Il problema fondamentale della crisi brasiliana non è solo la corruzione, che è endemica e tollerata dalle istituzioni ufficiali, giacché beneficiano di quella. Se fossero recuperati i milioni e i milioni di real che annualmente le grandi banche e le imprese smettono di consegnare all’INSS (previdenza sociale, ndt), una riforma della Sicurezza Sociale diventerebbe superflua.
Il problema è oltre Lula, Dilma e Temer. Il centro della questione è la lotta nel quadro della nuova guerra fredda tra gli Stati Uniti e la Cina: chi controllerà la settima economia mondiale e come allinearla alla logica dell’impero nordamericano, impedendo la penetrazione della Cina nei nostri paesi, specialmente in Brasile, dato che ha bisogno di mantenere la propria crescita con risorse che noi non abbiamo.
Si è iniziato ad applicare questa strategia con il Lava Jato, con il suo giudice Sérgio Moro e il suo intorno di fautori, vari di loro preparati negli Stati Uniti. È proseguita con l’impeachment della presidente Dilma per mezzo del parlamento, e ha messo insieme settori del pubblico ministero, della polizia federale, parte del Supremo Tribunale Federale (SFT) e dei partiti conservatori, chiaramente neoliberali e legati al mercato.
Tutte queste istanze servono da forze ausiliari ad un più grande progetto dell’impero. Con una vantaggio: quella sottomissione si incontra con le intenzioni degli eredi della Casa Grande che mai tollereranno che qualcuno della sensala (alloggiamenti degli schiavi, ndt) o figlio della povertà giunga alla presidenza e inauguri politiche sociali di inclusione delle classi subalterne, capaci di mettere sotto scacco i loro privilegi. Preferiscono essere sicuri a fianco degli Stati Uniti, come soci minori, accettando trasformazioni dello statu quo che li favoriscano.
Per gli Stati Uniti, il Brasile è uno spazio scoperto nell’Atlantico Sud. Non può continuare così, secondo una delle idee-forza del Pentagono, il full spectrum dominance (il dominio di tutto lo spettro territoriale), il Brasile deve essere sotto controllo. Da lì la presenza della quarta flotta vicino alle nostre acque territoriali e al pré-sal. La visione imperiale e bellicista si esprime attraverso le 800 basi militari che hanno in tutto il mondo, varie anche in America Latina.
La Cina, in compenso, segue un’altra strategia. Ha scelto la strada economica e non quella bellicista. Attraverso quella pensa di avere delle opportunità per trionfare. Il grande progetto dell’Eurasia, “la rotta della seta” che coinvolge 56 paesi, con uno stanziamento di aiuti allo sviluppo di 26 miliardi di dollari, rende evidente la sua presenza anche in Brasile e in America Latina.
In quel gioco di titani, la strategia nordamericana conta in Brasile su forti alleati: coloro che hanno effettuato il golpe parlamentare, giuridico e mediatico contro Dilma stanno imponendo un neoliberalismo più radicale che nei paesi centrali. Questo implica la liquidazione politica della leadership popolare di Lula attraverso i vari processi promossi contro di lui dal giudice del Lava Jato Sérgio Moro. Tutti loro seguono il modello imperiale imposto. Per questo, Moro si è visto obbligato a condannare Lula, anche senza una base giuridica sufficiente, come hanno rivelato eminenti giuristi, della portata di Dalmo Dalari, Fábio Konder Comparato, e per un’altra via, il grande analista politico Moniz Bandeira.
Nella strategia del Pentagono c’è anche il progetto di impedire che dei governi progressisti giungano al potere con un progetto di sovranità e rafforzino un nuovo soggetto politico, venuto dal basso, dalle periferie, con politiche antisistema, ma che comportano l’inclusione di milioni di persone nella società, prima guidate da élite retrograde, escludenti e nemiche di qualsiasi progresso che minacci i loro privilegi. Abbiamo bisogno di fare chiarezza: partiti con progetti chiaramente neoliberali, che mettono tutto il valore nel mercato e tutti i vizi nello stato, che deve essere ridotto, come ha mostrato con vigore Jessé Souza, e che frenano perfino con la violenza l’ascesa delle classi subalterne, sono i rappresentanti subalterni di quella strategia imperiale nordamericana e contro la Cina, coinvolgendo il Brasile in questa trama, che per noi, in fondo, è antipopolare e antinazionale.
Alle nostre oligarchie non interessa un progetto di nazione sovrana con un governo che diminuisca attraverso politiche sociali la nefasta disuguaglianza sociale (ingiustizia sociale) e che si serva delle nostre potenzialità, sia della ricchezza ecologica, della creatività del popolo e geopoliticamente della posizione strategica. Gli basta essere alleati associati dell’impero nordamericano con il supporto europeo, così vedono garantiti i propri privilegi e tutelata la natura della loro accumulazione assurdamente concertatrice e antisociale. Da lì, rieleggere Lula sarebbe la maggiore disgrazia per il progetto imperiale e gli oligopoli nazionali internazionalizzati.
Quella è la reale lotta che sta sotto alle lotte politiche e di partito, alla lotta alla corruzione e al castigo di corrotti e corruttori. È importante ma non è fine a sé stessa. Non possiamo essere ingenui. È importante aver chiaro che quella viene predisposta per un allineamento con l’impero nordamericano alle spalle del popolo, negandogli il diritto di costruire il suo proprio cammino e, insieme agli altri, di dare un contenuto meno malvagio alla mondializzazione, imponendo su scala mondiale dei limiti al Grande Capitale.
*Leonardo Boff è un articolista del JB online, filosofo, teologo e scrittore.
Traduzione dal portoghese in spagnolo di Mª José Gavito Milano per leonardoboff.com.
25-07-2017
tratto da Alai
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Leonardo Boff, “La crisis brasileña en el contexto de la nueva guerra fría” pubblicato il 25-07-2017 in Alai, su [http://www.alainet.org/es/articulo/187075] ultimo accesso 22-08-2017. |