Cambogia: l’emergere di una nuova classe operaia


Juan Andrés Gallardo

Migliaia di lavoratoratrici dell’industria tessile della Cambogia che produce per la Nike lunedì scorso si sono scontrate con la polizia, che le ha represse.

Sono state brutalmente attaccate con manganelli elettrici con un saldo di 23 manifestanti ferite, una delle quali incinta di due mesi.

Le lavoratrici dell’impresa “Tessili Sabrina”, che confeziona abiti per la nordamericana Nike e impiega 5.000 operaie, lunedì hanno incominciato uno sciopero per reclamare una paga mensile extra di 14 dollari che permetta loro di affrontare i costi del trasporto, dell’affitto e della salute. Il salario minimo che guadagna la maggioranza delle lavoratrici, uno dei più bassi della regione, è di 75 dollari al mese che è appena sufficiente per sopravvivere.

Seguendo l’esempio delle e dei lavoratori di altre fabbriche del paese, 3.000 operaie della Tessili Sabrina lunedì sono scese in strada e hanno interrotto la via d’accesso alla fabbrica nella provincia di Kampong Speu, ad ovest della capitale del paese, Phnom Penh. Non si è lasciata attendere la risposta della polizia antisommossa che ha brutalmente attaccato le lavoratrici mostrando chiaramente che il loro obiettivo è quello di garantire gli affari delle imprese tessili installate nel paese durante l’ultimo periodo.

Un paradiso di mano d’opera a buon mercato

Dalla metà del decennio degli anni 90 vari dei principali marchi di indumenti (tessili e calzature) hanno trovato in diversi paesi dell’Asia una enorme fonte di mano d’opera a buon mercato e per mezzo di distinti gruppi industriali della regione, che da tempo si erano installati in Cina, hanno incominciato a trasferire le proprie imprese in paesi come India, Bangladesh, Cambogia, Laos e Vietnam. Ma è stato negli ultimi anni, quando in Cina sono aumentate le lotte operaie per migliori condizioni salariali, che l’installazione di questo tipo di imprese si è convertito in un boom nel resto del sudest asiatico.

Perseguendo l’obiettivo di avere maggiori profitti con il minor costo possibile molte delle multinazionali, soprattutto dell’industria tessile, hanno cercato i paesi con i salari più bassi. Secondo un articolo del quotidiano britannico Financial Times nel 2010: “i costi lavorativi in paesi come Cambogia, Vietnam e Laos, sono solo una frazione di quelli della Cina”. Mentre in Cina i lavoratori delle principali fabbriche installate nel delta del fiume Pearl stavano lottando per uno stipendio minimo superiore ai 100 dollari, in Cambogia il salario minimo era di 50 dollari, mentre in Vietnam era di 52 e nel Laos di 42 dollari al mese.

In Cambogia lo sviluppo di questa industria è stato così travolgente che nell’anno 2011 il 75% del totale delle esportazioni del paese riguardava la produzione tessile.

Come in Cina dove il gruppo industriale Foxconn, che impiega 1 milione di lavoratori in condizioni insalubri, insicure e con salari di miseria, la sete di guadagno dei capitalisti nemmeno in Cambogia  e nel resto dei paesi della regione ha limiti.

Se in Cina, dietro queste vere fabbriche “del sudore”, si trovano marchi come Apple, Dell, Hewlett Packard o Honda, in Cambogia o Bangladesh le stelle dello sfruttamento operaio sono Wallmart, Zara, H&M, Adidas, Nike, Acsis, ecc.

Le lavoratrici, nella grande maggioranza donne, sopportano giornate di lavoro di 14 o 16 ore con stipendi miserabili e in condizioni insalubri e assolutamente insicure. Quest’ultimo fatto è stato dimostrato il mese scorso nel crollo di un edificio di otto piani in Bangladesh, dove erano in attività varie imprese tessili, che si è trasformato in un vero assassinio capitalista in cui sono morti più 1.000 lavoratori. In Cambogia solo in una settimana del mese di maggio sono avvenuti dei crolli in due fabbriche tessili lasciando un saldo di tre operaie morte e più di 34 ferite.

In ambedue i casi il dispotismo capitalista è stato conclusivo e brutale. Tanto in Bangladesh come in Cambogia le lavoratrici avevano avvisato sui rischi di un crollo e il padronato le ha ugualmente obbligate ad entrare a lavorare in questi edifici pieni di crepe che si sono traformati nelle loro tombe. In ambedue i casi la connivenza del governo, della polizia, del ministero del lavoro e degli ispettori per la sicurezza è assoluta con gli impresari (nel caso del Bangladesh l’edificio che è crollato, il giorno prima era stato “dichiarato idoneo”  dagli ispettori per la sicurezza, mentre in Cambogia gli imprenditori pagano direttamente al governo una parte proporzionale dello stipendio dei lavoratori per evitare “problemi”).

L’emergere di una nuova classe operaia, giovene e prevalentemente femminile

Nonostante la brutalità e i soprusi dei padroni, del  governo e della polizia della Cambogia, negli ultimi anni è cominciata ad esserci resistenza da parte delle lavoratrici. È che, come questo fenomenale sviluppo dell’industria tessile e della calzatura, si è sviluppata anche una nuova e giovane classe operaia di più di 500.000 lavoratori, in maggioranza donne.

Nonostante le dure condizioni di lavoro e la grande quantità di lavoratrici con contratti precari, le operaie tessili, che in maggioranza (90%) erano contadine e sono emigrate nelle città alla ricerca di un lavoro, sono riuscite a mettere in piedi il loro sindacato, il Free Trade Union (FTU). Secondo il Financial Times nel 2010 il FTU riuniva più di 80.000 operaie. La forza della loro organizzazione ha permesso a loro di andare avanti con i metodi di lotta e nelle loro proteste.

Le lavoratrici dell’impresa Wing Star Shoes, che fabbrica scarpe da ginnastica per il marchio Asics e impiega 7.000 operaie, a marzo di quest’anno hanno bloccato la produzione e per un’ora hanno fatto un picchetto nella strada d’accesso alla fabbrica chiedendo un aumento salariale e migliori condizioni di sicurezza.

Secondo Say Sokny, membro del sindacato, il salario e le condizioni di salubrità sono due delle principali richieste giacché “le condizioni di lavoro sono così cattive che le lavoratrici spesso svengono nel laboratorio a causa del calore, della mancanza di ventilazione, della denutrizione, dell’esposizione chimica e delle lunghe giornate di lavoro”.

Nonostante ciò le lotte delle lavoratrici si sono moltiplicate e sono anche andate avanti nelle loro richieste. Il FTU ha dichiarato che durante il 2012 più di 85.000 lavoratrici tessili di 101 fabbriche avevano fatto scioperi o altri tipi di azioni.

A dicembre dell’anno passato l’impresa Kingsland che fabbricava roba intima per Walmart e H&M ha chiuso e licenziato tutte le sue lavoratrici senza nessun tipo di paga. A partire del 3 gennaio 200 lavoratrici si sono accampate di fronte alla fabbrica per impedire che i padroni ritirassero le macchine e il 27 febbraio 82 di loro hanno iniziato uno sciopero della fame. Due giorni dopo Walmart e H&M hanno convenuto di pagare degli indennizzi di 200.000 dollari (qualcosa di inedito nel paese dove le imprese chiudono le porte lasciando sulla strada le lavoratrici senza nessun tipo di paga).

Nonostante gli appelli del primo ministro Hun Sen, che il 28 marzo ha fatto pressione sulle lavoratrici affinché terminassero gli scioperi e le proteste, questi sono continuati e si sono allargati. Tra questi si contano due azioni per il reinserimento nei loro posti di lavoro delle delegate che erano state licenziate (come le migliaia di lavoratrici della taiwanese Can Sport Shoes, che sono scese in sciopero il 22/5), e la mobilitazione alla porta di un commissariato per richiedere la liberazione di sette lavoratrici accusate di incitare alla protesta.

Il sindacato sta progettando di iniziare una serie di lotte per rendere fisso il lavoro delle lavoratrici a contratto giacché “la grande maggioranza delle lavoratrici ha contratti a tempo determinato, in genere non più di tre mesi”.

L’azione delle lavoratrici della Tessili Sabrina, che lo scorso lunedì 27/5 si sono scontrate con la polizia, fa parte di una estesa lotta alla quale partecipano decine di migliaia di operaie tessili che stanno cominciando a far fronte alle brutali condizioni di lavoro che subiscono. (…)

Panorama Internacional

4/6/2013

da La Haine

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Juan Andrés Gallardo, “Camboya: la emergencia de una nueva clase obrerapubblicato il 04-06-2013 in La Haine, su [http://www.lahaine.org/index.php?p=69672] ultimo accesso 04-06-2013.

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