Crisi a Chiloé: sintomo della medesima malattia


Aldo Torres Baeza e Rodrigo Díaz Plá

Oggi, al sud del nostro conflitto marittimo, varie comunità si sollevano chiedendo dignità, hanno la forza della pioggia che irriga e rende gradevole l’arcipelago, e il canto del vento surweste che solleva mareggiate e sussurra il canto della Pincoya. Questa dignità, nel suo senso più ampio, germoglia in ogni barricata, in ogni canto e pignatta comune che può essere vista come una grande riunione per un Chiloé che “è privatizzato”.

Ma, supporre che le cause di questa sollevazione di dignità chilote siano solo una conseguenza dell’estesa marea rossa che si è sviluppata o per il versamento di migliaia di tonnellate di salmoni morti nell’Oceano Pacifico, è anche negare la storia recente di un Chiloé che è stato sistematicamente saccheggiato, ugualmente come tutto il resto del paese, trasformandosi in un altro laboratorio del modello di sviluppo produttivo, dove i profitti e gli utili vanno alle imprese e la “sgocciolatura” è ciò che si aspettano le migliaia di lavoratori delle loro industrie. Questo modello di crescita, che consiste nello sradicare alberi, estrarre pesci e schiacciare pietre, non è altro che una delle tante sfaccettature che ha trovato il capitalismo di tipo cileno, che non possiede lo spirito di Weber, che non è il benefattore di Keynes, è un capitalismo estrattore, mono-produttore e redditiere, il capitalismo più devastatore e sporco del mondo.

È risaputo che per decenni Chiloé si è caratterizzato per la predominanza di un’economia familiare tradizionale mista di autoconsumo, molto per la sua alta ruralità; per il flusso migratorio della sua popolazione in cerca di lavoro verso la zona sud-patagonica del Cile e dell’Argentina; e per l’esistenza di piccoli paesi e casolari collegati tra loro da rotte marittime. Nonostante ciò, durante gli ultimi trenta anni Chiloé si scontra con un differente panorama dove si affermano nuovi ed importanti cambiamenti nella struttura socio-economica dell’Arcipelago, che prolungano il continuum di trasformazioni (decomposizione/conservazione) del sistema economico delle unità familiari dell’isola. Questi ultimi cambiamenti sono stati principalmente determinati dall’introduzione di un modo di produzione capitalista di taglio neoliberista, che si traduce nell’arrivo dell’industria acquatica nel territorio insulare. In relazione a ciò, si deve osservare che le dinamiche di sviluppo economico modernizzatore a Chiloé hanno risposto, come in molte altre parti del mondo, ad un accelerato processo di industrializzazione che si avvale di specifici mezzi e modi di produzione per il proprio consolidamento. L’industrializzazione, in questo senso, non è altro che un modo tecnico di produzione che richiede molto capitale concentrato, come dire, di molto impiego di lavoro per produrre mercanzie; richiede per il proprio sviluppo dell’interazione di due istituzioni: la proprietà privata e il nazionalismo, giacché la prima esiste solo dove lo stato è abbastanza forte per ottenere il rispetto delle leggi (Russel, 1962).

È libero il nostro libero mercato?

È realmente libero un mercato che non ha mai presentato nessuna delle caratteristiche che sono presupposte dalle sue teorie, come dire: attori informati, in un mercato libero e competitivo, oltre ad un sistema di prezzi che equilibri offerta e domanda. In Cile, l’installazione del modello, che mantiene Chiloé nello stato in cui è oggi, ha avuto bisogno dello schock e della crisi, ha avuto bisogno di disorientamento e torture, ha avuto bisogno, in definitiva, di annichilire l’opposizione politica. Più che un libero mercato, si è imposto un “capitalismo di amici”, o quello che Naomi Klein descriveva come “Corporativismo”, come dire, la fusione tra lo stato ed una élite economica. La crisi nel sud trova la sua genesi nell’introduzione di questo modello. L’industria del salmone, anche se nel paese ha dei precedenti di apparizione quando inizia il XX secolo, si installa fortemente a Chiloé durante il periodo della dittatura militare ed è il frutto dall’internazionalizzazione dell’economia nazionale verso i mercati globali.

Questo non è successo solo qui, ma è stato un processo a livello nazionale che ha colpito diverse industrie (forestale, vitivinicola, peschiera, ecc.). Nel decennio del 1980 l’irruzione dell’industria acquicola era evidente, poiché era aumentato il numero di imprese e centri di allevamento, veniva creata l’Associazione dei Produttori di Salmone e Trote del Cile ed erano iniziate le esportazioni negli Stati Uniti dove il paese arriva a raggiungere il secondo posto a livello mondiale, dopo la Norvegia (Rámirez, et al., 2009).

A Chiloé si installano le zattere per l’allevamento in cattività del salmone nei canali, nelle coste e nel mare interno di praticamente tutto l’arcipelago. L’alimentazione di questi pesci durante il processo di crescita e gli escrementi che questi stessi producono ha generato un danno ambientale all’ecosistema marino che si traduce nella sparizione e/o diminuzione di altre specie, danneggiando così le popolazioni umane che da centinaia di anni si sono dedicate alla pesca artigianale per l’autoconsumo e la sua commercializzazione. Ma, tanto o più importante in quanto a trasformazioni socio-economiche e culturali, con l’industria del salmone si creano nuovi mercati del lavoro che modificano le condizioni di lavoro delle unità familiari. Molti di loro migrano verso questo nuovo settore, abbandonando e subordinando la pratica di certe attività economiche a questo nuovo sistema. Nonostante ciò, l’introduzione dell’industria mostra anche le sue proprie debolezze e instabilità. Nell’anno 2008 appare il virus ISA, per cui si chiudono gli impianti di allevamento e lavorazione del salmone, e si crea una nuova condizione per i lavoratori provenienti dal settore rurale: il licenziamento. Questo panorama viene a far parte degli interrogativi e delle problematiche su come le trasformazioni socio-produttive derivate dall’introduzione dell’industria del salmone e della sua successiva crisi, a causa del virus ISA, abbiano fortemente colpito i nuclei familiari dell’isola e, in particolare, le modalità di organizzazione delle loro relazioni sociali di produzione riguardo il lavoro. Da quanto sopra si può pure pensare che questo possa trarre con sé anche nuove forme di concepire il tempo e lo spazio sociale da parte di questi attori locali.

Già Marx diceva che nessun modo di produzione trascende il successivo senza che si sia esaurito. Ossia, il capitalismo cadrebbe quando si fosse già ramificato in tutti i settori della vita umana. Rosa Luxemburg diceva che, finché il capitalismo continuerà ad essere aperto ed esisteranno paesi sottosviluppati, non si realizzerà la predizione di Marx. E aveva ragione. Qui, in Cile, il capitalismo trova nuove sfaccettature, si muove, come un cancro, in tutti gli ambiti della vita umana, tutti i sintomi di questo paese provengono dalla stessa malattia che, mentre distrugge la natura, seduce con nuovi televisori per informarci, da Santiago, della catastrofe. Qui non c’è un portafoglio facile, ma sì, condizioni ideali per devastare comunità, creare monopoli e avvelenare la terra, l’aria e l’acqua che cade e cade sulle comunità chiloti in rivolta. In Cile si avvera la predizione di Galeano: come Dio, il capitalismo ha la migliore opinione di sé stesso, e non dubita della sua stessa eternità.

16-05-2016

GIPART (Gruppo di Ricerca sulla Pesca Artigianale: http://gipart.wordpress.com

Tratto da Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Aldo Torres Baeza e Rodrigo Díaz Plá, “Crisis en Chiloé: síntoma de la misma enfermedadpubblicato il 16-05-2016 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=212305] ultimo accesso 18-05-2016.

 

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