Se il fiume suona… significa pace in vista?


José Antonio Gutiérrez D.

Una analisi di fronte all’annuncio di conversazioni di pace tra Governo e insorti.

Con il beneplacito di buona parte dell’establishment, le conversazioni di pace sono tornate a porsi nell’agenda politica colombiana. Lo scalciare di Uribe, che ha denunciato incontri del governo con le FARC-EP a Cuba, cercando con questo di indirizzare la solidarietà verso il suo progetto di ultradestra [1], è bastato a che si creasse tutta una corrente di opinione favorevole a questi incontri. Gli è partito un colpo dalla culatta. Santos, riguardo al tema, si è destreggiato con molto ermetismo, ma questo lunedì TeleSur ha già dato la clamorosa notizia: le FARC-EP avrebbero firmato l’inizio di un accordo di pace con il governo colombiano [2]. Le aspettative sono grandi quando appena alcuni giorni fa Gabino, massimo comandante dell’ELN, dichiarava di essere disposto ad unirsi ad una iniziativa di dialogo a cui prendessero parte del FARC-EP [3]. Dichiarazione di grande importanza poiché dopo le lezioni del passato, oggi non è possibile un negoziato in parallelo con le distinte espressioni del movimento guerrigliero colombiano. Nel momento in cui scrivo queste note, al riguardo siamo in attesa della dichiarazione ufficiale di Juan Manuel Santos.

Questo incontro non è gratuito né nasce dalla buona volontà del presidente: è ovvio che la tesi della “fine totale” manca di sostegno e che il Plan Colombia ha toccato il tetto. Gli insorti hanno risposto alla sfida prospettando una crescita militare ed un nuovo ciclo di lotte sociali, una minaccia con il deterioramento della situazione politica nel medio periodo, ad un livello che sarà difficile da controllare da parte dell’oligarchia. A volte, lo scenario politico sembra pericolosamente volatile. D’altra parte, non sorprende nemmeno la volontà degli insorti di accostarsi ad un tavolo di negoziato: da una parte, perché da 30 anni sono gli insorti coloro che prospettano, in tutti i modi possibili, la soluzione politica del conflitto sociale e armato, e dall’altra, perché negli ultimi anni gli insorti hanno migliorato notevolmente le loro posizioni di forza, non solo militarmente, ma soprattutto, politicamente.

Guardarsi dalle false illusioni

Anche se la firma di questo accordo è uno sviluppo positivo, non possiamo essere eccessivamente ottimisti, e ancor meno trionfalistici, pensando che la “pace”, da sola, rappresenterà un trionfo per i settori popolari e le loro richieste storiche, da più di mezzo secolo bloccate dallo stato con il sangue e il fuoco. Bisogna avere la piena coscienza che il cammino verso un eventuale processo di negoziati è afflitto da contrattempi, così come che esistono differenze sostanziali, di fondo, rispetto al tema di cosa aspettarsi da questi negoziati o di cosa si intende con questa parola sulla bocca di tutti, “pace”.  Bisogna avere la piena coscienza che l’oligarchia con la quale si tratta è la più sanguinaria del continente e che non avvia negoziati per un improvviso cambiamento di cuore.

Mentre l’insieme delle organizzazioni sociali prospettano che la pace sia molto di più che il cessate il fuoco, ma che dovrebbe consistere nella soluzione collettiva dei problemi strutturali che danno origine alla violenza, per lo stato continua ad essere un tema di smobilitazione, reinserimento e di discussione delle relative formalità giuridiche [4]. Santos vuole “una ‘pace rapida’, sommaria, meccanica. La vuole clandestina, senza la presenza della moltitudine, senza società civile, senza organizzazioni popolari. La vuole senza riforme, senza cambiamenti di nessun tipo nella società nazionale. Per lui è sufficiente nell’ambito legale che recentemente è stato approvato e forse con le leggi che con difficoltà potrà trasmettere ad un Senato ostile che gli si sottrae velocemente di fronte all’imminente processo elettorale” [5].

Santos ha sostenuto una posizione ambigua sul tema della pace: da una parte, dice di avere le chiavi della pace, che un giorno perde e il giorno dopo appaiono in una cassaforte; dall’altra estende la guerra sporca mediante il rafforzamento della militarizzazione delle comunità rurali (i cosiddetti piani di Consolidamento Territoriale); mediante il rafforzamento dei colpi ai comandi intermedi della guerriglia e ad una strategia di messa sotto processo delle “reti di appoggio” del movimento guerrigliero ponendo sotto il potere giudiziario le necessità del progetto controinsurrezionale (essenza del Piano Spada d’Onore); e da ultimo, attraverso il rafforzamento dell’impunità per gli atti delle forze armate, all’interno di una sistematica strategia di terrorismo di stato (resurrezione del cosiddeto codice militare, accordo a cui recentemente sono arrivati Santos e Uribe).

Da una prospettiva santista, pace o guerra non sono se non strategie per imporre un insostenibile progetto economico-sociale neoliberista, basato sul Piano di (Sotto) Sviluppo Nazionale del santismo, i cui pilastri sono l’agroindustria e le megaminiere. Se si riesce a traformare questa opportunità di apertura di negoziati in uno spazio dal quale produrre le trasformazioni sociali che chiede il popolo colombiano, dipenderà dalla capacità di pressione e mobilitazione dello popolo stesso, e ciò succederà nonostante lo stato, non grazie ad esso.

Pace? Quale pace?

C’è una cosa che il blocco dominante non perde di vista. È che oggi la trattativa con gli insorti non è la stessa delle trattative del 1990-1994. Oggi, qui non ci sono organizzazioni il cui pensiero ideologico sia un liberalismo radicalizzato; non siamo di fronte a gruppi riformisti in armi, la cui direzione è prigioniera dal “social-entusiasmo”: nemmeno le richieste politiche di queste organizzazioni insorte saranno soddisfatte con promesse di riforme costituzionali cosmetiche né con generose garanzie di smobilitazione, né accetterano una “agenda ridotta”. Siamo di fronte a movimenti rivoluzionari che rappresentano i più poveri dei più poveri. Siamo di fronte a movimenti guerriglieri che rappresentano le aspirazioni storiche della classe contadina che è rimasta sempre sotto a tutte le iniziative di “pace”. Siamo di fronte ad insorti i cui piedi si confondono con la terra che calpestano. Siamo di fronte a coloro che non hanno avuto nulla e meritano tutto.

Nemmeno siamo di fronte a gruppi sconfitti militarmente come quelli che si smobilitarono nel 1990-1994, ma siamo di fronte ad organizzazioni fortemente radicate in ampie regioni del paese, con capacità operativa in quasi tutto il territorio nazionale, con una rinnovata capacità di colpire le forze armate dello stato; in ampie regioni del paese, la ribellione è una realtà politica inevitabile, un autentico doppio potere, che è legittimato in altre comunità calpestate dal consolidamento territoriale dell’Esercito e dal flagello paramilitare. Anche se alcuni cronisti [6] vogliono convincersi del contrario, se oggi gli insorti negoziano è perché possono negoziare, perché hanno la forza e la capacità per farlo. E lo sanno bene nella Casa Nariño che la smobilitazione e la resa anelata dall’uribismo non sono una opzione politica.

Questo lo riconosce un articolo del 25 agosto del El Espectador:

È chiaro che le Farc non sono un interlocutore facile. Vogliono una riforma agraria, che sia basata sulla Legge sulle Terre e sulla Legge sulle Vittime; pretendono che siano dibattute le forme di contrattazione con le multinazionali petrolifere e minerarie; vogliono spazi politici per avanzare verso un contesto più democratico, e credono che la pace oggi passa anche attraverso una ottima gestione dell’ambiente. Il resto sono dettagli di forma, come quello inamovibile di cosa bisogna fare nel territorio nazionale, nel caso della realizzazione di un negoziato.” [7]

Risulta appena ovvio che il discorso delle FARC-EP come una organizzazione “terrorista”, “brigantesca”,  “trasformata in un cartello del narcotraffico”, “lumpenizzata”, sia insostenibile, pura propaganda, anche quando possono essere messi in discussione certi metodi che utilizza. Nessuno di buon senso può negare che tutti i punti che gli insorti chiedono (terre, risorse naturali, democrazia, ambiente, educazione, salute, sicurezza sociale, ecc.) sono temi di cruciale importanza, dove le politiche del governo fanno acqua e che richiedono la più ampia partecipazione di tutta la società. Per i settori più recalcitranti dell’oligarchia è un autentico incubo che gli insorti impugnino questi temi e li convertano in elementi indissociabili dall’avanzamento di un qualsiasi tentativo di superamento alla radice del conflitto sociale e armato. Ciò che atterrisce l’oligarchia non è il supposto essere diventati briganti degli insorti, tanto agitato dai mezzi di comunicazione ufficiali, ma il suo carattere politico e rivoluzionario, così come la sua capacità di unire le richieste di differenti settori sociali.

È per quello che il blocco dominante sa che la grande lotta che ci sarà in futuro è sul piano politico, più che militare. Portavoci dell’imprenditoria si sono pronunciati a favore di una agenda di negoziati ristretta modellata sul negoziato con il M-19, come dire, un negoziato senza cambiamenti strutturali [8]. Sperano di uscire dai negoziati con il minor numero di concessioni e riforme possibili, e sanno che questo li pone in contraddizione non solo con gli insorti, ma con un settore importante del popolo organizzato. Per questo, dobbiamo stare attenti di fronte all’inasprimento della guerra sporca e degli attacchi contro le organizzazioni popolari in lotta per il cambiamento sociale che, tradizionalmente, in Colombia hanno accompagnato i processi di dialogo.

Momentaneamente si indebolisce la strategia militarista

Però anche se questa oligarchia ha molta diffidenza ad aprire le porte a negoziati che, sicuramente, termineranno con un dibattito nazionale sui progetti antagonisti del paese, sa anche che persistere sulla via della guerra è porsi la corda al collo; gli insorti si rafforzano e in tutto il paese oggi c’è un aumento del conflitto sociale e delle mobilitazioni popolari, che persistendo, potrebbe minacciare seriamente l’egemonia del blocco dominante. Il paese si trova sul bordo di un nuovo ciclo di violenza precipitatovi dallo sfollamento forzato, dal saccheggio violento di contadini e comunità, dalla penetrazione in tutto il paese delle imprese megaminerarie e dell’agroindusria. La violenza con cui si sta imponendo il modello santificato nel Piano di (Sotto) Sviluppo Nazionale di Santos, genera, necessariamente, resistenza. E la resistenza, in un paese come la Colombia, ha molteplici forme, essendo brodo di coltura di una situazione potenzialmente esplosiva.

Negoziare con gli insorti può servire all’oligarchia, nelle sue più ottimistiche proiezioni, a conseguire la pace neoliberista che permetta di avanzare nel progetto neoliberista agro-estrattivista, riducendo i livelli di resistenza, almeno, dei progetti degli insorti. In una inchiesta fatta agli imprenditori colombiani dalla Fondazione Idee per la Pace, “La grande maggioranza ha chiarito che scarta una agenda di negoziati che includa riforme strutturali e con molteplici attori, come successe nel Caguán. Ne preferiscono una ristretta al disarmo, alla smobilitazione e al reinserimento dove lo stato possa essere ‘generoso’.” [9]. Ossia, pace per facilitare lo sfruttamento delle masse e dell’ambiente colombiano.

Nelle proiezioni meno ottimistiche dell’oligarchia, i negoziati serviranno almeno a guadagnare tempo e a prepararsi ad affrontare, in modo più letale ed efficiente, il seguente ciclo di violenza che incombe all’orizzonte. Tale fu la reale intenzione del governo di Pastrana affrontando il processo di negoziati di San Vicente del Caguán. Lo stesso Pastrana, che parlava di pace, mentre negoziava il Plan Colombia e dava briglie sciolte allo strumento paramilitare dello stato, dieci anni dopo la rottura dei colloqui del Cagúan in un articolo riconobbe cinicamente questo fatto:

[Il] Plan Colombia (…) [ci] ha permesso di sederci al tavolo dei colloqui con uno svantaggio iniziale, praticamente disarmati, con la certezza che si sarebbero dovuti concludere, dopo il successo o il fracasso, con uno stato armato fino ai denti e pronto, come mai prima, tanto alla guerra come alla pace.” [10]

In ambedue i casi, sia che l’oligarchia cerchi la pacificazione del paese senza sostanziali cambiamenti, ossia che cerchino di guadagnare tempo per continuare con l’affare della guerra, qualsiasi pace che si otterrà sarà effimera, sarà appena la calma che precede la violenta tempesta che infurierà per mano degli esclusi, dei depredati, dei violentati, degli oppressi. E sono quelli che debbono mobilitarsi per imporre la necessaria volontà di cambiamenti strutturali e di fondo; al momento il vento soffia a loro favore, la mobilitazione popolare è in aumento ed esiste una salutare tendenza all’unità di coloro che lottano. Questi elementi favoriscono la possibilità del blocco popolare di trasformarsi in un fattore di peso nei negoziati, ancor di più quando il blocco dominante presenta contraddizioni interne che, senza essere antagoniste, sono abbastanza acute e gli creano una crisi di egemonia.

I “nemici (non così tanto) acciuffati”: Santoyo e le contraddizioni intraborghesi

L’egemonia del blocco dominante, consolidata durante quasi un decennio di Plan Colombia e la erroneamente chiamata “Sicurezza Democratica” (di cui Santos è stato un continuatore), si vede danneggiata non solo dalla crescente mobilitazione e dallo scontento popolare, ma anche dall’erosione dell’unità del blocco dominante. Diventano sempre più frequenti gli scontri tra l’uribismo trincerato tra gli esaltati elementi delle forze militari, degli allevatori, della narcoborghesia e del clientelismo, tutti coloro che vedono nella guerra il loro grande affare, e il santismo che rappresenta i supremi interessi dei gruppi imprenditoriali nazionali e del Capitale multinazionale, che cercano la “pace” per aprire la strada ai loro affari e investimenti nell’area agro-estrattivista. Anche se questi ultimi settori sono ricorsi anche al paramilitarismo per assicurare la “fiducia per gli investimenti” e alla depredazione violenta per arricchirsi, privilegerebbero un modo meno costoso di garantire i loro profitti, cosa che li pone in una situazione un poco differente dai settori della borghesia che strutturalmente dipendono dalla depredazione violenta per accumulare il Capitale.

L’editorialista Alfredo Molano, alcuni mesi fa, analizzava questa contraddizione nel blocco dominante e l’impatto che avrebbe su un eventuale processo negoziale:

“al presidente gli resta più facile negoziare con la guerriglia che con i militari, gli impresari e i padrini per non finire sconfitto in un altro Caguán. Fu questa carenza il vero ostacolo ai negoziati tra Pastrana e Marulanda. L’errore dell’ex presidente non fu di aver sgomberato 30.000 chilometri, fu di non aver preventivamente negoziato con l’establishment e con i militari il prezzo che queste due potenti forze erano disposte a pagare.” [11]

Mentre si approfondisce la crisi di egemonia del blocco al potere, e mentre avanzano le lotte popolari così come la ribellione, sarebbe insensato per Santos non reagire di fronte all’agitazione che l’uribismo porta avanti nelle caserme e al suo lavoro di polarizzazione all’interno establishment. Né Santos (né i gruppi imprenditoriali nazionali che rappresenta, né l’imperialismo che lo sostiene) accetteranno che Uribe si trasformi in un fattore di destabilizzazione. Tutti loro hanno appoggiato Uribe fino a quando gli è servito e li ha aiutati a ricomporre la malconcia egemonia di una oligarchia decadente. Ma né l’imperialismo né l’oligarchia hanno amici, ma solo interessi. Nel momento in cui smette di compiere questo ruolo, Uribe si trasforma in una “persona usa e getta”.

In questo senso deve essere letta la detenzione generalizzata a cui la giustizia sta sottoponendo il cerchio interno dell’uribismo, con la condanna di Rito Alejo, le crescenti segnalazioni di paramilitari come Mancuso per i suoi legami con le AUC, gli imbrogli dei familiari narcotrafficanti dell’ex presidente e l’estradizione del generale Santoyo. Non solo recentemente stiamo dando conto del marcio della cerchia di Uribe; questo si sa già da tempo, ma ora il contesto è un altro. Particolarmente il caso Santoyo sembra essere per Uribe un problema rilevante: se qualcuno può comprometterlo con il narcotraffico e il paramilitarismo, è lui. Ha già cominciato a parlare di alcuni generali, incluso del braccio destro di Uribe, Mario Montoya, e ha minacciato di “cantare” sui politici [12]. Sarà Santoyo la carta del santismo per cercare di mettere sotto controllo Uribe? Bisognerà vedere la reazione di Uribe all’annuncio di pace, cosa che probabilmente farà attraverso Twitter. Ma se decide di continuare a giocare alla destabilizzazione, molto probabilmente la sua caduta sarà solo questione di tempo.

Includere il popolo nel negoziato

Anche se dobbiamo guardare i colloqui senza ingenuità e con sufficiente realismo, è indubitabile che l’attuale momento apre un enorme potenziale per il superamento delle condizioni strutturali che hanno portato al conflitto sociale e armato in Colombia, e che hanno alimentato questo modello di capitalismo mafioso che accumula in funzione di un violento saccheggio. Sia Santos che gli impresari rifiutano, o sono restii ad accettare, la partecipazione di “molteplici attori” al processo di pace. Come dire, cercano di escludere il popolo dalla risoluzione di un conflitto che lo danneggia direttamente, lasciando così intatte le condizioni per lo scoppio di nuove violenze, come quelle che cronicamente colpiscono le società del post conflitto centroamericano. Anche se in Colombia il movimento guerrigliero fa parte di un rilevante accumulo di lotte popolari in Colombia, e anche se ha un livello di legittimità molto rilevante in molte regioni del paese, è chiaro che né gli insorti, né nessuna espressione del movimento popolare colombiano possono avere l’esclusiva rappresentanza del movimento popolare.

In varie occasioni la stessa insorgenza si è mostrata d’accordo su questa posizione, che è vista come conforme ai suoi postulati storici. Nella sua risposta al professore Medófilo Medina, il massimo comandante delle FARC-EP, Timoleón Jiménez, chiarisce il senso della lotta politica, “per il potere per il popolo”, di questa guerriglia comunista: “Né nel Programma Agrario, né in nessun documento successivo delle FARC fino alla data odierna, come organizzazione politico-militare mai è stato prospettato che la nostra meta sia la presa del potere dopo aver sconfitto in una guerra di posizione l’Esercito colombiano, come ogni volta si ripete a tutti quelli che insistono nel segnalarci l’impossibilità di questo obiettivo. Fin dalla nostra nascita le FARC hanno concepito l’accesso al potere come una questione di moltitudini in agitazione e movimento.” [13]

Su questa linea, il citato articolo de El Espectador chiaramente specifica, come un problema per il negoziato, che:

“In anticipo si sa che un altro degli aspetti difficili è l’agenda delle Farc. Al riguardo, è chiaro che all’inizio la richiesta della guerriglia è di includere la società civile nella questione. Come dire, che i movimenti sociali, l’università o le minoranze politiche abbiano la stessa voce che possono avere le associazioni economiche. Per questo il cosiddetto movimento della Marcia Patriottica può acquistare protagonismo. Si tratta di creare spazi politici dove la discussione non si limiti unicamente ai sussulti tra il Governo e la guerriglia. (…) Sul tema del Cauca le Farc hanno una opinione chiara: se si arriva ad avere un processo di pace con il Governo, gli indigeni di questo dipartimento debbono avere una voce speciale al tavolo dei colloqui.” [14]

È necessario che il popolo pretenda ed esiga il proprio diritto a prendere parte a questo processo e che lo trasformi in un dialogo nazionale in cui si discutano i progetti di paese che si sono confrontati nel conflitto che non è solo armato, ma prima di tutto sociale. Sulla soluzione politica, la stessa risposta del comandante  Timoleón Jiménez stabilisce che questa:

“non può intendersi se non come una riprogettazione dell’ordine esistente. Non si tratta del fatto che guerriglieri pentiti e anticipatamente screditati al massimo, consegnino le armi, si sottopongano alla gogna mediatica e giuridica, per successivamente, con la spada appesa ad un filo sulla loro testa, entrare nel mercato della politica dei partiti per fare da coro alle menzongne governative. Si tratta di ricostruire le regole della democrazia affinché le idee e i programmi siano dibattuti con pari opportunità. Senza il rischio di essere assassinati andando a casa. O fatti scomparire e torturati da una misteriosa mano nera di cui già si annuncia l’esistenza, come quelle forze oscure che sterminarono l’Unione Pattriottica sotto lo sguardo impassibile della classe politica colombiana. È giusto che si apra un dibattito pubblico e libero su queste questioni, che si possa parlare di questi temi senza essere immediatamente travolti dai monopoli organizzati dell’informazione.

In questi negoziati bisogna includere il popolo, anche se all’oligarchia dà fastidio vedere gente a piedi scalzi accaparrarsi l’attenzione del dibattito pubblico, terreno riservato per due lunghi secoli di vita repubblicana ad una elite dorata, a stirpi moribonde e decadenti i cui cognomi si ripetono occupando ogni volta tutti gli incarichi di potere. Si tratta di accaparrarsi questo spazio, di portare il dibattito politico sulla pace e la guerra, sul modello politico ed economico in tutte le piazze pubbliche della Colombia, in tutte le facoltà e scuole, in tutti i posti di lavoro, nei villaggi minerari e nelle frazioni rurali. Si tratta di utilizzare questo dibattito per elaborare un progetto di paese che raccolga ed armonizzi le richieste più sentite di tutti i settori popolari che oggi lottano contro il modello economico di morte e saccheggio imposto da quelli in alto.

L’annuncio dell’inizio di questo nuovo cammino alla ricerca della soluzione politica, non deve significare che bisogna smobilitare il popolo. Al contrario, significa che è ora che il popolo scenda a lottare con ancor più decisione, che aumenti la mobilitazione sociale e che si rafforzino gli spazi di unità del popolo in lotta. Dobbiamo accompagnare, più che mai manifestazioni come la Marcia Patriottica per evitare un nuovo genocidio e per proteggere gli spazi dai quali il popolo mobilitato fa sentire la sua voce e la sua scommessa per una nuova società. Dobbiamo appoggiare le lotte dei contadini, dei lavoratori, dei prigionieri politici, che oggi in tutto il paese sono in disobbedienza e sciopero. Dobbiamo esigere la cessazione della stigmatizzazione, della persecuzione e della detenzione dei lottatori sociali. Bisogna esigere che sia tolto l’epiteto di “organizzazioni terroriste” agli insorti per garantire così delle ottime condizioni per un dialogo franco e libero. Dobbiamo esigere che da questo accordo iniziale si avanzi fino ad una cessazione del fuoco bilaterale e allo smantellamento del paramilitarismo per proteggere la vita e l’integrità di questo popolo che oggi deve trasformarsi nell’attore protagonista di questo processo.

Solo la mobilitazione popolare garantirà che questo processo di pace, che si intravede all’orizzonte, si concluda con le trasformazioni strutturali che in Colombia ampi settori richiedono.  E alla luce delle enormi sfide prospettate dal potere, questa lotta per la pace non sarà niente meno che una lotta apertamente rivoluzionaria. È ora di parlare chiaramente sulla natura rivoluzionaria di questa lotta, che investe il confronto di un modello basato sullo sfruttamento, il saccheggio, la morte e l’esclusione, con un modello che cresce nel cuore del popolo, basato sull’inclusione, sul rispetto delle comunità e dell’ambiente, di carattere sostenibile per proteggere la vita, la dignità e l’autodeterminazione delle persone. Ciò che è in gioco è niente di più né di meno che il tipo di Colombia che si vuole costruire.

NOTE DELL’AUTORE:

[1] http://www.elespectador.com/noticias/politica/articulo-…-cuba

[2] http://www.telesurtv.net/articulos/2012/08/27/santos-y-….html Vedere anche http://www.caracol.com.co/noticias/escuche-aqui-la-entr….aspx e http://www.semana.com/nacion/telesur-dice-gobierno-farc….aspx

[3] http://www.semana.com/nacion/eln-dispuesto-proceso-conj….aspx

[4] Per un articolo che rifletta le tendenze predominanti nello stato circa i limitati guadagni che si aspettano da un eventuale negoziato, vedere http://www.elespectador.com/impreso/politica/articulo-3…antos

[5] http://www.rebelion.org/noticia.php?id=155098&titular=l…eblo-

[6] Vedere, per esempio, l’ultimo editoriale di Humberto de la Calle http://www.elespectador.com/opinion/columna-370093-paz o il seguente articolo http://www.elespectador.com/impreso/politica/articulo-3…antos Vedere, in risposta a questa tesi, un nostro precedente articolo http://www.anarkismo.net/article/21961

[7] http://www.elespectador.com/impreso/politica/articulo-3…e-paz

[8] http://verdadabierta.com/component/content/article/52-f…farc/

[9] http://verdadabierta.com/component/content/article/52-f…farc/

[10] http://www.eltiempo.com/Multimedia/especiales/caguan-pr…861-7

[11] http://www.elespectador.com/opinion/columna-353508-gran…rtida

[12] http://www.elespectador.com/impreso/judicial/articulo-3…ticos

[13] http://prensarural.org/spip/spip.php?article7176

[14] http://www.elespectador.com/impreso/politica/articulo-3…e-paz

(*) José Antonio Gutiérrez D. è un militante libertario residente in Irlanda, dove partecipa ai movimenti di solidarietà con l’America Latina e la Colombia, collaboratore della rivista CEPA (Colombia) e del El Ciudadano (Cile), così come del sito web internazionale www.anarkismo.net. Autore di “Problemas e Possibilidades do Anarquismo” (in portoghese, Faisca ed., 2011) e coordinatore del libro “Orígenes Libertarios del Primero de Mayo en América Latina” (Quimantú ed., 2010).

28-08-2012

Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da:
José Antonio Gutiérrez D., “Si el río suena… ¿significa paz a la vista?pubblicato il 28-08-2012 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=155173], ultimo accesso 03-09-2012.

 

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