Il Guatemala e la depenalizzazione delle droghe: qual’è la mossa?


Il vertice “Nuove strade contro il narcotraffico” lanciato dal Guatemala tre settimane fà è stato un insuccesso per l’assenza degli altri presidenti centroameicani, di Nicaragua, Honduras ed El Salvador. Ma questa settimana il presidente guatemalteco Perez Molina è tornato a proporre alla Cumbre de las Americas, davanti a tutti i paesi del continente, la depenalizzazione delle droghe come nuova arma contro il narcotraffico, responsabile del primo posto del centroamerica come regione più violenta del mondo. Perché un ex generale responsabile non giudicato di molti crimini, anche contro la popolazione civile, durante la guerra alla guerriglia conclusa nel 1996, lancia una politica opposta a quella degli Stati Uniti nella lotta al commercio di stupefacenti? Articolo di Marcelo Colussi.Recentemente il presidente del Guatemala, Otto Pérez Molina, ha messo sul tavolo una proposta nuova per il suo paese: la depenalizzazione delle droghe illegali. Per capire cosa intende, danno bene l’idea queste parole:

“Con lo sviluppo a oltranza del capitalismo nella sua tappa imperialista, che in questa fase della globalizzazione sprofonda nella miseria la maggioranza della popolazione mondiale, molti paesi con un’importante economia agraria optano per le coltivazioni di coca, papavero da oppio e marihuana come unica alternativa di sopravvivenza.

I guadagni di questi contadini sono minimi. Chi veramente si arricchisce sono gli intermediari che trasformano questi prodotti in sostanze psicotrope e che li spostano e li realizzano nei mercati dei paesi sviluppati, in primo luogo quello degli Stati Uniti. Le autorità incaricate di combattere questo processo sono facile presa della corruzione, visto che la loro etica soccombe davanti a qualsiasi esporso superiore ai 50 dollari. Governi, imprenditori, sportivi, artisti, allevatori e proprietari terrieri, militari, politici di tutti i colori e banchieri si concedono licenze morali per accettare denaro da questo commercio che genera grandi somme di dollari provenienti dai tossicodipendenti dei paesi sviluppati. Il capitalismo ha ammalato la morale del mondo facendo crescere permanentemente la domanda di stupefacenti, allo stesso tempo le potenze imperiali illegalizzano questo commercio, vista la loro incapacità di produrre la materia prima. (…)

Essendo tanto grande la domanda nei loro stessi territori quanto voluminosa la quantità di dollari che per questa ragione escono dalle loro frontiere, erigono il ciclo produttivo a loro nemico strategico, a grave minaccia per la sicurezza nazionale. Scordano i loro stessi postulati del libero mercato: l’offerta in funzione della domanda, scaricando la loro superbia contro i contadini che lavorano semplicemente per sopravvivere, condannati dal neoliberalismo alla miseria del sottosviluppo. Il narcotraffico è un fenomeno del capitalismo globalizzato (…)

[Davanti a ciò l’unica soluzione è] legalizzare i consumo di droghe. Così si sopprimono alla radice le alte rendite prodotte dalla illegalità di questo commercio, così si controlla il consumo, si assistono clinicamente i dipendenti e si liquida finalmente questo cancro. A grandi malattie grandi cure. Mentre [i governi delle potenze consumatrici, fondamentalmente gli Stati Uniti] devono destinare fondi sufficenti alla cura dei malati, a campagne educative che allontanino l’umanità dal consumo di questi farmaci e a finanziare nei nostri paesi la sostituzione delle coltivazioni da prodotti alimentari che contribuiscano alla crescita sana della gioventù del mondo e al miglioramento delle sue qualità morali”.
[“Legalizzare il consumo di droga: unica alternativa seria per eliminare il narcotraffico”, Plenaria dello Stato Maggiore Centrale delle Farc Ep]

La citazione anteriore potrebbe essere perfettamente il fondamento di una misura che invochi la legalizzazione delle droghe illegali come quella che stà facendo ora il governo guatemalteco. È, in termini generali, una proposta progressista, che considera il problema alla sua radice non criminalizzando i comparti deboli della catena (il produttore della materia prima nei poveri paesi del terzo mondo o il consumatore finale, che può essere benissimo un tossicodipendente cronico, per tanto, una persona con problemi di salute). Proposta, in definitiva, che attacca il cuore di un sistema socioeconomico che ha Washington alla testa che fà del doppio discorso il suo cavallo di battaglia: avendo il più alto consumo di droghe illegali, usa il narcotraffico per ammassare fortune e come alibi per militarizzare i paesi poveri dove si trovano le coltivazioni da dove escono i successivi narcotici, cosa che gli consente nella sua strategia imperialista: 1) continuare a vendere armi all’ingrosso, ma fondamentalmente 2) tenere sotto controllo militare vaste zone considerate vitali per il progetto di dominio della classe dominate statunitense.

È per questo che, a partire dall’analisi della situazione, la proposta della legalizzazione risulta la più logica, la più umana, la più razionale: depenalizzare il consumo di droghe porterebbe benefici ai consumatori e alle popolazioni in generale, in tanto si abbasserebbero gli indici di violenza criminale che porta con se il narcotraffico illegale.

È congruente che una proposta così la formulassero nel marzo del 2000 le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, le Farc, il movimento guerrigliero di sinistra più vecchio del continente. Ma è notevole che una proposta di questo taglio la formuli un presidente come quello del Guatemala, il generale in pensione Otto Pérez Molina, istruito nella più rancida scuola controinsorgente (è un comandante kaibil), parte attiva nella lotta anticomunista che insanguinò il suo paese anni fà e che è arrivato da pochi mesi alla presidenza con lo slogan del “pugno di ferro” contro la criminalità, mentre in questo breve tempo da presidente ha dimostrato di essere persona di fiducia dei padroni del potere economico del suo paese e non uno che faccia un discorso progressista, alternativo, in difesa dei diritti umani o qualcosa che gli assomigli.

Perché il generale Pérez Molina fà ora questa proposta all’area centroamericana, che non avvallano nemmeno presidenti presumibilmente più di sinistra come l’ex nicaraguense Daniel Ortega o il salvadoregno Mauricio Funes, presidente con i voti dell’ex movimento rivoluzionario Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional –FMLN–? Che significa questa mossa?

Di fatto il presidente guatemalteco sembra scontrarsi con la Casa Bianca; ha dichiarato pubblicamente la corresponsabilità degli Stati Uniti in tema di narcotraffico visto che i paesi centroamericani non sono nemmeno lontanamente i principali consumatori di queste sostanze ma hanno la disgrazia di stare sulla rotta di distribuzione. Davanti a questo, e con misure che non sono lontane da quelle proposte un tempo dalle Farc, ha reclamato a Washington il risarcimento economico della regione dell’istmo per i sequestri realizzati nella zona, pretendendo che di questi fondi la metà siano destinati a rafforzare la guerra al narcotraffico, e l’altra metà di investano in programmi di salute ed educazione.

Il fatto di parlare chiaramente di “corresponsabilità” del governo degli Stati Uniti su un tema tanto spinoso come questo segna una distanza da Washington che altri presidenti della regione non vogliono o non possono prendere. Pérez Molina ha motivato l’iniziativa della depenalizzazione della produzione, del transito e del consumo di droghe – e senza dubbio l’argomento è assolutamente valido – legandola alla corresponsabilità degli Stati Uniti su molto di ciò che succede in questi paesi: gli alti indici di violenza della regione, in quanto corridoio per il passaggio delle droghe illegali verso il nord, trasformano il Centroamerica in una “strada di morti, estorsioni, sequestri e lavaggio di denaro, conseguenza del narcotraffico”.

Pérez Molina, il generale della lotta controinsurgente e simbolo del “pugno di ferro” contro la delinquenza che si scontra agli Stati Uniti e dicendo, parola più, parola meno, lo stesso delle Farc? Come minimo è strano.

Davanti alla proposta, la risposta della Casa Bianca non si è fatta aspettare: tanto la Segretaria di Sicurezza Janet Jackson come il Sottosegretario Antidroga William Brownfield, che hanno da poco visitato il Centroameruca, sono stati categorici di fronte a essa. Entrambi hanno negato che la depenalizzazione della droga possa essere fattibile. Essendo anche molto duri: condannando la proposta.

Niente, assolutamente niente nella politica estera dell’attuale amministrazione guatemalteca avrebbe potuto far pensare da un allontanamento dalla sfera di Washington.

Cosa significa allora?

Ad un certo punto si è ipotizzato che si trattasse di una cortina di fumo, ancora di più nel momento in cui è stata proposta la misura: giusto quando in Parlamento stava venendo esaminato un provvedimento fiscale, ampollosamente chiamato “riforma”, che non cessò di essere un aggiustamento tributario dove l’unico settore al quale realmente sono aumentate le tasse è stato il ceto medio, lasciando al loro posto di intoccabili i grandi capitali, tanto nazionali come stranieri.

Ma in seguito a questa ipotesi, la misura della depenalizzazione è stata mantenuta ferreamente, portando in questo momento ad una sorta di scontro con altri governi centroamericani, e con lo stesso governo statunitense.

Non è mancato chi abbia detto – con eccesso di ottimismo, o di ingenuità (forse anche con malizia) – che la proposta in erba marca un cambio nel modo di pensare del generale. Ora, per la sorpresa di amici e sconosciuti, come successe con molti militari latinoamericani nel corso della storia (Perón, Velasco Alvarado, Torrijos, Arbenz, Chávez), starebbe prendendo distanza dal padrone imperiale. Ma niente autorizza a prendere sul serio quest’ipotesi.

Di che si tratta allora? Forse mancano elementi per chiudere l’analisi. Potrebbe essere che, con il suo impegno di abbassare gli indici di criminalità – discorso che lo ha portato a trionfare alle passate elezioni – abbia intravisto che la riduzione e/o eliminazione delle mafie legate al traffico di droghe illegali aiuterebbe ad abbassare la violenza, ma anche ancora: aiuterebbe ad abbassare la percezione mediatica che la cittadinanza può avere della stessa. In definitiva: sarebbe una lodabile azione di Governo.

Ce ne sono altre sulla lista? L’attuale amministrazione governativa del Guatemala, che è un fedele alleato delle strategie statunitensi, che è parte dei trattai di libero commercio per la regione (il CAFTA) dei quali fondamentalmente beneficiano i capitali del nord, che ha aperto le sue porte ai grandi progetti estrattivi legati alle multinazionali, che non prende nessuna misura politica forte senza consultare “l’ambasciata” (ovviamente: la United States Embassy, vero detentore del potere tra i governanti del popolo), è più difficile (impossibile?) che si distanzi senza problemi da Washington.

È da tempo che si sta parlando da parte della stretegia imperiale della Casa Bianca di estendere il Plan Mérida di lotta contro il narcotraffico dal Messcio fino a tutto il Centroamerica, cosa che non significa altro che più militarizzazione, più “pugno di ferro” sul tema. Tutto ciò è andato nel dimenticatoio?

La proposta in gioco, per ultima cosa, in termini concreti non cessa di essere interessante e progressista, sebbene richiami l’attenzione chi e come la formula. In questi momenti non è mai chiara la mossa. Il tempo ci darà più elementi per capire di che si tratta. Ma come minimo è strano che un comandante kaibil dica le stesse cose delle Farc. Un equivoco? Forse.

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Marcelo Colussi , Guatemala y la despenalización de las drogas ilegales: ¿cuál es la jugada? , pubblicato il 12-04-2012 su [http://www.lahaine.org/index.php?p=60887], ultimo accesso 14-04-2012.

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