Protetto da un falso discorso progressista, di sinistra e di redistribuzione, il governo di Rafael Correa ha smantellato la Costituzione della Repubblica dell’Ecuador –la prima al mondo che fino a poco tempo fa vegliava sui diritti della natura– al servizio di quanto è privato, come dire, di alcuni interessi nazionali e stranieri.
La nuova legislazione, che data dal 2008 e che sorge nell’ambito di una presunta consultazione popolare, permette il saccheggio dei territori ancestrali e contadini, e attenta contro quanto è comunitario, che “ritarda il progresso”.
Un nuovo cruciverba si presenta nel territorio con la più alta concentrazione di fiumi per chilometro quadrato del mondo e con la maggiore diversità per chilometro quadrato del pianeta. Si tratta, come lo hanno documentato Fernanda Vallejo e Ramón Vera Herrera, di un modello “che faciliterà una maggiore e più violenta accumulazione del capitale, fondata sul saccheggio di territori contadini e di popoli originari a favore dell’estrazione mineraria e petrolifera, senza limiti né restrizioni”.
Il modello è già realtà con distruzioni. Tanto che l’Ecuador, con più di 16 milioni di abitanti, sarebbe ipotecato almeno per i prossimi 15 anni. Il fatto è che il governo di Correa ha già consegnato, secondo quanto precisano, la metà del paese a imprese minerarie, petrolifere e costruttrici straniere, ha contratto il debito estero più alto della storia ecuadoriana, ha venduto in anticipo tutte le riserve petrolifere, soprattutto alla Cina, ha negoziato le riserve in oro con l’impresa Goldman Sachs a condizioni di dubbio vantaggio e ha firmato, a spese della società, un Trattato di Libero Commercio con l’Unione Europea.
La riforma dello stato è ampia e lesiva. Anche se è stata avviata nel 2008 con modifiche alle normative macro, ad oggi continua. Passa, tra le altre, per nuovi codici di ordinamento territoriale, di produzione, delle finanze e dell’industria mineraria.
Il primo di questi obbliga i governi locali a stabilire imposte sui terreni contadini e la loro produzione e, la cosa peggiore, a promuovere la presenza di “industrie” estrattive come meccanismo per conseguire finanziamenti per la gestione. Allo stesso tempo, concede un potere discrezionale ai suddetti governi sulla gestione comunitaria dell’acqua per l’irrigazione o per il consumo umano.
Il Codice della Produzione lede, nel frattempo, il diritto di accesso all’acqua, condizionando l’uso della risorsa vitale alla produzione di energia pulita o alla creazione di valuta “redistributiva” nell’investimento sociale. Unito a questo, stabilisce parametri di controllo e regolazione della produzione e trasformazione che rendono tecnicamente impossibile la partecipazione della produzione contadina.
Anche i sistemi finanziari comunitari, generalmente gestiti da donne, sono colpiti attraverso il nuovo Codice Finanziario che ha abrogato più della metà della Legge dell’Economia Popolare e Solidale approvata precedentemente, secondo quanto riferisce Fernanda Vallejo. Il nuovo codice elimina la gestione di modalità di economia mutualistica.
Per finire, la legislazione mineraria sostituisce gli studi di impatto ambientale con documenti di impegno a non contaminare e danneggiare, e abilita gli organismi di controllo ad incarcerare persone o comunità che si rifiutino di sgomberare territori dichiarati in concessione.
Nel loro articolo “La sfida indigena in Ecuador. Allerta ed esagerazioni di una mobilitazione legittima”, pubblicato nell’Ojarasca, supplemento mensile della Jornada, Fernanda Vallejo e Ramón Vera Herrera riferiscono sul panorama sopra descritto.
In una intervista, Fernanda Vallejo, esperta della Fondazione Heifer, specialista nel lavoro con le organizzazioni indigene, commenta che ciò che avviene oggi in Ecuador è qualcosa di molto nuovo, sebbene, il neoliberismo lo avesse già sfiorato, mai prima avevano affrontato questo livello di bio-controllo, di brutalità che si deposita nelle fessure del comunitario dietro la maschera del discorso progressista.
Così come è stato dimostrato lo scorso agosto, con la sollevazione indigena e lo sciopero nazionale, la resistenza al cruciverba del saccheggio è lì. Con tutto questo, la popolazione indigena –che rappresenta approssimativamente il 7 per cento del totale degli abitanti dell’Ecuador– non cede allo smantellamento del comunitario, nonostante che questa politica sia già stata legalizzata.
Le sfide del movimento indigeno sono molte. Sebbene la mobilitazione dello scorso agosto, che ha comportato degli “sforzi titanici”, sia riuscita a filtrare attraverso la propaganda ufficiale, che nasconde la realtà dei saccheggi, e la criminalizzazione della dissidenza, la resistenza oggi si sostiene “molto con il polso”, ciò che rende debole la possibilità di uno sciopero nazionale, così come era stato previsto, dice Fernanda Vallejo.
La principale sfida, sostiene, è passare dall’ambito della resistenza locale a quello del piano nazionale. Unificare le richieste disperse e rafforzare l’alleanza che è stata tessuta tra il movimento operaio e indigeno ma che ad oggi continua ad essere una “unione di fragilità e vulnerabilità”.
15 ottobre 2015
Desinfomémonos
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Flor Goche, “Movimiento indígena en Ecuador, la resistencia al crucigrama del despojo” pubblicato il 15-10-2015 in Desinfomémonos, su [http://desinformemonos.org.mx/movimiento-indigena-en-ecuador-la-resistencia-al-crucigrama-del-despojo/] ultimo accesso 16-10-2015. |