Il Brasile progetta di privatizzare l’assistenza sanitaria ai popoli indigeni


José Manuel Rambla

In Brasile la politica federale sulla salute dei popoli originari va dallo slogan pubblicitario all’indolenza. Ora, una nuova svolta può mettere fine agli sforzi in questo campo, giacché una proposta ufficiale vuole privatizzare la gestione della salute dei popoli indigeni del Paese.

La popolazione indigena del Brasile è abituata alla sofferenza e alle minacce. Non invano, i popoli originari brasiliani da decenni subiscono l’espulsione dalle loro terre; la pressione dei fazendeiros (proprietari terrieri, ndt) sotto forma di piantagioni di soia transgenica, allevamento o pistoleri al soldo, o la distruzione delle loro comunità a colpi di violenza e sradicamento. A tutto questo i popoli indigeni sono venuti rispondendo con una resistenza molto diseguale per quanto riguarda le forze. Ora, tutta la lunga e obliata lista di aggressione sta venendo ampliata da un nuovo attacco: la privatizzazione del loro sistema pubblico della sanità.

Gli allarmi si sono scattati definitivamente lo scorso 1 agosto. Quel giorno Antônio Alves, Segretario Speciale della Salute Indigena, si riuniva a Brasilia con il ministro della Sanità, Arthur Chioro, del Partito dei Lavoratori (PT), per presentargli la sua nuova proposta di un nuovo modello per l’assistenza sanitaria delle comunità indigene. In realtà, già da vari mesi stava lavorando a questa idea e, di fatto, alcuni documenti già dalla fine dell’anno passato circolavano negli uffici di Alves. In pratica, i cambiamenti poco chiari sono focalizzati sulla creazione di un nuovo ente autonomo, l’Istituto Nazionale di Salute Indigana (INSI) che assumerebbe la gestione diretta dell’assistenza sanitaria verso le comunità indigene.

La proposta giunge solo dopo quattro anni dalla creazione, all’interno del Ministero della Sanità, della Segreteria Speciale della Salute Indigena (SESAI). Questa istituzione era una risposta alla richieste indigene che chiedevano una sanità pubblica, direttamente legata al ministero, rispetto la politica sviluppata fino a quel momento attraverso la Fondazione Nazionale di Sanità, nella quale primeggiava l’esternalizzazione dei servizi.

Il modello pubblico veniva accompagnato da un importante incremento degli investimenti, anche se limitato, tenendo conto dell’enorme lavoro in sospeso. Così, se nel 2008 il bilancio destinato alla sanità delle comunità indigene superava appena i 360 milioni di real (circa 120 milioni di euro), il passato esercizio si chiudeva con una spesa di 1.136,4 milioni di real (378,8 milioni di euro) [1]. Buona parte di questa partita del bilancio doveva essere assorbita dalle spese per il personale. Di fatto, l’anno scorso l’assistenza sanitaria verso i popoli originari occupava 19.280 dipendenti, dei quali il 39% proveniva dalla stessa popolazione indigena. Inoltre, uno degli accordi raggiunti con i popoli indigeni per la creazione della SESAI, includeva l’impegno di coprire, entro il 31 dicembre 2015, con professionisti della sanità pubblica i posti attualmente occupati attraverso contratti con tre ONG.

Ed è qui che cominciano i presunti problemi. Di fatto, da parte del ministero sono state evidenziate le difficoltà di mettere in marcia un bando per l’assunzione di impiegati pubblici per un lavoro con peculiarità così ampie come quelle legate alla salute indigena. In questo senso, i responsabili ministeriali mettono in guardia sulla difficoltà di trovare candidati stabili per dei posti che obbligano ad affrontare grandi distanze, rimanere per mesi in villaggi con difficili comunicazioni, per non parlare della sfida che presuppone una realtà pluriculturale con più di 270 lingue.

Nonostante ciò, le comunità indigene e le organizzazioni che appoggiano le loro rivendicazioni considerano che dietro questi argomenti si nasconda una mancanza di volontà politica e un passo indietro nella gestione della salute delle comunità indigene, dietro le quali si nascondono pratiche di terziarizzazione e privatizzazione della gestione attraverso il futuro INSI. In realtà, non gli mancano motivi di sfiducia perché, di fatto, nel 2013 il Ministero della Salute non ha nemmeno autorizzato il bando di due concorsi pubblici che la SESAI aveva sollecitato per coprire 4.203 posti e altri 2.674 a tempo determinato.

Di fronte a questa situazione alcuni pubblici ministeri sono andati più in là e hanno aperto un procedimento presso il Tribunale Regionale del Lavoro di Brasilia. I pubblici ministeri pensano che la SESAI non stia rispettando il suo impegno di occupare con personale pubblico i 12.200 posti di lavoro che attualmente sono coperti con contratti da ONG. Per questo motivo, sollecitano che questo ente sia sanzionato con una multa di 326,9 milioni di real (108,9 milioni di euro). Secondo quanto asseriscono i pubblici ministeri in un loro documento, datato lo scorso febbraio, l’ente governativo, “con sfacciataggine, confessa di non aver intenzione di realizzare il concorso e vuole realizzare un accordo giuridico-istituzionale che consisterebbe nel passare la gestione ad una organizzazione sociale” [2].

Critiche che sono rifiutate da parte del Governo Federale, che si difende dicendo che il progetto dell’INSI è un tentativo di modernizzare il programma di assistenza sanitaria verso le comunità indigene. Così lo difendeva lo stesso ministro, Arthur Chioro, che ha difeso la proposta come “un tentativo di modernizzazione del sottosistema di assistenza alla salute indigena, conformemente con le reali necessità dei villaggi e secondo le proposte presentate nell’ultima Conferenza Nazionale sulla Salute Indigena, realizzata l’anno passato. Questa proposta crea una struttura di gestione adeguata alla realtà che abbiamo nella salute indigena” [3].

In questo senso, il ministero vuole applicare a questo settore alcuni criteri di gestione simili a quelli che si stanno applicando alla Rete Sarah, un sistema di ospedali di riabilitazione finanziati con denaro pubblico ma gestiti attraverso una organizzazione privata. Nonostante ciò, per il Consiglio Indigenista Missionario (Cimi), una organizzazione legata alla Chiesa cattolica contraria alla proposta, il riferimento non poteva essere più sfortunato. “Il modello degli ospedali della Rete Sarah è stato considerato il modo più esplicito di terziarizzazione, privatizzazione e sperpero di denaro della sanità pubblica nel paese, a causa degli elevati costi di amministrazione e gestione dei servizi prestati e della mancanza di controllo sociale sugli ospedali legati alla rete”, sottolineano [4].

Oltre a richiedere il consolidamento di un modello di sanità pubblica per la popolazione indigena, il CIMI denuncia che il progetto prevede di emarginare la presenza dei collettivi indigeni negli organi di controllo del futuro INSI, contando solo su tre rappresentanti in un consiglio di 13 membri. L’organizzazione critica, inoltre, che tutto questo processo si stia realizzando alle spalle delle popolazioni indigene. A suo giudizio, “la SESAI, attraverso i suoi amministratori, ha escluso i popoli indigeni, il Consiglio Nazionale della Salute e la Commissione Intersettoriale di Salute Indigena dai dibattiti e dal processo di discussione sulla proposta di creazione di questo istituto. È deplorevole la mancanza di rispetto con cui il governo tratta le popolazioni indigene e con questa riforma assurda dimostra di nuovo di continuare ad andare contromano rispetto a tutto ciò che negli ultimi decenni è stato proposto e costruito dai popoli indigeni”.

Lacune informative

In realtà, l’oscurantismo e la mancanza di trasparenza negli affari che hanno a che vedere con la salute indigena non sono nuovi. Per il momento, varie revisioni dei conti hanno messo in evidenza che il ministero della Salute ha speso in modo irregolare circa 6,5 milioni di real (2,1 milioni di euro) durante gli esercizi 2011 e 2012 [5]. Tra le varie anomalie, i rapporti hanno portato alla luce duplicazioni nel pagamento di alcune attrezzature, mancanza di controllo nel pagamento di diarie, noleggio di veicoli senza ricevute, eccetera. Alcune irregolarità che, secondo i responsabili delle revisioni dei conti, potrebbero continuare a prodursi e che sarebbero intimamente legate alla terziarizzazione del servizio attraverso tre ONG: la Missione Evangelica Caiuá, la Società Paulista per lo Sviluppo della Medicina e l’Istituto di Medicina Integrale Professor Fernando Figueira. Lo scorso anno le tre organizzazioni hanno ricevuto un totale di 574,1 milioni di real (191 milioni di euro). Ma tra tutte, è la Missione Evangelica Caiuá, legata alla Chiesa Presbiteriana, quella che sta ricevendo maggiori fondi, che è la grande beneficiaria in questo processo, passando dal ricevere 36 milioni di real nel 2010 a 334,7 milioni nel 2013. Quest’anno, l’ONG evangelica ha previsto di ricevere circa 422 milioni di real [6].

Di fronte a tutte queste ombre, non è strano che lo scorso 6 agosto circa quaranta dirigenti e rappresentanti indigeni della regione del Rio Negro, nello stato dell’Amazzonia, riuniti a São Gabriel de Cachoira –primo municipio brasiliano ad eleggere un sindaco indigeno–, hanno scritto una lettera pubblica con la quale si chiedono apertamente: “Dove è andato a finire in tutti questi anni il denaro della Sanità Indigena?”. In questo senso, i firmatari del manifesto non nascondono il proprio pessimismo sulla situazione: “Le azioni promosse fino ad ora per migliorare la salute indigena non hanno avuto effetto, e se lo hanno avuto, è stato un effetto contrario a quello sperato. C’è una violazione dei diritti indigeni, legittimi e garantiti costituzionalmente, nell’area della salute. Per questo dovranno essere indagate tutte le pratiche di gestione amministrativa e i cambiamenti a cui si punta. Noi popoli indigeni di Rio Negro, che rappresentiamo il 10% del Brasile, vogliamo sapere dove sia andato a finire il denaro della sanità indegna” [7].

E non poche volte, i grandi numeri portati dal governo si limitano a pomposi esercizi di propaganda. Un buon esempio lo possiamo vedere nelle procedure previste per il sostanziale risanamento dei villaggi indigeni. Lo scorso anno il governo ha approvato una partita di 27,3 milioni di real (9,1 milioni di euro) destinati a questi lavori, nonostante ciò, quando è stato chiuso l’esercizio, era stato attuato solo un irrisorio 1,39% di questo bilancio. A questo si sommano le ombre della corruzione e delle irregolarità che per alcuni potrebbero rafforzarsi con i cambiamenti progettati nel sistema e nella privatizzazione della gestione [8].

Nel frattempo, il panorama sanitario delle popolazioni indigene continua ad essere desolante come sanno bene i rappresentanti riuniti a São Gabriel da Cachoeira. Lì due bambini del popolo Hupdá Maku sono morti a gennaio 2013 nel villaggio di Taracuá dopo aver sofferto di vomito, diarree e febbre senza essere visitati nemmeno da un medico. Almeno sette indigeni sono morti per mancanza di assistenza o per assistenza negligente secondo i dati raccolti dal CIMI nel suo rapporto sulla violenza contro i popoli indigeni. In questo sono inclusi anche almeno 44 casi di mancanza di assistenza sanitaria da parte dei differenti stati brasiliani che ammontano ad un totale di 437 danneggiati direttamente dalla mancanza di medici, medicine, bonifica delle acque, disattenzione per i problemi nei trasporti, eccetera.

Anche se due sono i temi che più chiaramente mettono in risalto la precaria assistenza sanitaria verso le popolazioni indigene del Brasile. Uno è l’elevata mortalità infantile che queste comunità continuano a presentare. Secondo dati provvisori, sono stati circa 693 i bambini indigeni tra 0 e 5 anni morti lo scorso anno. Risalta specialmente il caso del popolo Yanomami, la cui mortalità infantile nel 2013 è aumentata del 43,5%. Ugualmente, nello stato del Mato Grosso do Sul la mortalità infantile rasenta il 46 per mille dei nati, mentre i dati ufficiali situano la media brasiliana sotto il 20 per mille.

Anche se la grande epidemia che colpisce le comunità indigene brasiliane è, senza dubbio, il suicidio. In totale, durante l’anno scorso se ne sono registrati 73 casi, che ha rappresentato un aumento del 27,3% rispetto all’esercizio precedente. Un fenomeno in crescita che si accanisce, inoltre, con speciale intensità sulle popolazioni Kaiowá-Guaraní del Mato Grosso do Sul, che hanno sofferto il 99% dei casi registrati, in maggioranza giovani tra i 15 e i 30 anni. Di fatto, i kaiowá presentano alcuni indici di suicidio circa venti volte superiori ai tassi nazionali. Per gli esperti, questi livelli di suicidio ci starebbero rendendo manifesto che ci troviamo di fronte a tutta una generazione colpita dal Disturbo da Stress Post Traumatico, lo stesso che colpisce i soldati che ritornano da una guerra.

E il paragone, per disgrazia, non è esagerato. Perché ciò che finisce con il portare decine di giovani kaiowá a togliersi la vita, è una storia accumulata di espropriazione della terra, di ammassamento in riserve, di destrutturazione, violenza, mancanza di futuro. Anche di oblio, spesso complice, da parte dei poteri pubblici brasiliani. Un abbandono dello stato che ora è sul punto di scrivere un nuovo capitolo con i piani privatizzatori dei servizi sanitari per le comunità indigene.

Note:

[1] Al riguardo vedere Relatório de gestão do Exercício 2013, Ministerio da Saúde/Secretaria Especia da Saúde Indígena. http://conselho.saude.gov.br/web_comissoes/cisi/doc/Relat_Gestao_2013_SESAI.pdf

[2] “Órgãos de controle combatem terceirização de serviços a indios”. Valor Econômico, 3 de julio de 2014. http://www.valor.com.br/brasil/3572086/orgaos-de-controle-combatem-terceirizacao-de-servicos-indios#ixzz3Bbu3HsGy

[3] “Governo propõe criação de Instituto de Saúde Indígena”, Blog da Saúde, 28 de agosto de 2014. http://www.blog.saude.gov.br/index.php/570-destaques/34344-governo-propoe-criacao-de-instituto-de-saude-indigena

[4] “Nota do CIMI contra a privatização da atenção à saúde indígena no Brasil”. Conselho Indigenista Missionáiro, 11 de agosto de 2014. http://www.cimi.org.br/site/pt-br/?system=news&action=read&id=7652

[5] “Auditoria aponta gasto irregular de R$ 6,5 milhões com saúde indígena”. Folha de São Paulo, 8 de marzo de 2014. http://www1.folha.uol.com.br/poder/2014/03/1422568-auditoria-aponta-gasto-irregular-de-r-65-milhoes-com-saude-indigena.shtml

[6] “ONG concentra 64% da saúde indígena em todo o Brasil”. Valor Económico, 3 de junio de 2014. http://www.valor.com.br/brasil/3572084/ong-concentra-64-da-saude-indigena-em-todo-o-brasil

[7] “Carta pública dos Povos Indígenas do Rio Negro sobre a Saúde Indígena no Brasil”. Federação das Organizações Indígenas do Rio Negro, 6 de agosto de 2014. http://foirn.wordpress.com/2014/08/07/carta-publica-dos-povos-indigenas-do-rio-negro-sobre-a-saude-indigena-no-brasil/

[8] Sulla situazione sanitaria dei popoli indigeni, si può consultare “Relatorio. Violência contra os povos indígenas no Brasil. Dados 2013”. Conselho Indigenista Missionáiro, julio de 2014. http://cimi.org.br/pub/RelatorioViolencia_dados_2013.pdf

04 settembre 2014

Otramérica

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
José Manuel Rambla, “Brasil planea privatizar la atención sanitaria a los pueblos indígenaspubblicato il 28-07-2014 in Otramérica, su [http://otramerica.com/temas/brasil-planea-privatizar-la-atencion-sanitaria-pueblos-indigenas/3239] ultimo accesso 11-09-2014.

 

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