronte alla nazione e al mondo, la voce di disaccordo e di protesta dei membri delle FARC che hanno fatto il passo verso la legalità, che sopravvivono nelle zone e negli spazi territoriali, nutrendo la speranza nella pace, nonostante gli inadempimenti e gli adempimenti fatti a metà degli impegni del governo in tutti i piani della loro applicazione; specialmente in materia di sicurezza giuridica, fisica o personale, e sicurezza socio economica. Sottolineando che su quest’ultimo aspetto, non ci sono terre dove portare avanti i progetti produttivi necessari alla sussistenza.
Abbiamo rispettato gli impegni e manca solo che il governo rispetti pienamente i suoi. Abbiamo operato in buona fede e ogni volta che facciamo dei passi significativi il Procuratore Generale della Nazione non smette di minacciare, come sa fare, con azioni giudiziarie, affinché tutto il mondo tremi, e questo lo fa evidentemente d’accordo con l’ambasciata degli Stati Uniti e sicuramente con l’acquiescenza di settori della coalizione di governo.
In questo scenario vorrei affermare che la Colombia ha degli obblighi internazionali da rispettare derivati dalla firma del trattato di pace dell’Avana. In questo senso permettetemi di ricordare che depositando un così importante documento di fronte al Consiglio della Federazione Svizzera a Berna, questo sul piano del Diritto Internazionale Umanitario e del diritto dei diritti umani acquisisce una connotazione di Accordo Speciale, perché nulla risulta più umanitario che fermare la guerra. Ed essendo questo tema fondamentale a definire il futuro della Colombia eleveremo all’Ufficio giuridico della CICR in Svizzera la domanda su quale sia la portata degli accordi speciali e quale debba essere il comportamento dei governi che li hanno firmati. E d’altra parte e nel medesimo senso ricordiamo che il menzionato Accordo dell’Avana fu presentato dal Governo della Colombia di fronte al Segretario Generale dell’ONU mediante lo strumento di una Dichiarazione unilaterale dello Stato, con la quale quest’ultimo si obbliga all’adempimento di quanto convenuto.
Signore e signori, siamo realmente di fronte ad un obbligo internazionale dello stato, ma sembrerebbe che questo non sia rilevante per molti membri delle istituzioni.
Da un anno, quando fu firmato l’accordo, è stato utilizzato il suo sviluppo normativo per rinegoziare quanto pattuito all’Avana, per cambiare il senso di quanto convenuto.
Pacta Sunt Servanda! Ora basta con queste pretese. Quanto concordato deve essere adempiuto.
All’Avana abbiamo negoziato con il governo, che si suppone lo abbia fatto a nome dello stato; allora ciò che dovrebbe seguire è il coordinamento armonico dei poteri affinché non si continui ad attentare contro lo spirito di quanto pattuito. Qui tutti hanno messo le mani sugli accordi, più per il male che per il bene: non solo alcuni congressisti che giungono con nocive trovate dell’ultima ora, ma anche magistrati, rappresentanti dell’esecutivo e il Procuratore che, per esempio, non ha permesso il dispiegamento dell’Unità speciale di lotta contro il paramilitarismo del punto 74 della JEP (Giurisdizione Speciale per la Pace). Quella unità è sussidiaria, agisce solo se non lo fa la Procura e questa dormendo ha in proprio potere il sogno di giuste 15 mila denuncie contro il paramilitarismo. Non vogliamo che terzi coinvolti nel conflitto continuino ad essere eternamente protetti sotto il mantello dell’impunità. Anche loro sono obbligati a contribuire alla verità. La riforma costituzionale per ottenere l’esatta materializzazione di questa unità è un compromesso che il Governo non può lasciare da parte.
Alcuni già incominciano a parlare di inganno e truffa del governo verso la sua controparte. In ogni momento il Procuratore sta cercando la nostra caduta e di metterci sotto inchiesta giuridica per rendere inattuabile la riconciliazione della Colombia. Che si fermi, che smetta di estendere la rete giudiziaria nella quale vuole acchiappare e immobilizzare i sogni collettivi di pace.
Di fronte alla crisi dello Jus Puniendi o alla capacità dello stato di giudicare e punire, e di fronte al generalizzato discredito dell’organismo dell’accusa e del ramo giudiziario del potere pubblico, è tempo della JEP ed è il momento delle trasformazioni, affinché le istituzioni siano guidate da gente onesta e proba che ridia al paese la fiducia nello stato.
In questo cammino dobbiamo stabilire le cause e i responsabili del duro calvario dello scontro. Non bisogna temere la verità. La verità cura le ferite dell’anima causate dal lungo conflitto, e senza questa guarigione non sarà possibile trovare la riconciliazione. Da qui l’importanza di aprire la strada a richieste come la commissione per il chiarimento e alla Giurisdizione Speciale per la Pace (JEP) che sono ideate in una prospettiva di giustizia senza vendetta e di restaurazione del tessuto sociale.
Nel Congresso alcuni si sono fatti allegramente carico del boicottaggio della legge statutaria della JEP, senza rendersi conto che stanno aprendo le porte alla CPI quando già avevamo dato la priorità all’Annotazione Nazionale di Valutazione, per far avanzare la base della nostra storia, i nostri costumi, la geografia, per la conoscenza dell’origine del conflitto, cercheremo vie d’uscita che assicurino il nostro futuro di pace.
Ma i problemi non sono solo con la JEP. Nonostante che tutto il congresso, e con ampia maggioranza, abbia convalidato gli accordi e abbia attivato le possibilità per la loro applicazione normativa come costituente che deriva dalla rappresentanza del popolo, oggi ci sono settori del congresso che vogliono bloccare e ostacolare le giuste aspirazioni prospettate negli accordi. Possiamo segnalare alcuni preponderanti esempi. Ci sono dei congressisti che aspirano a far affondare la riforma politica che è l’aspetto fondamentale del reinserimento e limitare al massimo le norme di partecipazione cittadina e di garanzie alla protesta sociale. Non si può vittimizzare di nuovo la gente dei territori eliminando i capoluoghi municipali delle circoscrizioni speciali di pace.
La titolarità delle terre ai contadini si è trasformata in un romanzo ed è rimasta ostacolata dall’inveterato e irrazionale santanderismo che utilizza la norma non per dare una soluzione ai problemi ma per peggiorarli e da una pesante e assonnata burocrazia che in tempo utile beneficia il latifondo, che sa solo venerare e rendere omaggio ai poteri di fatto e alle pratiche e all’interminabile rovistare tra le carte, quando invece si devono servire i contadini e la popolazione rurale. La sostituzione delle coltivazioni di uso illecito, nonostante il forte accompagnamento delle FARC nel difficile compito di persuadere e di fare pedagogia della sostituzione, non ha reso i frutti sperati perché alle autorità è venuto in mente di conciliare in un brutto momento e in modo inopportuno la sostituzione con lo sradicamento forzato, il quale, oltre ad essere contraddittorio, risulta più costoso e oneroso della stessa sostituzione. Siamo sicuri che l’esecuzione di programmi di sostituzione consensuale con i contadini, rafforzata dal rispetto dei diritti violati dei contadini fin dalla fondazione della repubblica, che ha negato una vita degna al settore contadino, possono segnare la rotta della fine di un fenomeno originado da cause sociali ed economiche e che ha a che vedere con l’assenza di una vera Riforma Rurale Integrale.
Ma come avevamo detto, nel Congresso non solo mettono i bastoni nelle ruote della pace, perché, per il caso del reinserimento, anche se sono state fatte norme che faciliterebbero questo processo, come quella dell’amnistia, la rappresentanza giuridica per il nuovo partito, nella Corte Costituzionale tutto continua in uno stato indefinito e nello scenario istituzionale in generale abbiamo difficoltà molto delicate.
Gli inadempimenti sono i seguenti:
320 ex guerriglieri autorizzati continuano a stare in prigione. Più di 700 continuano ad essere incarcerati senza autorizzazione. Le sospensioni degli ordini di cattura contro membri delle FARC che hanno lasciato le armi non sono state attuate e continuano ad essere detenuti nei posti di controllo di polizia perché i casi non sono stati inseriti nelle relative basi dati. Dei 540 guerriglieri trasferiti nella zona, ad oggi solo 140 sono stati messi in libertà condizionale. Anche se è già stato licenziato l’ultimo decreto presidenziale di Amnistia di Legge ci sono molti ex combattenti nelle zone che non sono stati inclusi, e non sono state evase le risoluzioni individuali che devono essere consegnate agli amnistiati. Durante il processo di elaborazione della bozza di legge statutaria JEP ce già stata una rinegoziazione di fatto con la Procura. Il progetto presentato al Congresso lo scorso giorno, 26 settembre, include vari cambiamenti introdotti dalla Procura, non concordati con le FARC su bilanci, su “dissidenze” riferite solo alle FARC, incorporazione di liste chiuse alla data del 15 agosto contro quanto stabilito nell’Accordo Finale. Il Ministero degli Interni dichiara che non c’è la maggioranza per approvare la legge statutaria al Senato. L’impegno del Governo è di non ammettere modifiche, contrarie alla bozza approvata nel CSIVI. Lo status giuridico delle zone è ancora in forse.
Non solo non è stata rispettata la sospensione degli ordini di cattura a scopo di estradizione, ma sono state detenute più persone basate su queste richieste. E così potremmo segnalare innumerevoli inadempimenti come quelli che ci sono in materia di sicurezza, di informazione, di rivendicazione delle vittime, di differenziazione del trattamento penale a coloro che sono incorsi in delitti di povertà, come è il caso dei contadini coltivatori di foglie di coca, o di attivazione dell’accompagnamento internazionale, che non si finisce mai di convocare.
A tutto questo si aggiunge l’incertezza che crea il non finanziamento dei piani e dei programmi previsti dall’accordo finale. Bisognerebbe dire che è deplorevole che il Governo non si impegni con uno sforzo fiscale serio che garantisca risorse sufficienti per l’applicazione. Nel Piano Quadro proposto dalle istituzioni non si impegna più dello 0,7% del PIL in 15 anni.
Perché l’applicazione è un vero campo di dibattito che non si chiude con la fine del fast track, ora più che mai, di fronte alle difficoltà e alle sfide dobbiamo riaffermare che l’unica garanzia, affinché non siano frustrati gli aneliti di pace, è nell’unità del popolo facendo proprio l’Accordo dell’Avana.
In mezzo a queste difficoltà noi ci siamo trasformati in una forza politica disposta a raccogliere i sogni di pace e anche la protesta accumulata dopo successivi governi che hanno dato le spalle ai più deboli. Con questa posizione, ad un anno dalla straordinaria difesa del processo di pace che hanno fatto nelle strade della Colombia le moltitudini del comune ora facciamo un appello alla difesa della sua applicazione e a lavorare insieme per il grande Accordo Politico Nazionale che impedisca alle trombe della guerra di tornare a rompere la calma della concordia nazionale.
04-10-2017
CSIVI-FARC
tratto da Rebelión
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Iván Marquez, “El Estado y la implementación del acuerdo de paz FARC-EP/Gobierno” pubblicato il 04-10-2017 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=232336&titular=el-estado-y-la-implementaci%F3n-del-acuerdo-de-paz-farc-ep/gobierno-] ultimo accesso 11-10-2017 |