L’attuale lotta degli insegnanti è la sollevazione docente più importante prodottasi dal 1989 e una concreta espressione della crisi di egemonia che esperimenta lo stato messicano: le classi dominanti e i loro regimi non possono più continuare ad esercitare un effettivo controllo sui lavoratori con le medesime strutture politiche del passato. L’insperata mobilitazione della base del Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione (SNTE) non solo risulta interessante per ciò che rappresenta per l’organizzazione sindacale più numerosa del paese, ma soprattutto per il tipo di conclusioni che si possono ricavare osservando la spaccatura di quello che è stato uno dei principali pezzi del controllo sindacale in Messico.
In effetti, l’opposizione creata dalla Riforma Educativa di Peña Nieto va molto al di là della base del Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione (CNTE), attualmente abbraccia stati della Repubblica e sezioni del SNTE che tradizionalmente erano rimasti apatici e sotto l’indiscutibile controllo della burocrazia. “Il letargo si è trasformato in fiammata”, metteva in evidenza alcuni giorni fa una corrispondenza della rivista Contralínea, che enfatizzava che fossero avvenute mobilitazioni di massa di docenti non solo nel Sud del paese, ma anche nel Nord, Nordest, nell’Occidente e nella costa del Golfo, arrivando così a contare 26 stati con un “deciso movimento” [1]. Rispetto a ciò risalta la situazione sviluppatasi in stati come Veracruz, Quintana Roo e Chiapas dove la lotta ha completamente sconvolto l’ambiente politico degli stati, sfociando in occupazioni di strade, di presidenze municipali, di centri turistici e commerciali, così come nell’occupazione di televisioni e radio locali.
Per le condizioni di relativa calma che si respirava in questa ed in altre latitudini fino a prima dell’approvazione della Legge Generale del Servizio Professionale Docente, gli osservatori superficiali avrebbero potuto affermare che nessun avvenimento rilevante sarebbe avvenuto. Nonostante ciò, in modo improvviso la rabbia accumulata in anni di menzogne è venuta alla superficie e la base delle sezioni 25, 32 e 56 del SNTE hanno immediatamente ignorato i propri segretari generali, che avevano nascosto le informazioni sulla riforma e avevano invitato la base alla calma. D’altra parte ci sono casi estremamente significativi come quelli di Jalisco, Campeche, Tamaulipas, Yucatán, Tabasco, Sinaloa, Sonora, Nayarit, Chihuahua e lo Stato del Messico, regioni tradizionalmente conservatrici dove l’immobilità della base aveva sempre dato margini di manovra alle cupole sindacali per utilizzare la forza del sindacato nell’interesse del PRI, del PAN, del PANAL e dei settori imprenditoriali. Basta ricordare il cinismo con cui Elba Esther Gordillo potè trafficare con milioni di voti durante l’elezione presidenziale del 2006, mobilitando per questa le risorse economiche e umane del SNTE.
Allora la situazione generale vissuta nel settore docente risulta straordinaria. Al di là delle sempre combattive sezioni del Michoacán, Guerrero e Oaxaca, si è prodotto un generalizzato risveglio che incomincia a mettere in questione la democrazia interna del sindacato e i tradizionali dirigenti autoritari. È pertanto prevedibile che la lotta del settore docente contro una riforma di livello costituzionale abbia un significativo impatto sulla struttura di potere corporativo e sul futuro politico di stati tradizionalmente conservatori.
A questo riguardo, val bene la pena di collegare fatti che a prima vista sono apparsi sconnessi, ma che visti nella loro continuità storica ci mostrano la forma in cui i riassestamenti tra le classi sociali del paese si stanno producendo. Il vero motivo per cui nello scorso febbraio Peña Nieto ha deciso di inviare Elba Esther Gordillo in prigione non è stato lo storno di abbondanti fondi del sindacato per interessi personali e dei suoi accoliti (situazione che era perfettamente conosciuta e permessa da molti sessenni), ma l’aver dichiarato la sua aperta opposizione al punto nodale della Riforma Educativa, che facilita il licenziamento ingiustificato e mette fine alla stabilità lavorativa di centinaia di migliaia di professori. Anche se precedentemente la Gordillo aveva appoggiato in altri ambiti l’avanzamento della riforma neoliberista, come nell’emendamento sulle scuole di livello medio superiore (RIEMS) e nella creazione di un Istituto Nazionale di Valutazione Educativa (INEE) di taglio imprenditoriale, non poteva accettare l’introduzione di una riforma che avrebbe agitato e mobilitato sezioni sindacali controllate e tradizionalmente statiche.
Lo scontro vissuto all’inizio di quest’anno tra il governo federale e Elba Esther Gordillo, pertanto, non si può spiegare all’interno degli stretti margini del dissidio tra personalità politiche (per quanto molto potenti queste arrivino ad essere), né con il contrasto esistente tra gli interessi di distinti settori dell’establishment. Nello stesso modo con cui a suo tempo Carlos Salinas de Gortari incarcerò il dirigente petrolifero José Hernandez Galicia “La Quina”, il conflitto tra Peña Nieto e il SNTE riflette la crisi di una forma di dominio sindacale. Per questo motivo, nonostante che Juan Díaz de la Torre abbia preso il controllo del sindacato, una volta che la Gordillo è stata incarcerata, che abbia ristabilito la concordia con il governo federale, e abbia accettato senza fiatare tutte le condizioni imposte da Peña Nieto, è stato inevitabile che la struttura del SNTE vacillasse dalla base, poiché il contrasto essenziale di interessi non era tra il presidente e la burocrazia sindacale, ma tra il regime e la base degli insegnanti.
Il sindacalismo corporativo e gansterile è stato per molti decenni uno dei principali sostegni dello stato messicano e una delle strutture politiche che ha reso possibile l’esistenza di un sindacalismo fuso all’apparato statale attraverso il PRI. Per queste ragioni, risulta ipocrita il ritornello ripetuto di volta in volta in radio e televisione che i maestri sono i responsabili delle carenze del sistema educativo, così come dello sperpero e della corruzione dei propri dirigenti, poiché si sa bene che questi ultimi hanno vissuto per molti sessenni tutelati dal potere mentre la dissidenza era ferocemente repressa, così come dimostra il caso del professore Misael Núñez Acosta, assassinato nel 1981 per motivi politici.
Costi quel che costi, il regime ha sempre avuto una speciale cura nel mantenere il controllo di settori che per la loro importanza strategica potevano paralizzare il paese se tenevano una posizione indipendente e democratica: questo è stato il caso dei lavoratori petroliferi, dei minatori, degli elettricisti, dei lavoratori della salute e dell’insegnamento, tra gli altri. Non è casuale che questi medesimi sindacati siano stati quelli che hanno goduto delle migliori prestazioni e contratti collettivi all’interno di tutta la classe lavoratrice, in molti casi, con un proprio sistema di assistenza medica e previdenza sociale. Orbene, qui dobbiamo distinguere due distinti fenomeni che la borghesia e i suoi intellettuali sono soliti risolvere ipocritamente per seminare divisioni e mettere di fronte tra di loro i lavoratori.
I contratti collettivi e le prestazioni lavorative non sono state concessioni generose del regime né delle classi dominanti. Se fosse stato per loro, le condizioni di lavoro prevalenti durante il porfiriato (presidenza di Porfirio Díaz, ndt) sarebbero rimaste immutate. I sindacati, i contratti collettivi e le prestazioni sono diritti che in Messico sono stati ottenuti attraverso molte lotte operaie e una rivoluzione che ha lasciato un saldo di un milione di morti. Cosa distinta sono i variopinti dirigenti, che come abbiamo spiegato, hanno servito per molto tempo il regime per controllare i sindacati. Enrique Peña Nieto e le cupole imprenditoriali hanno iniziato, come altrettante volte nel passato, una offensiva contro le conquiste storiche dei lavoratori mettendo nel medesimo sacco i corrotti dirigenti sindacali e le basi lavoratrici. Questo discorso, utilizzato nel 2007 con la medesima efficacia durante la riforma della Legge del ISSSTE (Legge sulla previdenza e i servizi sociali dei lavoratori, ndt), e nel 2009 durante l’offensiva contro il Sindacato Messicano degli Elettricisti, ha potuto solo avere un eco in un paese che durante gli ultimi decenni è avanzato come nessun altro nella cultura antisindacale e padronale, che ha promosso l’idea che lo sviluppo del paese sarà possibile mettendo fine ai diritti lavorativi dei pochi lavoratori che ancora li conservano.
Recentemente il segretario all’educazione Emilio Chuayffet, ha minacciato di licenziare tutti gli insegnanti che sciopereranno e di sostituirli con nuovi educatori. In una intervista radiofonica ha chiesto in modo isterico la cancellazione dei salari dei maestri che decidessero di sospendere le lezioni, avvertendo che quei funzionari che non rispettino le disposizioni saranno meritevoli di sanzioni. E in effetti, il governo federale è deciso a utilizzare la repressione per fermare le mobilitazioni e intimorire i professori. Qui la domanda è se ci riuscirà e a che costo. Peña Nieto e i suoi consiglieri sanno che ricorrere alla repressione non è così semplice con un movimento di portata nazionale che è ancora in ascesa e che si presenta per la prima volta in sezioni che prima erano state immobili. Trattandosi di una materia di questa natura, il governo è cosciente che un uso sproporzionato della forza in un momento inadeguato, lontano dal placare gli animi potrebbe scatenare l’effetto contrario e trascinare nella lotta settori che sono ancora indecisi. È per questo che la tattica governativa in questo momento sta mirando a perseguitare la CNTE nel Michoacán, nel Guerrero e nell’Oaxaca, centri di avanguardia della lotta degli insegnanti, dove la Procura Generale della Repubblica ha appena spiccato ordini di arresto contro i loro dirigenti.
La repressione e la tattica della guerra sporca contro il movimento degli insegnanti, come la recente aggressione che hanno subito i professori della CNTE nel quartiere di Tepito, certamente potrebbero paralizzare momentaneamente gli animi della lotta, ma in nessun modo restituirà il consenso e la fiducia dei maestri verso il regime. Tutto il contrario, approfondirà le crepe dell’ossidata struttura sindacale corporativa e creerà un maggiore scontento sociale. Il tentativo del governo federale di reprimere i settori più combattivi degli insegnanti, nonostante ciò può essere evitato, se lungi dall’isolarsi, i professori della CNTE facessero un appello unitario a tutte le sezioni del SNTE a mobilitarsi contro la Riforma Educativa in una giornata di lotta unitaria. Questa tattica darebbe enormi frutti poiché metterebbe alla prova i segretari generali delle distinte sezioni del SNTE di fronte alla base degli insegnanti, accelerando il processo di differenziazione interna, e aiutandola a prendere coscienza della necessità di un cambiamento di fondo nel sindacato. Allora si aprirebbero importanti opportunità affinché la base degli insegnanti possa democratizzare il proprio sindacato e non riconoscere, come nel Quintana Roo, coloro che sono stati complici dell’approvazione di una Riforma Educativa padronale e contro i lavoratori.
Nota:
[1] Flor Goche, “La insurrección magisterial ya está en todo el país”, Contralínea, [En línea], 9 ottobre 2013.
25-10-2013
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Nahúm P. Monroy, “La insurrección magisterial, la crisis del SNTE y la lucha por un sindicalismo democrático” pubblicato il 25-10-2013 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=175971&titular=la-insurrección-magisterial-la-crisis-del-snte-y-la-lucha-por-un-sindicalismo-democrático-] ultimo accesso 30-10-2013. |