La fine di un sogno


Raúl Zibechi

L’ex presidente del Brasile Lula Da Silva, accusato dal giudice federale Sergio Moro di “corruzione passiva” e riciclaggio di denaro, è stato condannato a 9 anni di prigione che ancora non sono stati resi esecutivi. Il contesto brasiliano, il ruolo delle grandi imprese e degli Stati Uniti.

La condanna da parte della giustizia dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, è la conclusione finale dell’offensiva contro il progetto di trasformare il Brasile in una nazione indipendente dagli Stati Uniti e con un propria proiezione sullo scenario regionale e globale. Altri due arieti di quella strategia sono da mesi in prigione: Marcelo Odebrecht, direttore dell’impresa che costruisce sottomarini, e il vice-ammiraglio Othon Luiz Pinheiro da Silva, il “padre del programma nucleare” brasiliano.

Il progetto Brasile Potenza ha una lunga storia che risale, come minimo, al decennio del 1950 quando c’era il secondo governo di Getúlio Vargas (1951-1954). Nella sua lettera-testamento, Vargas ricorda che veniva incalzato dalle pressioni di Washington, che non accettava, tra le altre cose, la sua scelta di uno sviluppo autonomo del settore nucleare. “Ho lottato contro la spoliazione del Brasile”, scrive poco prima di spararsi al cuore, il 24 agosto 1954.

Poco dopo, nel 1959, il presidente sviluppista Juscelino Kubitschek (1956-1960) denunciò “il FMI e i nemici del Brasile indipendente di cercare di forzare una capitolazione nazionale, allo scopo di far cadere in mani straniere l’industria”, secondo quanto afferma Alberto Moniz Bandeira nella sua opera Presenza degli Stati Uniti in Brasile (Corregidor, 2010, p. 453).

Un decennio dopo, le ambizioni dei militari brasiliani sono state plasmate dal generale e geopolitico Golbery do Couto e Silva. Il militare scrisse un’opera decisiva, Geopolitica del Brasile (México, El Cid, 1978), dove disegna il ruolo del proprio paese nella regione: alleanza con Washington contro il comunismo, espansione interna verso l’Amazonia ed esterna verso il Pacifico per compiere il “proprio destino manifesto”.

Difendeva l’idea che il Brasile dovesse “ingrandirsi o perire”, politica che è stata la bussola del principale think tank del Sud, la Scuola Superiore di Guerra, dove si sono formati i maggiori quadri della borghesia Brasiliana. Tra loro Marcelo Odebrecht, che nella rivista dell’Associazione dei Diplomati della ESG ringraziava, solo sei anni fa, la vocazione e l’impegno delle forze armate “nella formazione dei dirigenti pubblici e privati”, nello stesso momento in cui metteva in evidenza che le loro dottrine “hanno effettivamente contribuito allo sviluppo nazionale”.

Non è un caso che le grandi imprese brasiliane (Camargo Correa, Odebrecht, Gerdau, Votorantim, Andrade Gutierrez, tra le altre) siano cresciute sotto l’ala delle grandi opere del regime militare (1964-1985).

Il principale progetto nucleare del Brasile, il Programma Nucleare della Marina, fu creato nel 1979 e in appena un decennio riuscì a dominare il ciclo completo dell’arricchimento dell’uranio con centrifughe sviluppate nel paese. La reazione di Washington fu così dura come quella che nel decennio del 1950 favorì l’offensiva contro Vargas. Il paese fu posto nella “lista nera” per impedirgli di importare materiali per il suo programma nucleare.

Il vice-ammiraglio Othon era il principale gestore del programma, ragione per cui per vari anni fu “monitorato da agenti della CIA”, secondo media vicini ai militari. Il suo prestigio era così grande che ottenne otto medaglie militari. Nel 2015 fu arrestato nell’ambito dell’Operazione Lava Jato, accusato di corruzione e storno di fondi attraverso il suo incarico di direttore dell’Eletronuclear, l’impresa statale che costruisce e realizza le centrali nucleari.

Il programma nucleare è stato riattivato sotto il governo di Lula, dopo il blocco del decennio privatizzatore. Nel 2008 furono scoperti i giacimenti di petrolio off shore, chiamati pre-sal, fatto che portò il governo a stabilire un accordo con la Francia per la costruzione del primo sottomarino nucleare, destinato a difendere “l’Amazonia Azzurra” da dove proviene il 90% della produzione petrolifera.

L’Odebrecht è stata l’impresa designata da Lula, senza gara, per costruire l’arsenale e una base navale per sottomarini nella baia di Sepetiba, a Rio de Janeiro. La fiducia di Lula nell’impresa è dovuta alle ampie relazioni tra la famiglia Odebrecht e il dirigente del PT, che iniziarono agli sgoccioli della dittatura quando spuntava come dirigente sindacale.

Marcelo, il CEO dell’impresa destinata a compiere i sogni di una difesa indipendente da Washington e della multinazionale privata più forte del paese, è stato arrestato appena otto settimane prima del vice-ammiraglio Othon. Hanno condannato l’impresario a 19 anni, anche se dopo ha negoziato una “delazione premiata” che riduce la sua pena. Othon ha avuto la maggiore condanna che hanno avuto i 144 incarcerati per il Lava-Jato: 43 anni di carcere.

Sotto i due governi di Lula (2003-2010), il Brasile ha posto le basi dell’integrazione regionale attraverso la creazione dell’UNASUR e della CELAC, senza la presenza degli Stati Uniti, ed è stato un membro rilevante dei BRICS. Ha realizzato enormi opere infrastrutturali, alcune nella stessa direzione dei governi militari, come la diga di Belo Monte, e ha potenziato come nessun altro governo democratico il rinnovamento delle forze armate.

Le tre biografie hanno un punto in comune: da ambiti ben distinti, hanno lottato per un medesimo progetto di grande potenza per il Brasile, fatto che ha inevitabilmente dato fastidio agli Stati Uniti. Hanno sottostimato l’impero, probabilmente per aver avuto fiducia nella “democrazia”.

I grandi imprenditori sogliono essere corrotti, al contrario non arriverebbero ad acumulare tanta ricchezza. I militari sono il peggiore apparato dello stato e su questo c’è poca discussione, salvo per coloro che sognano soldati democratici o socialisti.

Non credo che nessun presidente in nessuna parte del mondo sia innocente, per qualche motivo giungono a questo posto. Si può essere corrotto rubando o “solo” facendo promesse che, sanno, mai rispetteranno.

Nel caso del Brasile, la questione non è la corruzione, ma la necessità di demolire un progetto di lungo respiro che sognava di modificare la relazione geopolitica di forze, ma senza arrischiarsi a combattere.

12/07/2017

lavaca

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl Zibechi, El fin de un sueño” pubblicato il 12-07-2017 in lavacasu [http://www.lavaca.org/notas/el-fin-de-un-sueno/] ultimo accesso 17-07-2017.

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