Tremila cadaveri


Antonio Caballero

Bisogna osservare bene anche la responsabilità dei ministri della Difesa. E in particolare quella di Camilo Ospina, che nel 2005 ordinò la politica del conteggio dei cadaveri e gli mise un prezzo: 3.800.000 pesos.

Il presidente Juan Manuel Santos salta su a difendere “a spada tratta” gli alti ufficiali in servizio segnalati da Human Rights Watch come coloro che probabilmente hanno ordinato o protetto i più di tremila “falsi positivi” commessi dagli uomini sotto il loro comando negli infausti anni dei governi di Álvaro Uribe. “Che non vengano a comprometterli!”, richiede Santos. Ma se sono compromessi è perché loro si sono compromessi, non perché qualcuno se ne sia reso conto. “Senza nessun documento di supporto!”, si indigna Santos. Non ci sono documenti, ma ci sono tremila cadaveri. Tremila assassinati travestiti dopo morti con uniformi guerrigliere. Tremila assassinati che hanno procurato premi, giorni di permesso, decorazioni, carriere. Che io ricordi, fu senza un supporto documentale, per semplice senso comune, che sette anni fa lo stesso Juan Manuel Santos, allora ministro della Difesa, destituì con un colpo di tacco 17 colonnelli, maggiori e generali, alle prime denuncie di questi stessi terribili e vergognosi “falsi positivi”. Ciò che fa ora HRW è semplicemente chiedere che sia continuato il compito che allora intraprese Santos.

Il presidente aggiunge che gli ufficiali menzionati dall’ONG dei diritti umani “hanno sollecitato alla Procura e al Tribunale Amministrativo il fascicolo dei loro precedenti, che dimostrano che non ci sia nemmeno una sola indagine contro di loro”. La qualcosa non prova nulla; e in cambio parla molto male del Tribunale Amministrativo e della Procura: di fronte alla macabra e pesante evidenza di questi tremila cadaveri di civili, il 20 per cento dei morti riportati come caduti in combattimento tra il 2002 e il 2008, d’ufficio hanno dovuto iniziare delle indagini contro i possibili responsabili, sia per aver agito come per omissione. Il nuovo ministro della Difesa, Luis Carlos Villegas, va più lontano con il sofisma: “La Colombia –dice– è da molto tempo che non può essere accusata di violare i diritti umani”.

Questo non è un argomento per ribattere le accuse che si fanno ora, e per aggiunta non è certo: la accusano quasi quotidianamente, e da decenni. I primi casi di detenuti scomparsi datano dal 1977. La Corte Suprema ha finito col condannare a 31 anni di carcere i militari che nel 1993 assassinarono i negoziatori di pace della Corrente di Rinnovamento Socialista e che finsero che fossero caduti in combattimento. Un giudice ha finito col condannare a 18 anni il guerrigliero delle Farc che assassinò il proprio capo e la sua compagna per la promessa di una ricompensa multimilionaria che, per quanto visto, le Forze Armate non gli hanno pagato. La procura ha finito col chiamare a deporre quattro generali in ritiro di alto livello degli anni di piombo di Uribe, incluso uno che è giunto al comando delle Forze Militari. Non è nemmeno vero, come afferma il presidente, che in materia di abusi militari si siano solo “commessi degli errori”. Sono troppi “errori”. Le abitualmente disprezzate “mele marce” dentro l’istituzione hanno finito con il far marcire il barile.

E se il pubblico ministero Eduardo Montealegre indaga qualcosa, anche se lentamente e tardivamente, il procuratore Alejandro Ordóñez si ostina a rifiutare di farlo. Al contrario: accusa l’accusatore, continuando l’abituale tattica degli uribisti, e sentenzia presuntuoso:

– “L’atteggiamento dello stato colombiano deve essere di condanna di fronte a queste accuse (quelle di HRW) superficiali e avvelenate dal modo di fare che le conosciamo”.

In un primo momento sembra che stiano un’altra volta di fronte ad un soprassalto di decenza istituzionale, provocato dalla rivelazione dei “falsi positivi”. Altre volte come le tre scimmie sagge giapponesi che si tappano gli occhi per non vedere, le orecchie per non sentire e la bocca per non parlare.

Mi sembra, inoltre, che la denuncia di Human Rights Watch sia scarsa. Va bene che si segnali la responsabilità degli alti ufficiali, e non solo delle centinaia di soldati, caporali e tenenti già condannati. Ma bisogna anche guardare quella dei civili che gli hanno indicato il cammino delle atrocità. Quella dei ministri della Difesa, per incominciare. E in particolare quella di Camilo Ospina, che nel 2005 ordinò la politica del conteggio dei cadaveri e gli mise un prezzo: una ricompensa di 3.800.000 pesos per ogni guerrigliero morto. Quella del suo capo, l’allora Álvaro Uribe Vélez. Il quale cinicamente non solo giustificò i “falsi positivi”, chiamando “giustiziati” gli assassinati e insultandoli dopo morti insinuando con un furbo sorrisetto che “non stavano là raccogliendo caffè”, ma che li promosse attivamente con la richiesta ai soldati di mostrare dei risultati di vittoria, certi o falsi. Lo posso immaginare all’alba nei suoi così lodati giri telefonici dei comandi militari:

– Che, colonnello! È che il suo battaglione non combatte le Farc o che? Lì non ci sono terroristi morti? Mi toccherà andare personalmente?

E come per miracolo immediatamente incominciavano ad apparire cadaveri perfino nei più cittadini posti di approvvigionamento.

Per questo molti non vogliono che si indaghi la storia per chiarire la verità. Può essere scomoda.

30-06-2015

Semana

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Antonio Caballero, “Tres mil cadáverespubblicato il 30-06-2015 in Semana, su [http://www.semana.com/opinion/articulo/antonio-caballero-tres-mil-cadaveres/432771-3] ultimo accesso 06-07-2015.

 

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