È possibile cambiare il mondo nella tormenta?


Raúl Zibechi

Anche se il pensiero della sinistra antisistema, ha da sempre accolto le crisi come una benedizione giacché danno la possibilità di cambiare il mondo, il pragmatismo in voga ha portato a temerle e rifiutarle perché possono mettere in pericolo le “conquiste” conseguite in periodi di pace sociale.

I modelli che hanno dominato il pensiero critico egemonico dal 1945, sono stati centrati sulla lenta e persistente accumulazione di forze che, troppo spesso, si è concretizzata nell’aumento delle votazioni ricevute dai partiti di sinistra. Il PC italiano fu uno degli esempi più importanti di questo pensiero, ma non l’unico.

Ricordare solo che le rivoluzioni trionfanti, come la cubana, furono possibili perché lavorarono controcorrente rispetto a questo modello, così come buona parte dei processi del continente. Nonostante ciò, una volta che si calmavano le acque turbolente delle rivoluzioni, tornavano ad imperare quelle pratiche per cui tutti puntavano a cambiamenti lineari e accumulativi. Il predominio delle logiche elettorali è la conseguenza, non la causa, di questo pensiero.

Con le crisi in corso, il modello egemonico ha incominciato a mostrare i propri limiti. Le ragioni del suo deterioramento possono essere riassunte in una manciata di cause principali, e parecchie locali e circostanziali che superano le possibilità di questo articolo.

La prima è che il pensiero critico dell’accumulazione di forze (e della “correlazione di forze”, che si tengono per mano), si è consolidato nel periodo di più estesa stabilità e maggiore prosperità del capitalismo, i cosiddetti anni d’oro. Anche se nella periferia del sistema-mondo ci sono state guerre e rivoluzioni, nel centro la stabilità ha permesso di pensare ad una accumulazione lineare di forze senza maggiori rotture né conflitti, idee che erano anche avallate dagli interessi dell’Unione Sovietica che dava la priorità alla stabilità per la crescita del cosiddetto “campo socialista”.

La seconda ragione del predominio di questo pensiero poggia sul rafforzamento delle burocrazie di partito e sindacali, che hanno bisogno della stabilità per riprodursi e mantenersi in alto nella piramide delle forze popolari e di sinistra. Queste burocrazie hanno avuto un’enorme influenza giacché contavano su potenti media per far giungere i propri messaggi e la propria influenza politica.

Le democrazie elettorali in società con relative libertà di riunione, opinione e organizzazione, hanno agito come uno specchio nel quale tutte le sinistre hanno voluto vedersi, in un chiaro caso di eurocentrismo giacché si rischiava che i paesi della periferia avrebbero seguito il cammino di quelli centrali. Seguire le posizioni dei grandi partiti comunisti del mondo, anche quelli del terzo mondo, fu un esempio di subordinazione e di mancanza di autonomia.

Anche se esistono altre ragioni addizionali che spiegano l’egemonia conseguita dal pensiero centrato sulla stabilità e sull’accumulazione di forze, è necessario riflettere su come la crisi in corso abbia compromesso le sue basi materiali e soggettive.

Il fatto più evidente è che è terminato il lungo periodo di stabilità e le democrazie hanno dimostrato che, da un lato, sono sfociate in modi oligarchici di dominio del capitale finanziario e delle multinazionali legate agli Stati Uniti/Wall Street. E, in secondo luogo, che queste medesime democrazie solo elettorali hanno mostrato i limiti nel difendere le “conquiste” in periodi di turbolenze e di dominio del grande capitale.

A cominciare da queste constatazioni, si accumulano le domande. Come ci organizzeremo quando i più elementari diritti non sono rispettati e la democrazia convive con il genocidio di quelli in basso? Come cambieremo il mondo quando la nave è in permanente pericolo di affondare, quando i venti e le tormente ci accecano la vista e non ci permettono di sapere, se uno vuole, dove siamo e verso dove andiamo? Insomma, come lottare per l’emancipazione in mezzo alle peggiori condizioni?

La prima cosa, è che non abbiamo risposte. Bisogna inventarle sapendo che buona parte di quanto appreso non serve più. Questo ci conduce direttamente alla necessità di essere autonomi per sopravvivere nella tormenta.

La seconda cosa, è che dovremo aver fiducia in altre “misurazioni”, in altri modi di muoverci. La cosa principale, è che non è sufficiente resistere e lottare ma che dobbiamo creare/costruire qualcosa di nuovo, il mondo nuovo o quello che possiamo costruire in questa direzione. La metafora biblica dell’Arca di Noè può servirci da riferimento: uno spazio/territorio nel quale sentirci sicuri, per costruirci collettivamente  come differenti al capitalismo, e da lì continuare resistendo e unendoci alle altre resistenze.

Questo è, a mio modo di vedere, una parte di quello che ci insegna lo zapatismo. Non possiamo resistere alla tormenta e anche cambiare il mondo se non costruiamo il nuovo sulla base dell’organizzazione collettiva. Se questo qualcosa è piccolo o grande, non è in questo momento la cosa più importante, ma la solidità delle travi e la saldezza degli ancoraggi (etici) su di noi che edifichiamo il mondo nuovo.

2 gennaio 2017

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl Zibechi, ¿Es posible cambiar el mundo en la tormenta?” pubblicato il 02-01-2017 in Desinformémonossu [https://desinformemonos.org/posible-cambiar-mundo-la-tormenta/] ultimo accesso 20-01-2017.

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