Brasile. I centristi abbandonano la maggioranza, traballa il governo


Marco Santopadre

Sta rapidamente degenerando la situazione politica in Brasile sull’onda dell’offensiva lanciata dalle forze politiche e dai media di destra contro il PT e la presidente Dilma Rousseff.

Ieri il principale alleato di governo del Partito dei Lavoratori, il centrista Pmdb – Partito del Movimento Democratico del Brasile – ha annunciato il suo ritiro dalla maggioranza parlamentare che sostiene l’esecutivo. La direzione nazionale del partito del vicepresidente Michel Temer, che dovrebbe succedere a Rousseff nel caso in cui il processo per impeachment dovesse andare in porto, ha anche fatto appello ai suoi ministri affinché rassegnino le dimissioni. Alcuni hanno già restituito il mandato. L’abbandono del Pmdb rende la posizione di Dilma sempre più debole, anche perché altri partiti minori del cosiddetto “Grande centro” potrebbero seguire l’esempio e uscire dalla coalizione di governo privandola dei numeri necessari per governare. “L’uscita del Pmdb chiude la bara del governo agonizzante, che ha perso le condizioni minime per guidare il paese e rilanciare l’economia” ha tuonato ieri Aecio Neves, leader dell’opposizione di destra.

Dilma Rousseff, alle prese con la crisi economica, gli scandali per corruzione, le proteste spontanee o pilotate e la crescente stretta giudiziaria per la sua messa in stato di accusa insieme all’ex presidente Lula da Silva, aveva incontrato nei giorni scorsi i ministri del Pmdb per convincerli a restare, ma senza ottenere alcun risultato.

A causa delle crescenti difficoltà del governo la presidente ha annullato la sua visita prevista per questa settimana negli Stati uniti. La leader del PT avrebbe dovuto recarsi a Washington oggi e domani per partecipare al summit mondiale sulla sicurezza nucleare, ma ha deciso di farsi sostituire dal suo vice Michel Temer, il leader di quel Pmdb che le ha voltato le spalle.

Intanto l’Ordine degli avvocati del Brasile (Oab) ha presentato al Congresso una nuova richiesta di impeachment per la presidente che si aggiunge alle 11 già registrate (con entusiasmo) dal presidente del Parlamento, Eduardo Cunha, avversario di Rousseff e a sua volta sotto inchiesta per corruzione.

La nuova denuncia riguarda il presunto utilizzo di fondi pubblici per la campagna elettorale della leader petista del 2014 e cita anche la nomina a capo di Gabinetto l’ex presidente Lula da Silva, anch’egli coinvolto in una inchiesta per corruzione, allo scopo di sottrarlo all’arresto.

Dal 18 marzo scorso, intanto, una speciale commissione di 65 deputati di tutti i partiti sta esaminando il procedimento di impeachment a carico della presidente Rousseff; secondo voci diffuse dalla stampa, 32 membri della commissione sarebbero a favore della destituzione, 31 contrari e 2 indecisi.

Mentre molti analisti fanno notare che l’attuale ambasciatrice in Brasile, Liliana Ayalde, è la stessa che in Paraguay coordinò qualche anno fa il ‘golpe istituzionale’ contro l’allora presidente progressista Fernando Lugo – destituito e sostituito da un esponente dell’oligarchia locale senza tanti complimenti – Rousseff e Lula, così come anche i settori sociali e politici di sinistra critici con il governo per la sua linea moderata e la mancata attuazione delle riforme promesse, denunciano la volontà da parte degli ambienti reazionari del paese di portare a termine un colpo di stato per via giudiziaria, sostenuti da Washington.

L’ex presidente Lula da Silva, accusato di occultamento di patrimonio e frode fiscale, continua a dichiararsi innocente e denuncia il carattere politico dell’inchiesta in corso su Petrobras, l’azienda energetica statale. “Onestamente, non ho alcun bisogno di una corte speciale perché non verrò mai processato, dal momento che non sono colpevole di alcunché”, ha dichiarato nei giorni scorsi.

“L’impeachment senza basi legali, senza alcun crimine, è un colpo di Stato. Questa è la definizione esatta. Quello a cui stiamo assistendo è il tentativo di bloccare il mandato della presidente Dilma Rousseff grazie a un colpo di Stato, il cui solo obiettivo è di natura politica. Se il popolo brasiliano intende restare alla guida della Repubblica, deve esercitare la stessa pazienza che ho dimostrato io”, ha concluso Lula.

Scrive a questo proposito Bernard Guetta – non proprio un commentatore bolscevico – sull’edizione online de L’Internazionale di oggi:

“Otto brasiliani su dieci non vogliono più la presidente Dilma Rousseff, che rischia di essere destituita dai partiti d’opposizione e da una forza con cui governava fino a due giorni fa. Il motivo è il degrado della situazione economica e le rivelazioni sulle vicende di corruzione e finanziamenti illeciti dei partiti politici. Salvo nuove rivelazioni, però, Rousseff non è personalmente responsabile di alcuna malversazione, e l’unico rimprovero che le si può fare è quello di aver “truccato” i conti pubblici nel 2014, anno della sua rielezione, e di averlo fatto nuovamente nel 2015. Eppure, oltre al fatto che ci sono modi diversi di presentare un bilancio, la crisi dell’economia brasiliana non deriva dall’operato della presidente quanto piuttosto dalle difficoltà della Cina, che hanno provocato un crollo delle materie prime e messo in crisi tutti paesi con cui ha scambi commerciali.

Non soltanto Dilma Rousseff non ha colpe per la crisi cinese, ma il suo Partito dei lavoratori, lo stesso dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, può vantarsi di aver tirato fuori, nel primo decennio del secolo, quaranta milioni di persone dalla povertà e di aver garantito a lungo una forte crescita economica. Certo, questo cambiamento delle condizioni richiede nuove politiche e nuove teste, ma la presidente brasiliana non ha torto quando definisce “colpo di stato” la procedura di destituzione a cui è sottoposta, perché per quanto possa essere profondo, un momento di difficoltà economica non può giustificare l’interruzione forzata di un mandato presidenziale.

Questa procedura non ha nulla di illegale, ma è prevista dalla costituzione soltanto in caso di crimini commessi dal capo dello stato nell’esercizio delle sue funzioni, non certo per una gestione contestabile. Se siamo arrivati a tanto è perché si stanno avvicinando le elezioni locali e tutti i partiti vogliono sfruttare la rabbia popolare per trarne vantaggio e conquistare il potere, cacciando la presidente.

Questo modo di distorcere la costituzione è assolutamente irresponsabile, perché anziché costruire un’alternativa credibile i partiti si stanno già spartendo gli incarichi per arrivare alla maggioranza parlamentare dei due terzi che permetterebbe di destituire Dilma Rousseff, mentre il partito della presidente si limita a promettere portafogli e alti incarichi agli eletti che sceglieranno di appoggiare Rousseff”.

Assai più impietosa, invece, l’analisi proposta qualche giorno fa dalle pagine del Manifesto da Ricardo Antunes, sociologo e militante della sinistra brasiliana, a lungo membro del Partito dei Lavoratori e da qualche anno vicino invece al PSOL – Partido Socialismo e Liberdade – nato da una scissione di sinistra del PT.

31.03.2016

Contropiano

Marco Santopadre, “Brasile. I centristi abbandonano la maggioranza, traballa il governopubblicato il 11-03-2016 in Contropiano, su [http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/03/31/brasile-centristi-abbandonano-la-maggioranza-traballa-governo-077302] ultimo accesso 31-03-2016.

 

,

I commenti sono stati disattivati.