La violenza nella terra mapuche non rispetta nemmeno i bambini


Marianela Jarroud

“Siamo stati aggrediti da questo stato cileno che è razzista, che ci reprime. Le forze di polizia reprimono tutto il popolo mapuche. Loro sono quelli che sparano a sangue freddo”. Così un indigeno di 16 anni ha narrato la repressione della polizia di cui è stato vittima insieme ad altri contadini della regione dell’Araucanía, 680 chilometri a sud di Santiago, dopo lo sgombero di un podere occupato da varie comunità che reclamavano le loro terre ancestrali.

“Questa è l’opinione dei bambini che fanno parte delle comunità che sono in conflitto, perché sono cresciuti in mezzo alla violenza”, ha spiegato a IPS la coordinatrice della Fondazione per la Protezione dell’Infanzia e dei loro Diritti (Anide), Ana Cortés.

E ha aggiunto: “L’adolescente della testimonianza appartiene ad una comunità che da molti anni sta cercando di recuperare un territorio che le permetta di vivere. Razzismo e repressione è ciò che hanno conosciuto dello stato, pertanto, è quello che esprime”.

Questa denuncia sulla repressione pubblicata dal quotidiano digitale mapuche Werken (http://www.werken.cl/), che circola tra le reti sociali di Internet e tra i mezzi di comunicazione elettronici è la testimonianza più concreta della recrudescenza della violenza, che nelle ultime 72 ore ha prodotto decine di persone arrestate e varie ferite, tra le quali cinque bambini e bambine.

In mezzo alla preoccupazione e alla denuncia, lo scorso mercoledì 25 si sono registrati nuovi incidenti, questa volta nella comunità Tenucuicui, che è stata perquisita dalla polizia.

Il conflitto si è acuito lunedì 23, quando alcuni membri della comunità mapuche Ignacio Queipul di Temucuicui sono stati sgomberati da effettivi dei Carabinieri dagli insediamenti La Romana e Montenegro, sfruttati dalle imprese Forestales Mininco e Arauco.

Secondo alcuni portavoce indigeni, si è trattato di una manifestazione pacifica, che cercava di “richiamare l’attenzione” sul non rispetto di diverse promesse del governo di destra di Sebastián Piñera nell’ambito della lotta per il recupero delle terre mapuche.

Questi poderi, assicurano, fanno parte del territorio mapuche che fu sottratto ai loro antenati durante la “Pacificazione dell’Araucanía”, nel corso dell’invasione militare della dominazione dello stato cileno in quella zona aborigena che si è prolungata per quasi tutta la seconda metà del XIX secolo.

L’occupazione di lunedì è stata fatta da circa 60 comuneri. Lo sgombero, al contrario, sarebbe stato eseguito da circa 200 carabinieri, che sono entrati sul luogo sparando con i fucili e con i gas lacrimogeni, secondo quanto hanno dichiarato dei testimoni.

Durante questa operazione sono state arrestate 12 persone, tre delle quali minori, che hanno denunciato di essere state vittime di “ogni tipo di vessazione, colpi e molestie sessuali da parte dei carabinieri”.

La repressione è continuata alcune ore dopo fuori dell’ospedale di Collipulli, una delle località della zona, quando la polizia ha sparato contro un gruppo di comuneri che aspettavano coloro che avevano accompagnato a far certificare le lesioni.

Tra le vittime di questo episodio figurano una bambina di 12 anni, che era stata colpita da alcuni pallini nella colonna, e una adolescente di 16, che era stata colpita in testa dai piombini.

L’attacco ha fatto sì che il presidente Piñera annunciasse una “indagine” per individuare le responsabilità dei carabinieri, anche se ha dichiarato che il suo governo appoggia “al 100 per cento il modo di agire (sic) della polizia”.

Secondo la Fondazione Anide, tra il 2001 e il 2011, bambini e bambine mapuche tra i nove mesi e i 16 anni di età sono stati le vittime con ferite da pallini, per l’asfissia a causa dei lacrimogeni, per i colpi, i calci e le torture, tra i vari trattamenti vessatori della polizia.

Nell’anno 2002 si è registrato anche l’omicidio di un giovane di 17 anni.

Cortés ha sostenuto che “molte volte abbiamo segnalato che la violenza verso i bambini mapuche non è un’eccezione ma che si sta convertendo in una norma. Durante ogni perquisizione, tre o quattro minori di 18 anni vengono feriti, e di fronte a questo non possiamo annunciare, come fa il governo, che sono fatti isolati”.

L’attivista ha aggiunto che è preoccupante la recrudescenza della violenza nel territorio mapuche, che a suo giudizio si spiega con la mancanza di soluzioni ai problemi di fondo che hanno le comunità.

Ha precisato che le misure predisposte dal governo, che martedì 24 ha annunciato il rafforzamento nella zona del personale di polizia, sono di “sicurezza interna” e non mirano a risolvere il conflitto di fondo.

Ha avvertito: “Non vedo nessun gesto di avvicinamento alle comunità per negoziare una uscita politica. Finché questo non avviene, continueranno le manifestazioni sociali con persone ferite, molte delle quali minori di età”.

Martedì, Piñera ha presieduto una riunione per la sicurezza nella Moneda, la sede del governo, dove si è analizzato il conflitto mapuche e si è deciso di rinforzare la polizia, decisione che per alcuni evidenzia il desiderio governativo di militarizzare la zona.

Quando il governo incomincia a cercare motivi per reprimere le comunità senza affrontare la questione politica che sottostà al conflitto, è perché ha perso l’orientamento che aveva la politica dello stato riguardo ai popoli indigeni”, ha commentato a IPS l’avvocato mapuche Lautaro Loncón.

Ha ricordato che il Cile ha sottoscritto diversi trattati internazionali per la protezione dei diritti umani e dell’infanzia e, in particolare, l’Accordo 169 dell’Organizzazione Internazione del Lavoro relativo ai popoli indigeni.

Per Loncón, “al momento di elaborare le proprie politiche pubbliche, il governo si basa più sulla repressione che applicando questi accordi”.

Ha aggiunto che l’aumento della violenza “ha a che vedere con l’atteggiamento storico della destra politica cilena rispetto ai movimenti sociali e indigeni”.

“Il governo di Piñera è andato criminalizzando la protesta sociale, non solo verso i mapuche, ma verso qualsiasi movimento che possa mettere in difficoltà le sue politiche neoliberali”, ha sottolineato.

Il giurista concorda sul fatto che, storicamente, esiste “un atteggiamento razzista del governo e dello stato come istituzione, che si fonda sulla negazione dell’esistenza dei popoli indigeni e la negazione dei loro diritti. Non è nient’altro che razzismo di cui mai la società cilena si è fatta carico”.

La direttrice dello statale Istituto Nazionale per i Diritti Umani, Lorena Fríes, lo scorso mercoledì 25 ha viaggiato nella zona in una missione di indagine e spera di divulgare nei prossimi giorni un rapporto.

Nel frattempo, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia ha espresso il proprio “energico rifiuto e condanna” degli atti di violenza che hanno colpito bambini e bambine.

Da parte loro, i dirigenti del Partito Per la Democrazia, all’opposizione, hanno sollecitato all’incaricato per l’America del Sud dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Amerigo Incalcaterra, l’invio di un osservatore nella zona del conflitto mapuche.

30-07-2012

IPS

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da:
Marianela Jarroud, “La violencia en tierra mapuche no respeta ni a los niños” pubblicato il 30-07-2012 in IPS, su [http://www.ipsnoticias.net/], ultimo accesso 31-07-2012.

 

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