Cambiare il mondo dall’alto


Raúl Zibechi

La fine di un ciclo progressista. La frattura geopolitica nel continente. I rischi della riforma del lavoro brasiliana. Odebrecht, il narcotraffico e l’1%. Quali sono i movimenti sociali che sono debilitati e quelli che creano altri mondi. I nuclei di una conferenza magistrale del giornalista e ricercatore Raúl Zibechi su #MUTrincheraBoutique.

La fine di un ciclo

In questi ultimi anni è finito un ciclo, quello dei governi progressisti, anche se continuano ad esserci alcuni che si proclamano progressisti. E meglio di nulla è finito un ciclo di una certa governabilità, di un certo ordine di governo più o meno stabile, prevedibile, anche dove ci sono governi conservatori come in Perù, anche se chi tiene la padella per il manico di quel governo è il fujimorismo. È finita la stabilità perché nessun governo di destra, di sinistra, conservatore o progressista ha più la possibilità di governare con una certa calma e con una certa tranquillità, per dirla in qualche modo. Non c’è stabilità in Centroamerica, in Venezuela, dove forse il tema dell’ingovernabilità è più evidente. Non c’è in Argentina, per la ragione che da più di 40 anni non c’è nessuna stabilità e non c’è in Brasile, che è la metà del Sudamerica.

A mio modo di vedere, ci sono due fatti che spiegherebbero questa situazione.

Uno è il modello. C’è stata una certa stabilità, soprattutto progressista ma anche conservatrice (con Ollanta Humala, in Perù), quando i prezzi delle materie prime erano in alto, e con 120 dollari il barile di petrolio ci può essere denaro sufficiente per fare piani e politiche sociali per i poveri senza toccare la ricchezza. Caduti fortemente i prezzi delle commodities, non ci sono più le risorse per continuare a distribuire senza toccare la ricchezza concentrata, quel famoso 1 per cento. Questo succede anche in Venezuela.

E l’altro è che ci sono ampi settori della società che sono diventati forti. Hanno la chiara coscienza dei propri interessi e in genere questi settori sono quelli che hanno fatto irruzione in Brasile: 20 milioni di persone, circa 153 città in strada, che dicono di volere che questo cambi. E sotto il governo del PT, che fino al giorno d’oggi non ha compreso ciò che è successo perché sembrava che dovessero essere in paradiso, e non lo erano. Quello che è successo è stato che milioni di persone, perché è migliorata la situazione economica -in gran misura per i prezzi delle commodities e anche per le politiche sociali dei governi di Lula e Dilma-, hanno incominciato ad uscire dai loro quartieri, ad andare all’università, a muoversi. E la città è scoppiata. Il sistema dei trasporti non era sufficiente. I settori popolari si sono fortemente attivati e anche le classi medie, per differenti motivi. Non in tutti i paesi ma sì in vari di quelli.

La frattura geopolitica

Le due gambe della governabilità, prezzi alti delle commodities e la pace sociale, si sono incrinate in pochissimo tempo. Siamo in una situazione di ingovernabilità. Mi faccio la domanda: che periodo stiamo vivendo in America Latina? Tendo a pensare che quello che più conosco è il periodo delle indipendenze: la classe dominante al governo nei vicereami e una classe creola emergente che cercava di sostituirli. E certamente ambedue volevano il sostegno dei settori popolari per sconfiggere l’altro. Questi settori piuttosto appoggiarono i creoli, ma non ebbero in quel momento un proprio progetto capace per imporsi. Siamo in una situazione abbastanza simile: le vecchie borghesie sono in crisi, appaiono settori emergenti, una poliborghesia che cerca di sostituirli cercando il sostegno dei settori popolari che lottano per avere il proprio spazio. Questa è una delle lotte fondamentali di oggi.

Quello che voglio dire con le indipendenze è pensare a lungo termine. Non pensare alle congiunture, pensare a 30 e 40 anni in avanti, e quello a cui stiamo assistendo è una profonda riconfigurazione del nostro continente dove la Cina si riposiziona come paese sommamente attrattivo come mercato della soia, dei minerali, come paese investitore, indipendentemente dal colore dei governi. Macri riattiva e rende più profondi gli accordi con la Cina, principale mercato. E la Cina è disposta a investire nell’energia nucleare e allora in questa riconfigurazione mondiale appare come un paese chiave in America del Sud. Qui voglio introdurre un testo dell’economista Oscar Ugarteche, peruviano, che analizza gli investimenti e le esportazioni di tutta l’America Latina: c’è una frattura all’altezza dei Caraibi. I Caraibi, il Centroamerica e il Messico sono una zona di forte presenza USA che aumenta sempre più: l’80 per cento delle esportazioni del Messico vanno negli USA. Il Sudamerica guarda verso la Cina e alcuni paesi come il Venezuela anche verso la Russia. Questo economista conclude: credo che ci sia una guerra in nuce, per la prima volta vedo possibile una guerra il cui epicentro potrebbe essere il Venezuela che è quello in cui c’è la linea di frattura. Ha grandi esportazioni di petrolio verso gli USA, ma i suoi investimenti sono cinesi e il suo armamento è russo. E si domanda: perché la Colombia ha chiesto di entrare nella NATO? Che linee di frattura stanno avvenendo lì?

Riforma del lavoro e l’adeguamento

L’assoggettamento lavorativo fa parte di un adeguamento, di un’ondata conservatrice molto forte che è incominciata soavemente negli ultimi anni del governo di Dilma. Un andare a destra che si approfondisce brutalmente con questi governi. Quello da un lato. Dall’altro, la classe imprenditoriale e le destre comprendono di dover togliere queste pastoie legali che danno potere ai lavoratori. Nel caso del Brasile l’età di pensionamento è ancora di 60 anni, è molto bassa, e i lavoratori statali hanno una serie di privilegi pensionistici che vogliono eliminare. Bisogna tener conto che i deficit fiscali sono grandi perché aumenta il salario minimo, le politiche sociali e i benefici, e simultaneamente c’è la crisi economica: i prezzi delle esportazioni sono caduti, bisogna chiudere i conti e normalmente si chiudono in questo modo. C’è una forte depressione di settori imprenditoriali che comprendono di averne bisogno per recuperare più che i loro tassi di profitto -perché mai è stato toccato-, è la loro libertà di imprenditori. E così lo stato ha soprattutto bisogno di attaccare i funzionari pubblici. In Argentina c’è stata una pulizia di funzionari perché bisogna ridurre.

La riforma del lavoro colpisce moltissimo i lavoratori, ma molto gli statali. E lo stato ha bisogno di abbassare quello. Quello è un tema. Per esempio i sistemi pensionistici bisogna muoverli: non può essere che in Spagna sia di 67 anni e in Brasile di 60. Va molto bene che sia di 60, ma i deficit sono molto alti e le pensioni si stanno muovendo da tutte le parti. E questa ondata conservatrice punta a quello: a ridurre diritti del lavoro, pensionistici, su tutti i terreni per ridurre più che altro la spesa dello stato, meno in polizie e armamenti.

Quello che non si tocca

Il problema di fondo non ha a che vedere con la massa salariale né con l’invecchiamento della popolazione ma con il fatto che l’1 per cento dei ricchi accumula sempre più rendite e, a partire dal 2008, hanno accumulato molto di più. Anche economisti neoliberali come Paul Krugman e Joseph Stiglitz, stanno prospettando che questo livello di concentrazione della ricchezza non solo fa sì che l’economia sia insostenibile ma che la società sia insostenibile. Stiamo giungendo a livelli di disuguaglianza simili a quelli che ci furono nell’Età Media, prima di quelli che ci furono nella società industriale. Quello è il problema numero 1 e il tema è fino a che punto c’è volontà politica di coloro che potrebbero averla per toccare quel 1 per cento. Non c’è.

Nel caso del Brasile mai c’è stata. Il Brasile è uno dei grandi paesi più diseguali del mondo. Ci sono solo 4 o 5 paesi più diseguali del Brasile. È anche una disuguaglianza in cui la disuguaglianza di reddito si sovrappone ad una eredità coloniale brutale dove le medesime famiglie, come il caso della Colombia -che insieme al Brasile non hanno mai avuto una riforma agraria-, che hanno beneficiato della schiavitù, sono oggi nel nucleo del potere.

Non è solo disuguaglianza economica -che è ciò che ha l’Europa- ma disuguaglianza razziale e questo implica una profonda aggressione patriarcale sulle donne perché il colonialismo ha nelle donne povere uno degli assi di violenza più brutali. Quello che in genere hanno fatto i governi progressisti è stato ripartire meglio la torta salariale tra i salari alti e quelli più bassi. La disuguaglianza si è abbassata se guardi la massa salariale, ma se guardi la rendita come nello studio di Thomas Piketty sul 1 in base alle imposte e alla rendita che pagano, rivela che la disuguaglianza non solo non si è abbattuta ma è aumentata. E in quel pasticcio siamo messi.

Odebrecht

Sorge negli anni ’30 nel nordest. È una famiglia di emigranti tedeschi. Marcelo Odebrecht -che è detenuto- è la terza generazione. È un’impresa che sorge con lo sviluppismo brasiliano e si rafforza molto durante la dittatura. Ma nei 70, da quando emerge il nuovo movimento sindacale, la Odebrecht finanzia anche le campagne elettorali del PT. In Brasile, la borghesia brasiliana -se si può chiamare così-, è composta da varie grandi imprese di costruzione (Odebretch, Camargo Correa, OAS, alcune dell’acciaio, JBS, ecc). La Odebretch è la più importante di tutte nelle costruzioni. Ha affari in 100 paesi, 200 mila lavoratori. Solo in Angola ne ha 25 mila. Allora, quando Lula giunge al governo stabilisce un’alleanza con questa borghesia. Quella è una parte che dice che in America del Sud le campagne elettorali non sono finanziate dallo stato ma dalle imprese private e lì ci sono negoziati abbastanza gravosi. Ma questo è la metà della storia: l’altra metà è che nel 2008 Lula firma un accordo militare con la Francia affinché il Brasile costruisca in un arsenale sottomarini nucleari. Solo 5 paesi hanno sottomarini nucleari: USA, Francia, Inghilterra, Cina, Russia. Ora l’India e il Brasile. Allora, la fabbricazione in alleanza con la Francia e con trasferimento di tecnologia viene data alla Odebrecht. Allora: tutte le imprese del Brasile sono corrotte ma Odebrecht è nell’occhio del ciclone e io credo che lì ci sia un interesse di qualche agenzia statunitense.

Estrattivismo

La lotta alle megaminiere è molto forte. Da quel plebiscito ad Esquel fino ad oggi si sono ottenute molte vittorie, in Argentina, in Cile, Perù, Colombia. A Cajamarca, nel nord del Perù, c’è una miniera d’oro e lì c’è una resistenza molto interessante delle comunità. Lì è messa la Odebrecht. Credo che il capitalismo e il neoliberalismo siano estrattivi. Bisogna avere molta volontà politica per uscire dall’estrattivismo.

Il modello estrattivista ha una grande capacità di lubrificare l’economia perché per un governo che evita i disagi è un bene avere all’inizio del mese una cassa per pagare salari. Il modello estrattivista, inoltre, ha una grande capacità di corruzione e di coercizione, è molto addentro nei nuclei fondamentali della società: nella stampa, nella politica, nelle università. Ciò che voglio dire è che disarmare il potere estrattivista non sarà fatto dall’alto ma dal basso. È la mia immagine oggi: non vedo nessun governo che abbia la volontà politica di uscire dall’estrattivismo.

L’estrattivismo non solo è un’economia, è una società, una relazione sociale estrattiva, funzionale al narcotraffico, ai femminicidi, a tutta questa situazione di saccheggio che viviamo nelle città. È un modello di società totale che è ancora forte e se usciremo da esso è perché la gente riesce a bloccarlo. Non crea lavoro: il modello industriale creava milioni di posti lavoro e milioni di consumatori. Chi consuma oro, rame, soia? L’estrattivismo crea lavoro e integra la metà della popolazione, l’altra rimane fuori. Quella è la vittima. Nell’epoca industriale tu avevi famiglie intere che giungevano dalla campagna nei paesi e durante la vita l’uomo e la donna avevano un lavoro in ascesa. L’uomo finiva meccanico, tornitore, una professione, e i figli potevano aspirare a studiare, all’università. Oggi il riscatto dei figli è minore: 10 anni di surplus e si continua ad avere povertà. È scandaloso ciò che si vede.

Movimenti

In generale i movimenti stanno attraversando un momento molto complesso. Sono abbastanza debilitati, divisi e disorientati. Uno può dire che a Conga ci sia una forte resistenza all’attività megamineraria, ma è locale: quando si è tentato un movimento contro le mega miniere sulla scala del Perù, non funziona. Qui c’è una resistenza, un’altra ad Arequipa, ma non c’è un movimento nazionale. In Argentina ci sono resistenze coraggiose e molto forti, ma non riesce ad essere strategia. C’è una tendenza molto forte a che la lotta diretta non possiamo trasferirla sul terreno elettorale. Tutto sbocca in elezioni, nelle istituzioni. Ci sono forme di lavoro che non funzionano più, continuare a costruire sulla base di piani non ha senso, quella costruzione è molto fragile. Nonostante ciò ci sono nuovi movimenti che sorgono. In Argentina, un esempio: gli accampamenti sanitari. È una esperienza molto interessante.

Ci sono due nuovi movimenti molto forti in America Latina: quello delle donne, dove l’Argentina è un epicentro fondamentale con tutto un attivismo culturale scenico molto forte con il Ni Una Menos, gli Incontri. Ha una tale forza che nei movimenti di base stanno discutendo perfino gli uomini. L’altro movimento forte è quello nero, l’afro, dove in Colombia ha avuto una mobilitazione molto forte a Buenaventura, e in Brasile, dove c’è un nuovo attivismo nero nelle favelas, molto difficile perché lì c’è la polizia militare.

Narco

Quando in Colombia ha vinto il No alla Pace ha comportato un’alleanza di latifondisti, narco-uribismo e pentecostali. Viviamo situazioni come quelle. In Messico ci sono regioni intere che sono governate dal narcotraffico in alleanza con i militari e gli imprenditori. Quando si spiegava Ayotzinapa, nello stato del Guerrero, i compagni messicani elencavano: nel Guerrero ci sono molte coltivazioni di papavero (con il quale si fa l’eroina, le coltivazioni le protegge l’Esercito, i porti da cui entrano i precursori la Marina, e il lavoro lo fa il narco. Questi ragazzi hanno avuto la disgrazia di andare in un autobus che portava droga. Non lo sapevano. A questo livello di decomposizione, il Messico è il punto più alto. Il consigliere per la sicurezza di Peña Nieto si chiamava Oscar Naranjo, capo delle polizia colombiana. Ossia c’è la politica di scambiarsi saperi, per quello credo che ci sia il narco. Il narcotraffico si può sbagliare, ma quando si tratta di uccidere popolazione civile e movimenti vede le cose molto chiaramente.

L’educazione del sistema è ogni volta più deficitaria. Ci sono soldatini vittime del narco. Tratta, prostituzione, violenza diretta, e quello in Messico è visibile in modo molto chiaro.

È nostra responsabilità lavorare con quei futuri soldatini del narco. Se ci fosse un forte progetto rivoluzionario sarebbero con noi. È molto difficile, ma che facciamo? Sono carne da cannone della Bonaerense (Polizia di Buenos Aires, ndt), del grande narcotraffico, dei media e della classe media. Sono da scartare. Lì c’è una nostra responsabilità politica di primo livello.

Propri spazi

Bisogna creare propri spazi, e difenderli. Creare qualcosa di nuovo, e quel mondo nuovo renderlo sufficientemente ricco e ampio affinché tutti abbiano un posto. I bambini, le donne, i giovani, i diversi colori. E non è facile difenderli. C’è una costante: creare spazi, renderli belli, forti, diversi. E farli durare nel tempo. Ci sono due chiavi fondamentali: una durare nel tempo e per quello bisogna tessere in base all’etica, non in base a quanto è immediato. Non ci sono scorciatoie. E secondo, la chiave dei progetti è il ricambio generazionale. Giunge sempre un momento in cui bisogna passare la posta agli altri e quello è fondamentale: la metà degli zapatisti hanno meno di 20 anni. È un movimento con un futuro, e non sfilano più con armi e passamontagna. Fanno cose artistiche. Vanno creando cose nuove, teatro, musica e non mostrano i ferri. Il ricambio è reinventarsi come collettivo. E quel momento di tornare a nascere, è molto importante. È molto bello.

20/07/2017

lavaca

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl ZibechiCambiar el mundo desde arriba” pubblicato il 20-07-2017 in lavacasu [http://www.lavaca.org/notas/cambiar-el-mundo-desde-arriba/] ultimo accesso 01-08-2017.

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