Il caso Yarima


Alfredo Molano Bravo

Nell’anno 1960 feci un viaggio nell’allora da poco inaugurato Expreso del Sol, che il giorno dopo in serata “entra a Santa Marta”.

Successivamente l’ho fatto varie volte, ma sempre, invariabilmente, si fermava per ore –molte ore– tra i fiumi Carare e Opón. Non ne ho mai saputo la ragione. Ai lati delle rotaie c’era solo selva. Selva fitta, totale, umida. Le grandi compagnie del legname l’hanno abbattuta; centinaia di famiglie contadine hanno colonizzato la regione e dalla metà dei 70 hanno cominciato ad essere espulse dagli allevatori. In mezzo al conflitto si sono consolidati l’ELN e le FARC. Nel 1986 fu assassinata Silvia Duzán e da allora è regnato il paramilitarismo. In quell’anno ci furono 20 massacri con 78 vittime, nel 1987 18 massacri con 93 vittime, e nel 1988, 62 massacri con 323 assassinati. Tra il 91 e il 93 ci furono più di 4.000 contadini sfollati dal Magdalena Medio. Terra spianata da contadini e invasa da allevatori. Ora tra Puerto Boyacá e Yarima ci sono infiniti pascoli, poche vacche e 37 case di abitanti.

Il 15 febbraio scorso sono 50 anni dalla morte di Camilo Torres a Patio Cemento. La USO, le comunità ecclesiastiche di base e il collettivo Alvear Restrepo hanno organizzato un pellegrinaggio sul luogo, dove sarebbe stata celebrata una messa commemorativa. Nel Club Las Infantas, vicino a Barranca, il padre Javier Giraldo e un vecchio compagno di Camilo, il padre Gustavo Pérez, hanno salutato le 800 persone che su 25 autobus sono partiti per Patio Cemento. Hanno chiesto all’ELN di unirsi agli accordi di pace e in pieno sole è partita la carovana. Si sapeva che alcuni giorni prima a Carmen de Chucurí si erano riuniti –con la presenza del battaglione Luciano D’elhuyar, lo stesso che nel gennaio dell’anno 1989 aveva bombardato le frazioni di Simacota e San Vicente– allevatori, commercianti e politici, con l’obiettivo di impedire l’omaggio a Camilo. Da allora a Yarima, secondo quanto hanno raccontato dei contadini, sono state viste persone armate che pattugliavano in moto. La carovana ha dovuto sollevare sette grossi alberi abbattuti recentemente per poter continuare “Era come un avviso per cui noi non potevamo passare”, ha confessato uno dei partecipanti alla marcia.

Lungo la strada c’erano truppe dell’Esercito con la faccia dipinta e completamente armati, che con la mano facevano il segno pubblicitario OK. C’erano anche poliziotti del traffico, poliziotti in verde acerbo, che salutavano in silenzio ansimando come iguane per il calore del mezzogiorno. Alcuni chilometri più avanti, il primo striscione: “Yarima rifiuta omaggi ai carnefici”. A metà tragitto, al lato di una pista d’atterraggio, un gruppo dell’Esmad con i suoi equipaggiamenti antisommossa bloccava il passo. Al suo lato membri del CTI che, se fosse stato il caso, erano pronti a fare azioni di arresto. Non c’era nemmeno una ambulanza. I dirigenti sono scesi per chiedere spiegazioni dato che la marcia era stata autorizzata dal ministro degli Interni. La cosa era semplice: a cinque chilometri si erano riuniti i manifestanti organizzati giorni prima con la parola d’ordine di spezzare ad ogni costo i terroristi che volevano rompere “la pace ottenuta 16 anni addietro”, come si leggeva in un altro striscione. Come dire, “ottenuta” nell’anno 2000, periodo in cui Arnubio Triana Mahecha, alias Botalón, luogotenente di Ramón Isaza (paramilitare e narcotrafficante, ndt), prendeva il comando della zona. Radio Caracol ha informato che il luogo dove si andava a porre una placca commemorativa dove era caduto Camilo era stato fatto saltare in aria. Nonostante le minacce, la grande maggioranza del corteo dei pellegrini ha continuato a piedi per alcuni chilometri e, dove l’incontro con il contro corteo era imminente, è stata celebrata una messa.

L’episodio è passato più o meno inavvertito tra il rumore che hanno fatto le sassate contro il Transmillennio nella stazione di Tintal e gli scandali nella Polizia Nazionale, ma è un fatto molto grave. Si tratta di uno degli indizi della riorganizzazione delle AUC, non solo nel Magdalena Medio, ma ad Ataco nel Tolima, a Teteyé nel Putumayo, a Balboa nel Cauca e ad Aguazul nel Casanare, con la parola d’ordine di impedire qualsiasi accordo territoriale tra le FARC e lo stato colombiano. La cosa grave, la cosa più grave, è che il Governo sembra essere indifferente di fronte a questa pericolosissima riorganizzazione, per ora civile, del paramilitarismo.

20-02-2016

El Espectador

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Alfredo Molano Bravo, “El caso Yarimapubblicato il 20-02-2016 in El Espectador, su [http://www.elespectador.com/opinion/el-caso-yarima] ultimo accesso 21-03-2016.

 

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