Una lettura zapatista


Pablo González Casanova

All’apertura del Festival, in un primo comunicato, il subcomandante Moisés legge un messaggio nel quale enumera uno a uno i popoli originari lì presenti. Li menziona uno a uno dal Yaqui fino all’Ikoot senza ordine alfabetico. Sono trentacinque. Quelli menzionati sentono che gli altri sanno che loro sono lì.

Successivamente, il subcomandante enumera quelli della Sesta Nazionale e Internazionale. Sono ventisei incominciando dal Messico, e seguendo in ordine alfabetico dalla Germania fino alla Tunisia. Ci sono Canada, Stato Spagnolo, Stati Uniti, Francia, Paesi Baschi, Russia … tra gli altri.

I rappresentanti sono indigeni, sono nazionali e internazionali. Il gruppo mostra di essere di molti giovani e nuovo, e c’è anche un’allegria collettiva che porta ricordi. Non è solo indigena ma nazionale e non è solo nazionale, ma internazionale. Non custodisce solo memoria e sapere di lotte passate. Dà anche dimostrazione dell’attuale conoscenza in cui c’è molto di giovane, qui e nel mondo.

Con le seguenti parole il subcomandante Moisés esplora un nuovo modo di esprimersi. Anche di comunicazione. I frequenti punti e commi, con i quali nel testo scritto si registrano le sue pause, hanno il sapore di sentenze che sono dette per riflettere e fare. Sono dette con rispetto e modestia. E con fermezza.

Incominciando, il subcomandante chiarisce che per sua voce parla la voce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Il messaggio va alle cose immediate. Informa che sono lì, come invitati d’onore che ci onorano, –dice– i familiari di coloro che ci mancano ad Ayotzinapa, in Messico e nel mondo.

In poche parole unisce la comunità, il paese e il mondo. Non isola le lotte dei popoli originari dalle lotte nazionali e mondiali.

Fin dall’inizio lancia un principio, che spesso ripeterà, con il quale mette in relazione l’organizzazione con la presa di coscienza. Mostra che solo come popoli organizzati otterremo la verità. E chiarisce ciò che noi nascondiamo e ciò che ci nascondono: creeremo “realtà” solo organizzando la conoscenza e anche l’azione.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Bisogna Bisogna fare attenzione: la verità scomparsa sarà assente fino a quando non ci organizzeremo. È di più, solo organizzati con la verità potremo costruire la giustizia. Così, con l’organizzazione delle comunità e dell’insieme delle comunità organizzate –al suo interno e tra loro– potremo costruire la verità e la giustizia, di cui sentiamo la mancanza e che senza organizzarci non otterremo per quanto pensiamo o parliamo.

Non si riferisce più ad Ayotzinapa ma al mondo. Parla della verità che è stata sequestra, della verità che è stata assassinata in tutti gli angoli del pianeta Terra.

A questo punto emerge un’impressionante forza teorica e strategica. La lettura zapatista non cerca più di diffidare solo dei cattivi governi, tema che lo zapatismo spesso invoca nella lotta per la libertà. Lo continua a fare ma con più forza ed insistenza.

Per voce del subcomandante sostiene che questi cattivi governi sono dipendenti del capitale; che servono solo ai grandi capitalisti, e che piuttosto ricordano i sorveglianti, gli amministratori e i caporali delle grandi aziende capitaliste.

Il richiamo alla memoria collettiva e all’esperienza storica dei padri e degli anziani fa molto pensare. Aiuta ad uscire dal mondo delle astrazioni. Unisce il pensiero e l’azione, il passato e il presente, il prima e l’ora, il medesimo qui e il pianeta Terra. Tutto di per sé viene trascurato, o non viene considerato, o non si sa. Questa è la verità che avanza nella casa e nel mondo.

E non importa ciò che dicono i cattivi governi, perché in realtà non sono governi che pensano e agiscono per proprio conto, ma comandano obbedendo al vero capo che è il capitalismo neoliberista.

Nelle sue conclusioni del pensare veramente per agire, afferma che viviamo in un mondo nel quale tutto ciò che in verità vogliamo costruire lo dobbiamo costruire tra noi.

E a quel punto appare l’esempio dei familiari degli assassinati e scomparsi di Ayotzinapa. Vanno realizzando la loro ricerca della verità e della giustizia organizzando la loro propria lotta. Si incomincia dalla costruzione della propria lotta.

Dopo questa riflessione ne viene un’altra non meno importante contro l’individualismo. Che ci è anche dato a causa degli interessi personali o mafiosi, dele clientele e delle sette e delle “tribù” politiche e anche rivoluzionarie, che si distruggono al loro stesso interno e che fanno conflagrare i processi emancipatori.

Bisogna sostenere con fermezza il pensiero e l’azione di solidarietà con i nostri fratelli vivi o morti, con questa solidarietà ribelle di cui ci danno un esempio i familiari degli assassinati e scomparsi ad Ayotzinapa, i papà e le mamme che hanno lasciato le loro case, le loro famiglie e il loro lavoro per incontrarsi con altre famiglie che hanno uguali dolori, rabbie e voglia di resistenza.

Come dire, non bisogna lasciarsi dominare dagli interessi individuali né solo da quelli familiari, né fermarsi unicamente alla lotta del paese, del quartiere o del villaggio, ma condividere le resistenze e le lotte che altri fanno in altre parti.

La prima cosa è lottare contro l’individualismo che fa tanti danni ai legami familiari, alla forza della comunità o del movimento delle comunità, e lottare contro l’idea che un uomo o una donna da soli, come un ammirevole individuo, risolverà i nostri problemi. Non pensare più agli interessi individuali né credere nell’individuo che dice che ci salverà.

A questo punto appare nel mondo la crisi dei partiti politici e la fine delle ideologie e dei programmi annunciati nelle campagne elettorali, che né vengono rispettati né sono realizzati. Questa crisi delle ideologie e dei partiti che tanto ha voluto e vuole l’ultra destra per imporre il regno della corruzione e della repressione, ma che è anche una realtà che mostra ai popoli il lato ingannevole della democrazia nella quale i popoli non comandano.

Nessuna mediazione di politici e partiti che semplicemente dividono e si dimenticano di tutto e di tutti. Nessuna vana speranza sul fatto che ci salveranno, quando l’unica cosa che gli interessa è avere delle basi di appoggio per ottenere posti e concessioni all’interno dei propri partiti o dei propri governi.

E dice: invitiamo a costruire e ad estendere l’organizzazione in ciascun luogo dove viviamo e dove altri che soffrono vivono. Per questo è necessario immaginare come potrà essere una nuova società. Studiare come stiamo in questa società in cui viviamo.

Per quanto si riferisce a noi zapatiste e zapatisti è una società dove siamo sfruttati, repressi, disprezzati (fate attenzione) e da secoli depredati da padroni e così fino ad oggi, fine del 2014 e inizio del 2015, continua la società.

Da allora fino ad oggi ci hanno voluto ingannare, dicendoci che loro, quelli in alto, sono i più capaci (riferendosi al neodarwinismo) e che noi non serviamo a nulla (riferendosi al neomaltusianismo).

Che siamo tonti, così ci dicono.

Che loro sì che sanno pensare, immaginare, creare, e che noi siamo i braccianti in quello che loro fanno. A quel paese con questo! Afferma con forza e intensità … E torna sull’organizzazione, con riflessioni sempre più profonde:

I compagni studenti scomparsi ci stanno chiamando ad organizzarci affinché non ci succeda lo stesso in questo sistema in cui siamo. Perché lo hanno spiegato molto bene i familiari di Ayotzinapa. Come buoni maestri, i familiari hanno spiegato che il responsabile del crimine è il sistema capitalista attraverso i suoi sorveglianti, le sue scuole per sorveglianti, amministratori e caporali. E queste scuole dove apprendono sono i partiti politici di coloro che cercano solo incarichi, posti, posticini. È lì dove si preparano i servi dei cattivi governi. È lì dove apprendono a rubare, a ingannare, ad imporre, a comandare. Da lì escono quelli che fanno le leggi, che sono i legislatori. Da lì escono quelli che obbligano a rispettare queste leggi, con la violenza, che sono i presidenti grandi, medi e piccoli, con i loro eserciti e poliziotti. Da lì escono quelli che giudicano e condannano coloro che non obbediscono a queste leggi, che sono i giudici … Il loro lavoro là in alto è non lasciarci respirare a noi che siamo in basso.

Un altro chiarimento. La lotta non è di razze, né di lingue né di nazionalità, né di generazioni. E questo è ciò che ci insegnano i familiari e i compagni di Ayotzinapa, che è meglio cercarci e incontrarci, noi che subiamo questa malattia che si chiama capitalismo. Ayotzinapa non è nello stato messicano del Guerrero ma è in tutto il mondo …

Con queste e altre parole che commuovono vale la pena leggere il discorso completo, senza più le annotazioni che gli abbiamo messo per far vedere che la saggezza umana si esprime per bocca degli zapatisti, e che gli zapatisti chiariscono che prima o poi ciascuno dovrà lottare secondo il proprio pensiero, secondo il proprio luogo, secondo la propria storia, secondo i propri modi.

Con questa ampiezza di idee, di posizioni, di impegni, dopo la crisi delle ideologie, gli zapatisti si arroccano nella lotta per un mondo morale e per la riscoperta della teoria critica. Secondo le loro parole, del “pensiero critico” come vedremo.

L’organizzazione della verità e del dovere con quelli in basso e alla sinistra si trasformerà in forza, insieme a quanto si apprende dalla propria lotta e dalle altre lotte con i cui sostenitori si accompagna, e con i quali dialoga, dai quali apprende. Lottare, dialogare e apprendere sono così importanti come organizzarsi.

Quasi al termine delle sue parole, con un abbraccio d’affetto e ammirazione, che gli zapatisti si rivolgono agli assenti e ai presenti di Ayotzinapa, menziona uno ad uno i nomi e i cognomi dei quarantasei morti e scomparsi … I loro nomi risuonano in modo impressionante … Sono di coloro che sono caduti per un mondo nel quale sparisca lo sfruttamento, la repressione e la discriminazione, per un mondo senza capitalismo.

E tornando a questa lotta, dobbiamo sapere che cercheranno di comprarci, cercheranno di dividerci, ci incuteranno tutta la paura o le paure che possono, e ci metteranno trappole per distoglierci dalla nostra vera lotta, affinché abbandoniamo (qui esce un concetto inatteso e presente) il nostro NO alle transnazionali, tutto perché vogliamo solo vivere in pace senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo, con l’uguaglianza tra uomini e donne, con il rispetto di quanto è differente, affinché in campagna e in città decidiamo uniti ciò che vogliamo.

Torna così la crescente idea delle comunità e dei sistemi di comunità che decidono, che hanno il potere organizzato di decidere, e che non ha nulla di anarchico come con entusiasmo o rabbia credono i marxisti metafisici, ma che corrisponde ad un altro modo nuovo di espressione di una lotta con differenti attori e le loro storie, nella quale conta quella dei popoli originari e quella dei compagni della Sesta nazionale e internazionale attuali e potenziali …

Ma nulla, di vane ostentazioni. Sappiamo che manca ciò che manca. Di per sé lo sappiamo. Anche il pensiero critico è necessario per la lotta. Il pensiero critico lo chiamano teoria. Il pensiero che chiede, che mette in questione, che dubita … Pensare e lottare, lottare e pensare. Nemmeno nelle condizioni più difficili dobbiamo abbandonare lo studio e l’analisi della realtà. Lo studio e l’analisi sono anche armi per la lotta, per l’organizzazione.

Non sola la pratica, non sola la teoria. E ricordare: non c’è uno solo che cammina. Non c’è un solo cammino. Sono molti anche se la destinazione è la medesima: la libertà, la libertà, LA LIBERTÀ.

Che muoia la morte che il capitalismo impone. Che viva la vita che la resistenza crea.

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Con queste parole che il lettore potrà trovare all’indirizzo di “Enlace Zapatista” e in altri siti, facciamo queste annotazioni ad un originale che rivela il ruolo fondamentale e il pensiero profondo, che ha una portata universale, che proviene dalle minoranze etniche e dai popoli originari, pionieri nella costruzione di un altro mondo possibile e necessario, nel quale la società si organizzi, affinché sia fatto ciò che i suoi membri decidono, meta e mezzo liberatore con il quale viene dato alla politica un ruolo comunicativo e pedagogico senza precedenti nella storia dell’educazione e del dialogo.

10-01-2015

Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Pablo González Casanova, “Una lectura zapatista” pubblicato il 10-01-2015 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=194154] ultimo accesso 21-01-2015.

 

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