La nazionalizzazione della lotta contro il narcotraffico


Alfredo Rada

Quando Evo Morales nel 2006 assunse la presidenza, molti pensarono che sarebbe stata autorizzata la libera coltivazione della foglia di coca. Ma la decisione del nuovo governo fu di razionalizzare e diminuire la produzione della foglia di coca, differenziando la produzione nelle aree tradizionali permesse dalla legge, e la produzione eccedente e illegale che vuole espandersi verso zone non permesse.

Era la continuità della linea che permise, nell’ottobre del 2004, l’accordo con il governo di Carlos Mesa che autorizza nel Chapare un “cato” (40 x 40 metri) di coca a famiglia, con il quale fu pacificata questa regione che era stata lo scenario delle peggiori aggressioni governative. Con questa via d’uscita concertata Evo mostrò la statura di dirigente sociale con proiezione nazionale, capace di accordarsi per tagliare il circolo della violenza statale. Per riuscirci, per prima cosa dovette convincere le proprie basi, mostrando loro un cammino che neutralizzava il potere militare-poliziesco con cui vari governi neoliberisti vollero imporre il “Piano Dignità” elaborato nell’anno 1998.

Chiaramente non erano questi governi che avevano il comando nella lotta contro il narcotraffico; era il governo degli Stati Uniti, per mezzo della Drug Enforcement Administration (DEA), che definiva strategie, obiettivi e metodi. Una di queste strategie era quella che proponeva “Coca Zero”, che significava la militarizzazione del Chapare, attraverso la costruzione di una base aerea militare a Chimoré e il dispiegamento di militari boliviani sotto il comando straniero. Di questo tipo fu, per citarne una, la nefasta esperienza della “Forza di Spedizione”, creata alla fine del 2001 con mercenari. Parte di quel piano fu anche il tentativo di militarizzare gli Yungas che realizzò il ministro Guillermo Fortún (f) a metà di quello stesso anno. Tutto questo itinerario di violenza ha lasciato un totale di 106 morti e di due centinaia di feriti.

Il governo di Evo Morales ha applicato una strategia completamente diversa –la razionalizzazione e il controllo sociale della produzione della foglia di coca– per diminuire le superfici nette destinate alla produzione della foglia di coca in Bolivia. È una strategia basata sulla concertazione con gli stessi produttori, ottenendo nel Chapare e negli Yungas accordi per la riduzione volontaria e pacifica. In questi luoghi non viene applicata la violenza statale, nemmeno metodi di indiscriminata fumigazione aerea con erbicidi che distruggono la natura. Ma si applica la fermezza legale procedendo allo sradicamento forzato lì dove la produzione di coca non è permessa.

Con questa strategia e questi metodi si è riusciti ad invertire la tendenza alla crescita della superficie coltivata, diminuendo negli ultimi anni in modo sostenuto questa superficie fino agli attuali 27.000 ettari, fatto che ci trasforma nel paese della regione andina con la minore quantità di coltivazioni. Bisogna segnalare che questi non sono dati del governo, ma di una organizzazione multilaterale pienamente riconosciuta come è l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (ONUDC).

Il risultato boliviano risalta di più se lo compariamo con paesi come la Colombia che ha 62.000 ettari di coca, o il Perù con 61.200 ettari. Né con la presenza della DEA, né con la distruzione dei cocali che comporta lo sfollamento dei cocaleros (produttori di coca, ndt), né con le fumigazioni intensive con glifosato e altri prodotti chimici hanno potuto diminuire la produzione di foglia di coca.

Ma i metodi sono solo una parte della nuova strategia boliviana, l’altra è la nazionalizzazione della lotta contro il narcotraffico. Per decenni sono stati gli organismi nordamericani che hanno avuto ingerenza nelle decisioni su questa materia, fatto che è sinonimo di ingerenza politica che viola la sovranità del paese. Questo è cominciato a finire nell’anno 2008 con l’espulsione della DEA e si è consolidato quest’anno con l’uscita dell’USAID. La DEA, che iniziò le sue operazioni nel nostro territorio nell’anno 1974, si occupava di controllare le attività della forza pubblica, mentre l’USAID, presente fin dal 1963, lavorava in progetti di compensazione nelle zone cocalere e finanziava le istituzioni destinate a propagandare l’ideologia statunitense anticoca e antidroga.

Con la nazionalizzazione, la Bolivia assume maggiori responsabilità nella parte logistica, operativa e di intelligence antinarcotici. Attua anche un maggior sforzo fiscale che è incominciato nel 2008 con l’assegnazione di 140 milioni di Bs (20 milioni di dollari) per rimpiazzare i tagli di bilancio che Washington ha cominciato ad effettuare dal 2006, come forma di ricatto finanziario mentre continuava ad insistere con le sue sempre meno rilevanti “non-certificazioni” annuali.

Dalla nazionalizzazione è aumentato il numero di operazioni antidroga che effettuano le forze combinate militari e poliziesche boliviane. È aumentata la quantità netta di sequestri di droga e dei precursori. Si è scoperto e distrutto il maggior numero di laboratori e buche di macerazione. Si sono sempre più adottati migliori meccanismi finanziari contro il lavaggio del denaro sporco. Si è evitato che nel nostro paese si insediassero i cartelli stranieri dei narcotrafficanti, anche se, certamente, sempre cercheranno di fare i loro sporchi affari, ma non possono farlo su ampia scala e con la violenta azione territoriale con cui operano in Messico o Guatemala.

Sicuramente mancano delle cose da fare o migliorare quelle che si stanno facendo. Devono essere fatti maggiori sforzi nella lotta contro il microtraffico delle droghe nelle città, maggior controllo ed epurazioni nelle forze antinarcotici, maggiore efficienza nei procuratori e giudici. È anche necessario consolidare gli sforzi nazionali nello spazio regionale sudamericano, giacché stiamo scontrandoci con il più globalizzato degli affari, la cui materia prima si produce nell’emisfero sud, i cui circuiti di commercializzazione e distribuzione sono nei cinque continenti, e i cui maggiori mercati di consumo, creazione di surplus e lavaggio di denaro sono nei paesi sviluppati dell’emisfero nord.

Ma siamo molto lontani da questi apocalittici scenari che si sforzano di costruire analisti e istituzioni private con il finanziamento “made in USA”, impegnati a penalizzare la foglia di coca e a sradicare il suo consumo legale e tradizionale. Non dimentichiamo che una di queste istituzioni, il CELIN, alcuni anni fa affermava per bocca del suo direttore, quando un giornalista lo interrogò su questo tema: “Se perfino il latino è scomparso come lingua, come non sparirà l’acullicu (bolo di foglie di coca che viene masticato, ndt) …”.

12-11-2013

Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Alfredo Rada, “La nacionalización de la lucha contra el narcotráfico pubblicato il 12-11-2013 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=176706&titular=la-nacionalización-de-la-lucha-contra-el-narcotráfico-] ultimo accesso 13-11-2013.

 

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