Nove anni di Rivoluzione Cittadina


Mari Cruz Tornay Márquez

Il decennio degli anni 90 è tristemente ricordato in Ecuador. Dopo anni di ricette neoliberiste, il secolo XX giunse alla sua fine con la maggiore crisi finanziaria della storia, provocata dal fallimento della banca privata.

Come successivamente sarebbe successo in altri paesi della regione, lo stato ne uscì con il recupero dell’oligarchia economica e congelò i depositi di milioni di famiglie ecuadoriane che dalla notte al mattino videro volatilizzarsi i propri risparmi e sparire le opportunità di trovare un lavoro. Questa crisi, che, anni dopo, si ricorda come il “salvataggio bancario”, portò all’esilio economico più di due milioni di persone, principalmente negli Stati Uniti, in Spagna e Italia.

Alla fragilità economica e alla dipendenza dalle organizzazioni internazionali si aggiungeva l’instabilità politica che caratterizzò il paese: tra il 1996 e il 2007 furono formati fino a nove governi che, in alcuni casi, avevano vinto con promesse di cambiamento. Tre di loro, quelli di Abdalá Bucaram, Jamil Mahuad e Lucio Gutiérrez, terminarono il proprio mandato prima del tempo di fronte alla pressione delle mobilitazioni popolari. La lunga crisi di governabilità ostacolava l’uscita dal sottosviluppo di un paese che per anni aveva potuto sopravvivere a costo delle rimesse che milioni di persone inviavano dall’estero.

La caotica situazione in cui era rimasto l’Ecuador si trasformò nel germe per l’unificazione di diversi movimenti sociali sotto un medesimo obiettivo: mettere fine ai modelli che avevano fatto fallire il paese e costruire uno stato di giustizia sociale diretto dalle maggioranze. Nasceva così Alleanza Paese (Alleanza Patria Orgogliosa e Sovrana), come un movimento che agglutinava diverse domande sociali che sognavano di mettere all’angolo i partiti rappresentanti delle oligarchie economiche. Alla guida del movimento, Rafael Correa, un economista proveniente dal settore accademico che aveva ottenuto credibilità rinunciando come ministro delle Finanze per il suo disaccordo con le misure neoliberiste del presidente Alfredo Palacio. Nel novembre del 2006, i movimenti sociali con Correa ottennero la vittoria di fronte ad un neoliberismo rappresentato da Álvaro Noboa, sconfitto dal 56,8% dei voti ottenuti dalla coalizione popolare. I risultati aprivano il passo alla formazione dell’assemblea costituente che stese una delle carte costituzionali più progressiste del mondo e la cui approvazione con un referendum metteva fine ad un nefasto periodo della storia ecuadoriana.

Nove anni dopo l’arrivo al governo del presidente Rafael Correa, il movimento Alleanza Paese festeggia quasi un decennio di Rivoluzione Cittadina con un bilancio che lo ha trasformato nel modello di riferimento per la regione latinoamericana. La vittoria della Costituzione del 2008 plasmò la maggior parte delle domande sociali e si trasformò nella bolla d’accompagnamento per raggiungere il Buen Vivir –Sumak Kawsay– presente nella cosmovisione andina. Nel linguaggio abitualmente utilizzato nei discorsi ufficiali, per la società ecuadoriana il Buen Vivir costituzionale ha significato la via d’uscita dalla “lunga e oscura notte neoliberista”.

Parte delle organizzazioni internazionali che avevano contrassegnato l’agenda del paese nella sua fase neoliberista avallano i risultati ottenuti da un modello che punta al rafforzamento dello stato come ente regolatore. Si è saputo indirizzare in investimenti la rendita petrolifera accumulata in un periodo di prezzi in rialzo, specialmente in alternative energetiche e in infrastrutture, che sono riuscite a modernizzare e congiungere le diverse regioni ecuadoriane. La riduzione della povertà e la povertà estrema, la modernizzazione del sistema sanitario, la scommessa sulla formazione delle nuove generazioni attraverso un ambizioso programma di borse di studio internazionali, il miglioramento dell’efficacia delle istituzioni pubbliche, incluso il sistema di riscossione tributaria, e la direzione nel processo di integrazione dell’America Latina, sono alcuni dei successi che sostengono dopo due mandati presidenziali la popolarità di Rafael Correa.

I risultati ottenuti da un governo allineato ai processi bolivariani della regione sono stati applauditi a livello internazionale. Nonostante ciò, quali sono state le cose “oscure” in questi nove anni? È possibile mantenere la stabilità politica ed economica con il barile di petrolio al di sotto del prezzo di costo? Secondo le parole del presidente, dal suo arrivo al governo, il 2015 è stato uno degli anni più difficili: la riduzione delle entrate provenienti dal greggio e il rafforzamento del dollaro, con la conseguente perdita di competitività nella regione, hanno creato un nuovo e avverso scenario che ha messo in evidenza la dipendenza dal modello sviluppista e la debolezza di un tanto annunciato nuovo modello produttivo.

Una serie di misure prospettate in questo contesto –come le tutele per frenare le importazioni, la legge sull’eredità e la legge sulle plusvalenze– sono state utilizzate dall’opposizione di destra per indebolire la direzione di Correa. Alle mobilitazioni di coloro che difendevano alcuni privilegi di classe, si è unita la cosiddetta sollevazione del movimento indigeno all’opposizione che ha sfilato fino a Quito per chiedere il ritiro di differenti proposte di legge. Queste mobilitazioni e le mutue accuse sull’uso di una violenza sproporzionata hanno acuito il conflitto tra il governo della Rivoluzione Cittadina e le organizzazioni rappresentanti dei popoli e delle nazionalità indigene, come la CONAIE e il Pachakutik.

Bisogna segnalare che parte dei movimenti alleati della proposta di cambiamento di Alleanza Paese hanno finito con lo svincolarsi e si sono trasformati in un forte movimento di opposizione. Le organizzazioni indigene che sono riuscite ad includere nella Costituzione le proprie richieste relative alla plurinazionalità e alla interculturalità e al riconoscimento dei diritti della natura, hanno visto come una minaccia per i loro territori e per le forme di vita la continuazione del modello energetico esportatore e la decisione presidenziale di permettere lo sfruttamento petrolifero di una parte dell’area intangibile del Yasuní. Altri settori della sinistra accusano Correa di un arretramento dei diritti della cittadinanza e di trasferire la sua ideologia ultracattolica nelle politiche pubbliche, specialmente quella che concerne i diritti sessuali e riproduttivi delle donne, e nella difesa di un modello di famiglia tradizionale che è in contraddizione con le diversità riconosciute nella Costituzione.

Nonostante ciò, la cosa certa è che la Rivoluzione Cittadina ha saputo affrontare gli ultimi assalti ai piani politico ed economico. Fino ad ora, la drastica riduzione delle entrate ha colpito gli investimenti pubblici ma non il funzionamento dello stato, che copre le spese attraverso vie indipendenti dalla rendita petrolifera. Anche se il tasso di disoccupazione è aumentato rispetto all’anno passato, è ancora molto al di sotto delle cifre storiche dell’Ecuador ed è quello più basso della regione latinoamericana.

Una prova delle buone aspettative, -nonostante l’incertezza relativa alla maggiore fonte di entrate, il petrolio– è la decisione dell’attuale presidente di non ripresentarsi nuovamente alle elezioni [1]. Differenti sondaggi continuano a mostrare il sostegno popolare al governo e l’opposizione, nessuna delle quali, è stata capace di presentare qualche candidato che potesse mettere a rischio la continuità del processo. Tanto è così, che lo spazio libero che lascia il ritiro di Rafael Correa sta portando l’opposizione ad organizzare diverse strategie con lo sguardo posto sulle elezioni presidenziali del 2017, tra le quali, l’insolito tavolo di dialogo tra alcuni settori del movimento indigeno e l’opposizione di destra legata alla banca privata.

Nota:

  1. En el paquete de enmiendas a la Constitución aprobado en la Asamblea Legislativa se incluyó la posibilidad de la elección indefinida.

*Mari Cruz Tornay Márquez, forma parte del consejo de redacción de Pueblos – Revista de Información y Debate.

03-02-2016

Pueblos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Mari Cruz Tornay Márquez, “Nueve años de Revolución Ciudadanapubblicato il 03-02-2016 in Pueblos, su [http://www.revistapueblos.org/?p=20373] ultimo accesso 11-03-2016.

 

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