Quando Bush e Aznar si unirono al colpo di Stato in Venezuela


10 anni fa una coalizione di imprenditori, gruppi mediatici e militari destituiva con un colpo di Stato il presidente eletto Hugo Chávez. Il presidente della confcommercio venezuelana diventava presidente con il sostegno dei governi degli Stati Uniti e della Spagna, ma l’assedio della popolazione di Caracas al palazzo presidenziale, e la fedeltà di alcuni reparti dell’esercito, consentivano a Chávez di tornare a capo del governo dopo 3 giorni, costringendo i golpisti più compromessi alla fuga. Ecco qui le prove delle responsabilità dei “governi democratici” statunitense e spagnolo.

Sul colpo di Stato del 2002 ascolta la trasmissione del 23-11-2009 “Venezuela: Chávez, dalla vittoria elettorale alla golpe fallito, 1998-2002”

Leandro Albani
Avn

Era il 12 aprile 2002 e un giorno dopo un gruppo di militari insorti e di imprenditori aveva condotto il colpo di Stato contro il presidente venezuelano, Hugo Chávez, che rimase sequestrato quasi 55 ore.

In un comunicato congiunto i governi di Stati Uniti e Spagna non condannavano la sommossa contro un’amministrazione eletta in elezioni libere e appena chiedevano la “normalizzazione democratica” del paese.

Nel testo entrambi i capi di governo sostenevano che “nel quadro del loro dialogo politico rafforzato, seguono gli avvenimenti che si sviluppano in Venezuela con grande interesse e preoccupazione, e in contatto continuo”.

A questo aggiungeva che i due governi “dichiarano il loro rifiuto agli atti di violenza che hanno causato molte vittime” e, davanti a un imminente colpo di Stato, affermarono che il paese stava sperimentando una “situazione eccezionale”.

Bush e Aznar non dicevano niente della decisione dei golpisti di dissolvere il Parlamento, il Tribunale Supremo di Giustizia, il Consiglio Nazionale Elettorale, annullare la Costituzione, e rimuovere tutti i governatori, sindaci e consiglieri, il Procuratore Generale della Nazione, il supervisore e il Difensore del Popolo, e figurarsi della repressione scatenata contro il popolo.

Con il trascorrere del tempo, la supposta passività di entrambi i presidenti si rivelerà un appoggio aperto ai piani per destituire il presidente Chávez.

La conferma del golpe

Il 13 aprile del 2002 il Dipartimento di Stato nordamericano affermava “che il ritorno della sua persona (Chávez), dopo due giorni di alterazione dell’ordine costituzionale, non significava un ristabilimento della democrazia” e il venerdì 16 di quel mese, il portavoce della Casa Bianca, Ari Felischer, continuava a sostenere le “dimissioni” del capo di Stato venezuelano.

Lo stesso giorno il quotidiano The New York Times rivelava che alti funzionari dell’amministrazione Bush si erano riuniti mesi prima coi capi dell’opposizione venezuelana e anche quattro giorni prima del colpo di Stato.

Negli incontri i rappresentanti statunitensi espressero il loro malcontento per Chávez e la necessità che lasciasse il potere.

Anche la rivista Newsweek informò che gli Stati Uniti erano al corrente dei piani del colpo di Stato.

Il 13 aprile, giorno in cui una mobilitazione di massa reclamò il ritorno del presidente Chávez algoverno, gli ambasciatori di Spagna, Manuel Viturro, e degli Stati Uniti, Charles S. Schapiro, si incontrarono con Pedro Carmona Estanga, imprenditore che fù l’organizzatore più in vista del piano destabilizzatore e autoproclamato capo del nuovo Governo.

Dichiarazioni che non lasciano dubbi

Nel dicembre 2004 il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Ángel Moratinos,si presentò davanti alla Commissione degli Affari Esteri della Camera del suo paese per difendere le sue dichiarazioni sulla partecipazione del governo conservatore di Aznar al colpo di Stato.

In quel momento il funzionario affermò che “in Venezuela ci fù un colpo di Stato, che l’ambasciatore Viturro ricevette istruzioni e che l’effetto di dette istruzioni aiutava a legittimate il colpo di Stato della giunta civico-militare, dandogli copertura internazionale”.

Moratinos precisò che la sua posizione non mirava a segnalare che il governo di Aznar “istigasse o partecipasse alla preparazione o all’esecuzione del colpo di Stato”, ma specificò che gli fornì appoggio non condannandolo “e trattando di offrirgli legittimità internazionale”.

Un mese prima delle dichiarazioni del ministro spagnolo, l’ex ministro degli Esteri messicano Jorge Castañeda (figlio) affermò a Radio Fórmula che “l’ambasciatore spagnolo a Caracas era molto attivo nel tentare di consolidare ciò che stava succedendo”.

L’ex ministro spiegò che gli Stati Uniti e la Spagna cercarono d’imporre una dichiarazione ai paesi dell’America Larina “che, in qualche modo, apoggiasse, sanzionasse, avvallasse il golpe e riconoscesse il nuovo Governo”.

“Lo vollero facere, senza dubbio, ma noi non ci volemmo prestare a questo”, ha ricordato Castañeda.

Nel settembre del 2009, in dichiarazioni date al quotidiano colombiano El Tiempo, l’ex presidente statunitense e Premio Nobel per la Pace Jimmy Carter, assicurò che “non c’è nessun dubbio che nel 2002 gli Stati Uniti avevano quantomeno la piena conoscenza o siano stati direttamente coinvolti” nella destituzione del presidente Chávez.

Le posizioni degli Stati Uniti e della Spagna di fronte al colpo di Stato in Venezuela non furono un fatto isolato. In quel momento Washington e i suoi alleati iniziavano la cosidetta guerra contro il terrorismo, con la quale giustificavano gli interventi militari in “qualsiasi angolo oscuro” del pianeta, senza nemmeno presentare prove concrete, come nel caso dell’Iraq nel 2003.

A Washington e Madrid la musica era la stessa: far sparire qualsiasi governo o organizzazione che denunciasse l’imperialismo e reclamasse un cambiamento profondo nella società.

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Leandro Albani, Cuando los conservadores se unieron al golpe de Estado en Venezuela , pubblicato il 12-04-2012 su [http://www.lahaine.org/index.php?p=60887], ultimo accesso 14-04-2012.

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