Migliaia di donne hanno sfilato in tutto il Messico contro le molestie e la violenza machista per reclamare giustizia per i casi di femminicidio impuniti. Il ruolo delle reti sociali e tutto quello che ha gridato la strada. Un’altra cronaca di Eliana Gilet.
Le ragazze sono contente e anche sorprese. Il Corteo contro le violenze machiste ha avuto la sua replica e le sue manifestazioni in più di 40 città messicane. A Guadalajara, ad Aguas Calientes, a Nayarit e a Ciudad Juárez la lettura è comune a presenta alcune sfumature. Desinformémonos ha parlato con delle donne di queste città che, con distinti bagagli, hanno partecipato all’organizzazione dei cortei nelle proprie località.
Una medesima domanda è stata fatta a tutte: A chi era diretta la protesta? Agli uomini affinché smettano con la violenza o alle donne affinché si sollevino perché non sono più sole?
Nacori, da Ciudad Juárez, racconta che sentono di aver realizzato l’obiettivo. Alla convocazione della mobilitazione nazionale, Ciudad Juárez, dal decennio dei 90 icona delle mobilitazioni contro i femminicidi, non poteva mancare.
Nonostante ciò, non c’era stata, da molto tempo, una manifestazione delle dimensioni di quella di domenica 24 aprile.
E la crescita è avvenuta con quelle che si sono avvicinate da sole, queste che mai erano state viste nelle strade.
“Se dovessimo definirle, sarebbero donne sole, intorno ai 30 anni, lavoratrici o studentesse delle superiori – continua Nacori -, che non necessariamente sono passate per situazioni estreme di violenza, ma che hanno sentito la necessità di stare in strada, appoggiando quelle che sì le avevano avute, manifestando. Una delle parole d’ordine del corteo ‘Se toccano una, rispondiamo tutte’ è diventato palpabile”.
L’idea del corteo è partita da una ragazza di Tuxtla Gutiérrez, la capitale dello stato del Chiapas, a partire da un commento pubblicato in una rete sociale. La violenza avanza, dobbiamo fare un corteo nazionale, è stata la protesta della compagna. Questo grido è stato ripreso nel nord e poco a poco è andato prendendo corpo. “Ora siamo molto stanche di tutta la violenza a cui ci stiamo abituando troppo. Al punto che a volte non ci rendiamo conto di essere aggredite”.
La rete che è stata predisposta per l’organizzazione del corteo ha fissato alcune modalità per l’organizzazione. Per partecipare, si sollecitava che le donne, anche se facevano parte di qualche collettivo, lo facessero a titolo personale, che parlassero per sé stesse, per il proprio desiderio di manifestare e non per un mandato di qualche collettivo. Questo è stato il tono della partecipazione nelle quattro città menzionate più sopra ed è qualcosa che tutte insistono nel sottolineare.
“Il compito ci ha avvicinate molto”, dice un’altra donna. “Personalmente non avevo mai partecipato all’organizzazione di un corteo come questo ed è stato molto arricchente. Ha fatto anche divampare una serie di dibattiti e riflessioni di gruppo, che avrebbero messo in comune il sentire di tutte e di ciascuna, da un’ottica personale e non ‘organizzativa’”.
A chi parlano
A chi parlava il corteo di Juárez? “Sì, pensiamo che la protesta dovesse essere fatta verso gli uomini e non verso il governo, verso i ‘machi’ per non ferire le nuove mascolinità. Era una richiesta ai maschi violenti affinché si metta fine alle aggressioni. Allo stesso momento, era un atto di sorellanza tra donne, con le compagne che sono state violentate. Qui sto, e di fronte a ciò che succede vado a mettere il corpo per te e questo implica che anche tu lo farai per me. Abbiamo bisogno di essere noi stesse quelle che dicono quanto ci fa male”.
Anche per Citali, a Guadalajara, è stato un corteo riuscito. “Cominciamo ad organizzarci a partire dall’amicizia, dall’accompagnamento nelle situazioni difficili. È stato qualcosa di molto coerente e credo che per questo molto prezioso. C’è stato un rapporto molto forte, un’unione tra tutte. Eravamo già legate attraverso le reti sociali che organizziamo, ma era il momento di proiettarlo verso l’esterno”.
Anche a Guadalajara il messaggio forte è stato “non siamo sole” e ha contato anche sulla partecipazione di molta gente che non si era mai organizzata e che aveva voluto esprimersi.
Il problema c’è stato con alcune organizzazioni e alcuni membri di partiti politici che hanno voluto capitalizzare a proprio beneficio questa necessità delle donne di scendere nelle strade. Nonostante ciò, da parte del coordinamento nazionale della rete, si era stato reso esplicito che ogni partecipazione sarebbe stata fatta a titolo personale, che nessun collettivo, neppure femminista, avrebbe messo il proprio distintivo sulle convocazioni e sulle mobilitazioni. Ma hanno dovuto abbassare alcuni cartelli che non avevano rispettato questo accordo.
A Guanajuato l’attività è durata tutto il giorno: un corteo esteso e dopo, una giornata culturale nel pomeriggio con ogni tipo di attività.
“È una lotta per renderci visibili come donne, come causa in sé stessa”, dice Citali. “Soprattutto, di fronte al protezionismo e alla verticalità che viviamo nel quotidiano. Questo bisogna contestare. Non è solo un patriarcato che sostiene che gli uomini stanno sopra, è anche un capitalismo che mette in alto i partiti, è la medesima logica”.
Citali offre un’immagine potente per spiegare cosa è stato quello che da domenica è incominciato a nascere in tutto il Messico: “Facciamo le prove e gli errori, come gli uomini, che da bambini hanno l’opportunità di giocare e di sporcarsi e gridare. Stiamo prendendo la bacchetta per la prova, e l’errore e le risposte sono organizzative, cercando i modi che ci si adattano meglio”.
La forma organizzativa che hanno sviluppato è una rete orizzontale, che cerca il consenso nel prendere le decisioni. Dove ogni donna partecipa a titolo personale.
“Il corteo è stato un avviso del nostro tentativo di organizzarci orizzontalmente e dal personale. Questo è stato il primo messaggio: che ci siamo, una volta che ci alziamo e ci guardiamo in faccia, è il primo momento in cui siamo donne, mettendoci il corpo”.
La rete e le reti
Spiegano che la diffusione attraverso le reti sociali è stata fondamentale e che si sono, inoltre, riuscite a stabilire alcune parole d’ordine come #VivasNosQueremos (ViveCiVogliamo) e #MiPrimerAcoso (MiaPrimaMolestia), come mezzi che contribuiscono a rendere visibili le violenze e gli abusi.
“Queste due cose sono state un messaggio per gli uomini. Uno anche per le istituzioni e i partiti, che parlano dalla legalità e dalla verticalità, che non avevamo contemplato quando progettavamo come funzionare. Come se loro avessero accaparrato la difesa dei diritti e l’autorità della rappresentanza. Ciascuna può rappresentarsi da sé stessa, non ha bisogno di nient’altro. Sulla linea della lotta femminista che sostiene che il personale è politico”.
Nel Nayarit, un piccolo stato, la convocazione è giunta a circa 200 donne. Ma bisogna tenere a mente la quasi nulla partecipazione politica degli abitanti di questo stato, come una generalizzata apatia che li mantiene immobili.
Lo spiega Lizette: “Può non sembrare molto, ma non era mai stato fatto qualcosa così. La gente non è abituata a scendere a manifestare e ha risposto molto bene”.
Sì, nel Nayarit c’è stata una serie di puntuali denunce: per tipizzare il delitto di femminicidio e i casi, molto violenti, che continuano nell’impunità e senza essere risolti; particolarmente contro Hilario Ramírez Villanueva, presidente municipale di San Blas, patriarca tradizionale, che sistematicamente fa appello all’immagine della donna oggetto. Ma non solo questo, nel Nayarit le donne del corteo hanno anche chiesto il rispetto dei popoli originari e contro lo sfruttamento e la vendita delle risorse e delle terre sacre dei wirárica.
“Noi puntiamo a inviare un messaggio alle donne, affinché si sollevino. Che riconoscano le violenze che subiscono e perpetuano. Che sappiano che siamo unite e che non si devono più rendere normali certe cose che si vivono. Che noi stesse, inoltre, abbiamo molte cose da sciogliere, che strisciamo e non ci rendiamo conto, come quando emettiamo un giudizio di valore verso un’altra compagna, o su temi come la diversità sessuale, dove la cosa decisiva è che possiamo scegliere”.
Ad Aguas Calientes la mobilitazione è stata impressionante. Il corteo contro le violenze ha attraversato la fiera di San Marcos, uno degli eventi dove la violenza è norma, con le sue piazze dei tori e le sue lotte di galli come principale attrazione. “In questa fiera è comune che i posti che vendono alcol usino, per esempio, le donne come oggetti sessuali. Nonostante ciò, noi non li abbiamo attaccati, abbiamo mantenuto le parole d’ordine condivise con il resto delle mobilitazioni nazionali, molto legate al tema del corteo, ma non specifiche contro la fiera”.
Ha spiegato che circa 500 persone si sono mobilitate in questa località del centro del paese, alla quale hanno partecipato attiviste di ogni tipo, ma anche donne di casa, lavoratrici, le donne che popolano le maquila, molte giovani, anche alcune passanti. “È stato impressionante vedere come donne che andavano con la propria famiglia verso la Fiera di San Marcos, si fermassero di fronte ai nostri cartelli, fuori della piazza dei tori, e decidessero di fermarsi. Si sono identificate. È che, di fronte ai cartelli che denunciano la violenza perché la vivono, molte donne si sentono interpellate ”.
Chiedere Giustizia
Ad Aguas Calientes si è anche discusso verso chi sono diretti questi sforzi a rendersi visibili. “Nel nostro caso, lo abbiamo fatto su due assi. Da un lato, verso le istituzioni della giustizia, per alcuni casi concreti. Per esempio chiediamo giustizia per i femminicidi di Andrea e Katy, che sono state assassinate dagli stessi uomini. Andrea è stata uccisa dal suo ex fidanzato con l’aiuto di un amico e dopo l’amico ha voluto lui stesso uccidere, e hanno cercato un’altra ragazza, questa è stata Katy. Ambedue sono impuniti”.
Anche per lo stato di salute di una donna prigioniera nel carcere di Aguas Calientes che è stata trasferita senza garanzie in un altro carcere del Morelos, e per un progresso nelle ricerche di 3 donne, che da 8 mesi sono scomparse.
“Da un lato, il messaggio è stato verso noi stesse, che avremo cura di noi e risponderemo a tutte le aggressioni. Non siamo sole”.
Daliha ha voluto manifestare per due fatti che sono avvenuti nel grande corteo che è giunto a Città del Messico:
“Ci sono molte ragioni per cui sfiliamo con un contingente separatista in testa. Da un lato, affinché si veda che questo è qualcosa di totalmente organizzato da donne e quando un uomo appare davanti, accaparra tutti i mezzi di comunicazione. È curioso vedere che se una donna si riconosce femminista viene trattata come ‘insoddisfatta’ ma se un uomo si dichiara femminista gli cantano le lodi. Da un lato, ci sono donne che sono state aggredite e non hanno più fiducia negli uomini, non si sentono sicure. Anche tra le compagne abbiamo storie di aggressioni quando partecipano a gruppi misti, come quando abbiamo fatto parte del Soy 132, dove dei militanti di Morena ci aggredivano. Ci sono molti militanti di partiti e di sinistra che hanno storie di aggressioni contro le donne. Non è qualcosa di nuovo. Volevamo che il messaggio fosse forte, che siamo uscite fuori e ci difenderemo”.
I 43, presenti
L’altro punto è stata la polemica che da domenica perdura nelle reti, per una ragazza che a Reforma ha voluto fare un graffito sul anti-monumento ai 43. “Mi sembra deplorevole che un gruppo di maschi di sinistra stiano mostrando questa compagna nelle reti, attaccandola, in un paese in cui si sa che essere donna è un pericolo. Mostrano come per loro sia molto più importante un monumento di metallo, che la vita di una donna. Il loro argomento è che quando il capitalismo cadrà, anche il patriarcato cadrà. Ma questa storia già la conosciamo a memoria e ora siamo stufe che la causa delle donne occupi un posto secondario nelle valutazioni che esprimono gli uomini”.
Sulle aggressione ai giornalisti nel corteo ha sostenuto: “Credo che questo sia avvenuto perché non hanno rispettato gli accordi nazionali. Non potevano entrare nel gruppo separatista (di pure donne) e volevano ugualmente farlo con la forza. Questo sta avendo maggiore notorietà e sta riuscendo a spostare lo sguardo dal motivo della denuncia. Non nego che ci siano state le aggressioni, ma sono sempre casi isolati, anomalie del sistema che in realtà attacca alla rovescia. L’eccezione sta avendo più notorietà delle denunce della violenza sistematica che noi ci impegniamo a fare”.
Testo e foto di Eliana Gilet per Desinformémonos, in accordo con lavaca.org // Marcha #24A a Città del Messico.
27/04/2016
lavaca
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Eliana Gilet, “#NiUnaMenos en México: 40 ciudades contra la violencia machista” pubblicato il 27-04-2016 in lavaca, su [http://www.lavaca.org/notas/niunamenos-en-mexico-40-ciudades-contra-la-violencia-machista/] ultimo accesso 07-05-2016. |