L’infografia dell’Agenzia di Comunicazioni Stampa Alternativa (ACPA) mostra il nome della vittima, la data e la presunta paternità dei 22 assassinii commessi contro i membri delle FARC che hanno consegnato le loro armi, o contro i loro familiari diretti, in questa prima parte del 2017. Il lavoro raccoglie dati forniti dalla Commissione dei diritti umani di Marcia Patriottica e dall’IDEPAZ. Sono stati diffusi lo scorso lunedì 14 agosto, ma è già inattuale. Tre giorni dopo essere stato reso pubblico il rapporto, è stato assassinato Brutney Alfonso Ávila, conosciuto nelle FARC come Chonchón, nei dintorni della Zona Veredale Transitoria di Normalizzazione (ZVTN) “Martín Villa” di Arauca; gli hanno sparato diverse volte da una motocicletta.
I crimini contro i dirigenti e le dirigenti sociali, comunitari e dei diritti umani, sommati a questi assassinii di guerriglieri che si sono avvalsi degli accordi di Pace, prefigurano un potenziale nuovo genocidio contro coloro che si mostrano critici del sistema senza che importi che siano dirigenze pacifiche, disarmate. Non basta segnalare la provata sistematicità di quelle aggressioni; la combinazione di quella sistematicità con il blindaggio mediatico e giudiziario che garantisce impunità, e la disattenzione statale, configura uno scenario che può arrivare a dimensioni ancor maggiori e di estrema gravità.
Nel primo semestre del 2017 gli assassinii di dirigenti comunitari sono aumentati del 31 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, secondo quanto documenta il rapporto dell’organizzazione dei diritti umani “Somos Defensores”. Negli ultimi dieci giorni, tre nuovi casi si sono aggiunti a quelli già menzionati di membri delle FARC: venerdì 11 è stato assassinato Fernando Asprilla, dirigente comunale di Piamonte, nel Basso Cauca; due giorni prima è stato trovato il corpo di Idalia Castillo Narváez, rappresentante di Víctimas, nel municipio di Rosas: “la donna è stata torturata, violentata e assassinata”, ha dichiarato la segretaria di Mujer de Cauca. Giovedì 17 è stato assassinato l’ex presidente del Consiglio Comunitario di Truandó (Riosucio, Chocó) e reclamante terre Manuel Ramírez Mosquera. Qualunque di questi fatti dovrebbe scuotere e fare appello alla reazione sociale attraverso mobilitazioni e richieste di giustizia; sull’abitudine e l’anestesia sociale si costruisce l’impunità.
La situazione dei membri delle FARC che stanno venendo assassinati merita un’analisi particolare: si tratta di combattenti rivoluzionari che hanno patteggiato con lo stato condizioni per fare politica e vivere con le garanzie elementari di cui deve godere qualsiasi essere umano; ciò nonostante, perdono la propria vita poco dopo concretizzato quell’accordo. È chiaro che, al di là della paternità materiale concreta in ciascun caso, della sigla paramilitare che sia identificata -o no- dopo ciascuna esecuzione, la responsabilità di quei crimini è dello stato. Nonostante ciò, i rappresentanti dello stato ignorano quella responsabilità, con una doppia aggravante: sbagliano nel non garantire la sicurezza dei cittadini, ma sono anche parte inadempiente, negli aspetti più fondamentali come la garanzia della vita, di un accordo di Pace. Allora che aspettarsi dai punti concordati di più complessa attuazione: quella domanda già gira con preoccupazione in ampi settori della società.
I fatti sono così evidenti che perfino una persona che ha visitato per pochi giorni la Colombia può notarli. Il sindaco di Ginevra, Svizzera, in una sua recente visita nel paese ha messo in allerta su quello che sta succedendo: “Bisogna proteggere le organizzazioni e i dirigenti perseguitando il paramilitarismo, [lo stato colombiano] deve incominciare a riconoscere che esiste il paramilitarismo, senza eufemismi riferendosi a questo problema; se no, avverrà una catastrofe. L’Esercito deve smantellare i paramilitari”, ha affermato, e dopo aver visitato una Zona Veredale Transitoria ha detto che le persone che ha conosciuto lì “saranno fondamentali per il futuro della Colombia… Chiaro, se non li assassinano”.
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Mentre succede questo, l’ELN porta avanti il suo processo di Dialoghi a Quito, con il mandato del suo Quinto Congresso: “Esplorare la reale volontà di Pace del Governo” per concordare le condizioni che permettano all’ELN, ma fondamentalmente a tutte e tutti i colombiani, di poter esercitare i propri diritti senza la necessità di ricorrere alle armi.
Sono conosciute le nostre proposte affinché lo stato assuma le proprie responsabilità non solo attraverso un cessate il fuoco, ma per mezzo di misure di sostegno umanitario che hanno come prima richiesta la ferma decisione di affrontare il paramilitarismo. Senza quel riconoscimento da parte del Governo, la ricerca di accordi continua a percorrere un cammino burrascoso, difficile. Ciò nonostante, con la certezza che le proposte che sono gettate sul Tavolo sono molto concrete e realizzabili se ci fosse volontà politica, continuiamo ad apportare la nostra più grande volontà di fare accordi e passi concreti verso la pace.
Non possiamo accettare né permettere che continuino ad uccidere coloro che esprimono idee critiche. L’ELN solidarizza con le vittime e i loro familiari, con coloro che esercitano una guida sociale e sono perseguitati, e con coloro che stanno venendo perseguitati per essere membri delle FARC. Ma non ci rassegniamo a lamentare le morti: nei territori, e anche al Tavolo di Quito, stiamo dando battaglia per rovesciare quella realtà. Gli sforzi dell’ELN, di per sé stessi, non saranno sufficienti: la lotta per i diritti di tutti, per una nuova Colombia che meriti di essere vissuta, è nelle mani dell’insieme della società.
21 Agosto 2017
ELN Voces – Ejército de Liberación Nacional
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
“Las fuerzas alternativas inermes” pubblicato il 21-08-2017 in ELN Voces – Ejército de Liberación Nacional, su [http://www.eln-voces.com/index.php/editorial-index/1222-las-fuerzas-alternativas-inermes] ultimo accesso 26-08-2017. |