João Pedro Stédile sulla congiuntura latinoamericana, brasiliana, e Rio+20


Estopim

Il MST è una delle principali organizzazioni popolari del Brasile. La rivista Estopim ha intervistato João Pedro Stédile, membro del coordinamento nazionale e tra i fondatori dell’organizzazione. Secondo lui la riforma agraria in Brasile non è più uno scontro tra senza terra e latifondisti, ma piuttosto uno scontro tra il popolo brasiliano, la classe lavoratrice e l’alleanza dei fazendeiros, dei grandi proprietari di terre con le imprese transnazionali dell’agrobusiness e le banche. In questa intervista, Stedile affronta diversi temi come: i governi progressisti in AL, il golpe in Paraguay, le elezioni in Venezuela, Rio+20 e i governi di Lula e Dilma.

ESTOPIM – Come va la congiuntura politica in America Latina? Quali sono i processi più avanzati e le situazioni più stagnanti? E la riforma agraria come sta?

J.P. – L’America Latina sta vivendo una congiuntura positiva per la classe lavoratrice in generale perché siamo usciti dall’egemonia totale degli USA e dal neoliberismo, con l’elezioni di diversi governi progressisti in tutto il continente e ora c’è una disputa permanente sul futuro del continente intorno a tre progetti o proposte.

Ø Il primo è la ripresa dell’offensiva degli USA che vogliono ricolonizzare la regione e trasformarla in pura fornitrice di materie prime e energia perché le loro imprese, che operano qui, ottengano il massimo profitto.

Ø C’è un secondo progetto che sostiene un’integrazione continentale, senza gli statunitensi, ma ancora nel segno degli interessi delle imprese capitaliste.

Ø E un terzo progetto che noi chiamiamo Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA), che si propone di realizzare una integrazione economica, politica e culturale che riunisca governi progressissti e organizzazioni popolari.

Queste tre proposte si scontrano tutti i giorni in tutti gli spazi. A ogni elezione presidenziale ci sono candidati dei tre progetti. La vittoria di Fernando Lugo [presidente deposto del Paraguay], rafforzava i progetti due e tre e rappresentava una spinta positiva per la regione del Cono Sud, poiché aveva sconfitto le oligarchie del paese dopo sessant’anni di dittatura del Partito Colorato.

Dal punto di vista dei processi di cambiamento, ogni paese è diverso dall’altro, poiché la correlazione di forze e la forma di organizzazione delle classi è differente. Tuttavia, la tendenza generale è che, nonostante siano stati eletti diversi governi progressisti, Bolivia a parte, non c’è un processo di ricostruzione del movimento delle masse nel continente. Anche in Venezuela, le mobilitazioni più vivaci si realizzano intorno al processo elettorale e non ai cambiamenti strutturali necessari, auspicati anche dal governo Chávez.

Quindi, viviamo attualmente – in ogni paese – in una situazione di equilibrio di forze, in cui la classe lavoratrice non ha ancora assunto l’iniziativa di lotta per un progetto.

E la riforma agraria è condizionata da questa correlazione di forze. Ci saranno progressi nella riforma agraria quando le classi popolari unite metteranno all’ordine del giorno un progetto popolare di sviluppo in ogni paese. Ci sono stati dei passi avanti, ma condizionati da questa situazione.

C’è stato un avanzamento in Venezuela, con l’esproprio di quasi tutti i latifondi, ma manca una classe contadina che prenda nelle sue mani la ricostruzione del settore agricolo. Ci sono stati progressi in Bolivia, nel senso che è stata fissata una dimensione massima per la proprietà, si è lavorato sulla legislazione per la protezione della biodiversità e dei semi, ma ancora non si è andati avanti nella riorganizzazione dell’agrobusiness. E negli altri paesi, i passi avanti sono sporadici, più legati in genere alla soluzione di problemi o precisi conflitti sociali, regionali.

ESTOPIM – Nel caso del Paraguay, il conflitto agrario è stato usato per organizzare il golpe?

J.P. – Il governo Lugo rappresentava un cambiamento della politica del paese in alleanza con i governi progressisti; le oligarchie locali non hanno mai accettato la sconfitta, tanto che hanno tentato 23 volte, nel corso di 4 anni, di rovesciare il governo. Pensi che non hanno nemmeno permesso che il governo Lugo designasse l’ambasciatore in Brasile. L’incarico è rimasto vacante per 4 anni. Il senato del Paraguay è stato l’unico che non ha accettato l’entrata del Venezuela nel Mercosul perché questo era contro gli interessi degli americani.

E la congiuntura favorevole per il cambiamento del governo si è verificata solo quando il governo USA, alleato con le grandi imprese transnazionali dell’agrobusiness che controllano l’agricoltura del Paraguay ha dato il segnale verde, poiché temeva un crescita troppo grande del Mercosur. E così c’è stato il golpe.

Il conflitto agrario nel quale sono morti 11 senza terra e 4 poliziotti non è stato un conflitto per la terra. E’ stata una trappola montata dalla destra. Oggi è sempre più forte l’ipotesi che le pallottole che hanno ucciso senza terra e poliziotti provenissero dalle stesse armi. Lugo ha costituito una commissione per indagare sul caso. Ma i senatori e tutta la destra del paese hanno usato il fatto come una specie di miccia emotiva. E’ tanto vero questo che – dopo il golpe – la commissione di inchiesta è stata immediatamente cancellata. E una volta di più un crimine resterà impunito.

Il problema è che il Paraguay è l’unico paese al mondo corrotto a tal punto che le oligarchie locali hanno dato non meno del 25% delle migliori terre del paese a fazendeiros stranieri. Un solo latifondista brasiliano possiede più di un milione di ettari di terre pubbliche “grilade”(con documenti falsificati) che ha ricevuto dalla dittatura Stroessner. Il Paraguay è il paese con la maggiore concentrazione della proprietà della terra al mondo. 351 grandi proprietari controllano quasi il 70% di tutte le terre. E ci sono circa 200.000 famiglie di contadini senza terra.

Questo è il vero problema che continuerà a rimanere nascosto finché non verrà costruita una vera democrazia in quel paese.

ESTOPIM – La conferenza Rio + 20 ha fatto qualche passo avanti rispetto alle questioni ambientali? E il Vertice dei Popoli?

J.P. – La Conferenza Rio+20 ha riunito i più diversi settori della società mondiale e è arrivata a conclusioni diverse a seconda dei vari gruppi. I governi si sono riuniti e hanno prodotto un documento pessimo, peggiore di quello del 1992. La conferenza è stata solo uno spettacolo senza importanza, visto che la maggioranza dei protagonisti dei governi inquinatori non è nemmeno venuta.

Anche gli imprenditori si sono riuniti al Forte Copacabana e negli hotel della Zona Sud. Hanno scritto documenti interessanti e, alcuni di loro, si sono impegnati a guadagnare più soldi con la propaganda ambientalista da qui in avanti. Altri, più esperti, vogliono privatizzare anche l’aria, l’ossigeno prodotto dalle foreste tropicali, trasformarlo in un diritto di proprietà privata e venderlo in borsa. Si tratta dei cosiddetti crediti del carbonio. E, cosa peggiore, hanno cominciato a fare questo in Europa. E ci sono altri settori imprenditoriali, i più inquinanti, le imprese automobilistiche, petrolifere, estrattive, siderurgiche, le banche, che sono quelli che dominano il capitalismo mondiale che hanno fatto finta che la conferenza non ci fosse e se ne sono rimasti tranquilli. Alcuni hanno anche patrocinato gli eventi di Rio.

Ci sono state ONG ambientaliste e settori indigeni che hanno fatto anche loro i loro incontri e di nuovo si sono illusi di andare alla conferenza dei governanti e tentare di influenzare la produzione del documento. Hanno perso tempo. Ma vivono di questo. Nell’auto-ingannarsi e, a volte, ottengono qualche secondo alla TV, che anch’essa deve offrire “l’altra opinione”.

E infine c’è stato il Vertice dei Popoli che ha riunito organizzazioni ambientaliste, popoli indigeni, movimenti sociali delle campagne e delle città, riunitisi all’ Aterro do Flamengo. Durante questo evento abbiamo fatto tre cose molto importanti: coordinare le idee tra noi per comprendere meglio quel che sta succedendo nel mondo, in seguito all’azione del capitale, in un periodo di crisi. In secondo luogo, abbiamo cercato di organizzare azioni concrete per il futuro, riunendo le nostre forze contro il capitale e la sua furia devastatrice dell’ambiente. E infine abbiamo cercato di comunicare con la società carioca, brasiliana e mondiale realizzando varie marce e manifestazioni durante la settimana. Secondo me siamo stati molto produttivi e efficaci con tutte queste attività.

ESTOPIM – Siamo a un mese dalle elezioni in Venezuela, come e perché i brasiliani coinvolti nelle lotte sociali devono interferire in questo processo?

J. P. – L’elezione in Venezuela – per la prima volta nella sua storia -non sarà un’elezione esclusivamente nazionale ma continentale. Quello che è in gioco il 7 ottobre non è solo la continuità del progetto bolivariano. E’ in gioco la correlazione di forze tra i tre progetti di cui ho parlato all’inizio. Gli USA stanno impiegando tutte le loro forze e armi (sabotaggio, stampa, soldi ecc.) per far eleggere il loro fantoccio Capriles e sconfiggere il nostro progetto. Se gli USA ce la fanno, sconfiggono allo stesso tempo la possibilità di progetti alternativi in tutto il continente.

Saranno sconfitte la Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici (CELAC) e l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUL) a favore della conservazione di una Organizzazioni degli Stati Americani (OEA) fallita e senza rappresentatività.

Sarà sconfitto il Mercosur a favore della rinascita del Trattato di Libero Commercio (TLC) e dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA).

Sarà sconfitta la possibilità di governi progressisti e incoraggiata la destra di tutto il continente a impegnarsi al massimo in ogni elezione che avremo da qui in avanti.

E come ricompensa, se gli americani sconfiggessero Chávez, si impadronirebbero gratuitamente della seconda maggior riserva di petrolio del mondo, ad alcune centinaia di miglia dalle loro coste. E non ingannatevi, se saremo sconfitti in Venezuela, le compagnie petrolifere USA si lanceranno con più forza sul nostro petrolio del pre-sal che, comunque, è stato l’unico argomento proposto dal primo ministro britannico nella recente visita della nostra presidenta a Londra.

Non è un caso che i tucani, tutta la grande stampa, i suoi portavoce e i politici hanno festeggiato il colpo di stato nel Paraguay, qui in Brasile. Hanno portato i golpisti al congresso brasiliano, hanno inviato emissari in Paraguay. Allo stesso modo stanno appoggiando Capriles, offrendo appoggio mediatico e tifando perché Chávez sia sconfitto. E’ una lotta delle forze della destra contro il popolo e la sinistra qui in Brasile, in ogni paese e in tutto il continente.

Per questo, i movimenti sociali brasiliani e tutte le forze popolari devono partecipare attivamente, usare le elezioni venezuelane e le elezioni brasiliane per diffondere informazione, coscientizzare, politicizzare la popolazione brasiliana su quello che è in gioco. Fare propaganda dei risultati del processo bolivariano, mostrare come sarebbe possibile e necessario un progetto alternativo che ci liberi dalle unghie del capitale finanziario internazionale, dalle imprese transnazionali e dalla furia dell’imperialismo. Stare attenti e denunciare tutte le forze di destra che puntano su Capriles e che fanno propaganda contro Chávez e il processo bolivariano.

ESTOPIM – Dopo 9 anni con il PT al Governo Federale qual è il bilancio della riforma agraria in Brasile?

J.P. – In un recente passato, dai tempi della dittatura fino al neoliberismo, la classe dominante nelle campagne era controllata da latifondisti arretrati. Ogni volta che c’era un conflitto di lavoro, occupazioni di terre o tentativi di sgombero di antichi posseiros, i latifondisti usavano la violenza fisica, cercavano di eliminare i leader dei lavoratori. Per avere un’idea, tra 1984 e 2004, già al tempo della democrazia formale, sono stati assassinati più di 1600 dirigenti e solo ottanta colpevoli sono stati processati. Così veniva risolta la lotta di classe nelle campagne. La lotta per la terra era una lotta per la democratizzazione della proprietà della terra che è quello che chiamiamo riforma agraria classica.

Nell’ultimo decennio, la classe dominante nelle campagne si è trasformata. Ora comandano le imprese transnazionali e i fazendeiros moderni. E’ cambiata la classe e anche il suo modo di agire. Per esempio, ora la forma della repressione sta cambiando. Invece di assassinarci, ci criminalizzano e ci reprimono attraverso il potere giudiziario e quello della stampa. Questi sono i due poteri sui quali hanno un controllo assoluto. Non hanno più bisogno di uccidere.

Basta vedere quello che hanno fatto con noi nel caso dell’occupazione della fazenda Cutrale, su un terreno “grilado” a Iaras. La fazenda appartiene allo stato e l’Incra aveva chiesto lo sgombero dell’impresa. Noi l’abbiamo occupata. La Cutrale, alleata della Coca cola, della Globo e del governo di José Serra (allora governatore di São Paulo), ha organizzato una campagna mediatica che ha trasformato i poveri senza terra in demoni devastatori di arance. Un altro caso emblematico è quello di Pinheirinho, a São José dos Campos. Una parte dell’impresa fallita e corrotta. Lì si sono riunite le stesse forze. Non ci sono stati morti, ma c’è stato un massacro ideologico, politico e le famiglie hanno perso le case dopo otto anni di un onesto lavoro.

Purtroppo, l’agrobusiness, in combutta con il potere economico e alleato ai mezzi di comunicazione, ha creato un’illusione nella società brasiliana, che sia proprio lui la soluzione. Così nasconde che accresce la produttività espellendo migliaia di lavoratori, usando veleni in forma intensiva; l’agrobusiness ha trasformato il Brasile nel paese che usa la maggior quantità di veleni nel mondo e che ha gli alimenti più contaminati. Questo provoca il cancro in 400.000 persone all’anno in Brasile.

L’agrobusiness dà profitti, produce, ma per mezza dozzina di fazendeiros e imprese transnazionali. Dall’altra parte, noi abbiamo quattro milioni di famiglie contadine povere: senza terra, senza lavoro, molti che abitano nelle periferie delle città dell’interno. Abbiamo dieci milioni di analfabeti nell’interno del paese, cinque milioni di famiglie che dipendono dalla Borsa Famiglia per mangiare! Quindi c’è molto lavoro da fare per organizzare i poveri delle campagne. E’ difficile, ma continueremo senza sosta il nostro lavoro finché la classe lavoratrice si renderà conto dei cambiamenti necessari al paese e potremo discutere un nuovo progetto per il Brasile, come abbiamo fatto a partire dalle lotte, negli anni 79-89.

In passato, l’espressione riforma agraria era intesa da molti solo come esproprio di una fazenda e distribuzione dei lotti di terra. Questa riforma agraria funzionava quando il modello economico era dominato dalle industrie. E quindi i contadini si integravano con l’industria e riuscivano a uscire dalla povertà. Era la cosiddetta riforma agraria classica che fecero la maggioranza dei paesi industrializzati.

Ora, il capitalismo dominante è quello del capitale finanziario e delle imprese transnazionali, anche in agricoltura, con l’agrobusiness. Loro riescono ad accrescere il profitto e la produzione senza i contadini. Per questo, molti dei loro porta-voce dicono che non c’è più bisogno di riforma agraria. Non ce n’è bisogno perché loro guadagnino denaro.

Ma la riforma agraria è necessaria per risolvere i problemi dei poveri delle campagne. Ora, noi abbiamo bisogno di un tipo nuovo di riforma agraria. Una riforma agraria che cominci con la distribuzione di terre, ma che organizzi cooperative di produzione per installare agroindustrie negli insediamenti e nell’interno del paese. Perché è questo che aumenta il reddito e fa uscire dalla povertà.

Una riforma agraria che adotti il modello tecnologico dell’agroecologia, producendo alimenti sani, senza veleni e senza alterare l’equilibrio dell’ambiente. Una riforma agraria che distribuisca educazione. Quindi dovremmo installare più scuole di base e di livello medio nelle campagne, per creare alternative per la gioventù e portare la conoscenza in queste zone. Pensi che negli ultimi venti anni sono state chiuse – ripeto chiuse – 37.000 scuole nelle campagne. Noi dobbiamo aprire scuole, non chiuderle. Per questo la nostra lotta è diventata più difficile e lenta, ora dobbiamo lottare per un altro sviluppo agricolo e sconfiggere l’agrobusiness. L’agrobusiness è il modello del profitto, del capitale. Noi vogliamo una riforma agraria popolare, diversa.

I governi Lula e Dilma non sono governi del PT. Ne fanno parte molti partiti, inclusi alcuni conservatori e opportunisti, che hanno appoggiato la dittatura militare e hanno sempre rappresentato, senza nasconderlo, gli interessi del capitale. Non si tratta di governi di sinistra, secondo me, ma di governi progressisti. E’ chiaro che è stato molto importante eleggerli per sconfiggere i candidati neoliberisti, che rappresentavano solo gli interessi del grande capitale e delle imprese transnazionali.

Secondo me, i governi hanno questa caratteristica, in primo luogo perché sono stati eletti in un periodo storico di debolezza dei movimenti di massa, nel quale la classe lavoratrice , dopo il periodo 1989-95, era sconfitta politicamente e ideologicamente. E, quindi, non ha manifestato nelle strade con lotte e mobilitazioni per il governo. Tanto che la forma principale di campagna elettorale è stata – in questo periodo – quella televisiva. E i partiti litigano duramente per i minuti di televisione.

In secondo luogo, la vittoria elettorale è stata possibile solo perché è stata costruita una alleanza interclassista, con diversi interessi di classe all’interno del governo. Interessi che sono presenti in ogni ministero, e che – a volte – sono addirittura antagonisti.

E, in terzo luogo, la natura dei governi è determinata dal fatto che i movimenti popolari, i partiti e la società brasiliana in genere non hanno un progetto per il paese. Dal 1989, abbiamo smesso di dibattere un progetto per il paese. E, in assenza di un programma storico, di un progetto, i partiti e i suoi politici stanno agendo solo sulla base del pragmatismo, o risolvendo i problemi quotidiani dell’amministrazione pubblica.

Per tutte queste circostanze storiche, la riforma agraria, sia nella sua forma classica, ammessa dal capitalismo nella sua tappa industriale, sia di un tipo nuovo e popolare, che noi sosteniamo, è paralizzata. Il suo esito dipenderà dal cambiamento nella correlazione di forze. Dipenderà dalla rinascita della discussione su un necessario progetto popolare per il Brasile. Dipenderà dalla ricostruzione del movimento delle masse; è dimostrato che le battaglie elettorali sono importanti per sconfiggere la destra istituzionalmente, ma insufficienti per sconfiggerla rispetto al suo potere economico, politico, ideologico, mediatico.

ESTOPIM – La fazenda Cedro, di Marabá, di proprietà del banchiere Daniel Dantas, può essere considerata il centro del conflitto agrario brasiliano oggi? Corriamo il rischio di una nuova “Eldorado dos Carajás”?

J. P. – La fazenda Cedro è una delle decine di fazendas che la Banca Oportunity ha comprato nel sud del Pará, mettendo insieme circa 500.000 ettari e più di 600.000 capi di bestiame. Ma il signor Dantas è solo il prestanome di fondi di investimento nord-americani. E’ un lumpen-borghese brasiliano. Ha investito queste risorse in tre anni, solo per trasformare questo capitale finanziario, fittizio, in un patrimonio costituito da beni naturali e in questo modo proteggersi dalla crisi. E poi oltre alle terre, sotto le terre, lui ha la concessione di sfruttamento di molti minerali. E , pertanto, in un futuro prossimo, l’obiettivo non è il bue. Nessun fondo di investimento pensa che si guadagni denaro con l’allevamento estensivo, abbattendo un animale ogni cinque anni. Il loro obiettivo è la terra e i minerali. Dei 500.000 ettari che hanno comprato dalla oligarchia rurale del Pará, il MST ha occupato solo sei fazende. Stiamo lottando nei tribunali, all’Incra e con il governo. Gli avvocati di Dantas ci hanno già cercato per trovare un accordo. Loro consegnerebbero all’Incra cinque fazende, per la riforma agraria, ma vogliono che noi lasciamo la sesta, probabilmente quella che ha la maggior riserva di minerali.

Il conflitto è a questo punto. Non c’è rischio di una nuova Carajás perché l’agrobusiness attuale, come ho già spiegato, non ha più bisogno di usare le armi, ora usa la TV, dove ha una egemonia totale. Il vero conflitto non è più tra senza terra e latifondisti. Ora il conflitto è tra il popolo brasiliano, la classe lavoratrice e l’alleanza dei fazendeiros, dei grandi proprietari di terra con le imprese transnazionali dell’agrobusiness e le banche. E’ per questo che questa disputa non si risolve più con le sole occupazioni di terre. La soluzione deve essere politica e deve coinvolgere l’intera società. Questo è il dilemma, la questione della terra ormai è nazionale, di classe, non è più un problema dei senza terra o della povertà nelle campagne.

24 agosto 2012

 (traduzione di Serena Romagnoli)

Associazione Ya Basta Nordest

http://www.yabasta.it/spip.php?article1676

Traduzione di Serena Romagnoli:
Entrevista com João Pedro Stédilepubblicato il 24-08-2012 in Estopim, su [http://estopim.net/y7/?p=2183], ultimo accesso 31-08-2012.

 

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